Le opere in mostra

Opera di Joan Mirò
 

22/11/2002

Come è nata l’idea della mostra e che significato ha avuto per lei organizzarla? M.B. “Il progetto della mostra è nato all'indomani di quella organizzata da Luigi Fiorletta a Tours, in Francia, lo scorso autunno. Entrambi ci siamo incuriositi sui sottesi rapporti fra Miró e l'immaginario collettivo (direbbe Jung, gli "archetipi") di una terra misteriosa e magica qual è la Catalogna. Al centro dell'attenzione abbiamo posto il Mediterraneo, elemento comune con la cultura e la storia italiana: un Mediterraneo che non è quello solare, mitologico, narrativo, bensì quello delle ritualità collettive, delle manualità creative, del gesto lirico, insomma un universo immaginativo lontano, però, dalla celebrazione figurativa. Dare corpo a questa idea non è stata cosa facile; tante le difficoltà e, prima di tutte, quelle di poter disporre di un ampio repertorio di opere dalle quali scegliere quelle che sono servite per disegnare la traccia portante. Quando tutto è apparso ai nostri occhi leggibile, quando l'emozione ha preso anche la nostra fantasia, ci siamo resi conti che il nostro progetto aveva un corpo.” Quali sono le doti e le capacità che, secondo lei, dovrebbe avere un curatore? M.B. “È una domanda alla quale è difficile rispondere. Non c'è una regola e, tanto meno, non è consigliabile indicare strade. Penso (è quanto mi impongo ogni volta, sia per le piccole mostre, sia per le più impegnative, com'è stato nel caso di "Mediterraneo Miró") che un curatore, un commissario come dicono in Spagna, debba conservare una sua specifica autonomia, vale a dire non farsi condizionare dal contesto, dalle pressioni, dalle circostanze. Innanzitutto, stare lontano dalle vanità mondane, dai facili applausi, dal cercare (come Narciso) la sua immagine a tutti i costi.” Tra i capolavori esposti molte le opere inedite… Ce ne può parlare? M.B. “Oltre alle ventisei incisioni che danno vita al ciclo "Galería de antirretratos", presentate per la prima vota in Italia, che testimoniano - ha osservato Rosa Maria Malet, direttrice della Fondazione Joan Miró di Barcellona - la speciale attrazione che l'artista sentiva per la sua qualità materica, la mostra presenta i citati sei disegni del Son Boter ed un grande pastello nero su carta, "Senza titolo", eseguito negli ultimi anni di vita, fra il 1979 e l'80. I sei disegni, eseguiti su cartone ondulato, traducono sia la necessità di continuare a rapportare la propria esperienza con la materia viva, come quella dei cartoni ondulati o della carta dei quotidiani che ha “già una sua esistenza”, restando nell'ambito della scultura, di un’idea plastica dell'immagine, sia il desiderio di mantenere inalterato il contatto con la superficie, immaginandola grande, assorbente, duttile e, al tempo stesso, pronta a cedere i segni della materia. I sei inediti disegni sono posti in chiusura del primo percorso espositivo, che accoglie la scultura e la ceramica, a testimonianza di quel tendere ad una unità compositiva alla quale guardava l'artista. Unità che trova nel segno, nel disegno, come testimoniato in mostra da “Senza titolo”, un grande disegno realizzato a inchiostro di china, cera e carboncino, esposto qui per la prima volta, la sua cifra più autentica, quella che l'artista chiama “la mia selvatichezza”. ”