Off Topic: la recensione del libro Sex Pistols – Dio salvi la regina (e il punk rock),

La truffa più visionaria del rock'n'roll

La copertina del libro "Sex Pistols. Dio salvi la Regina (e il punk rock) di Antonio Bacciocchi
 

Fabio Di Spirito

15/04/2023

Mondo - Never mind the bollocks, Here’s the Sex Pistols esce il 28 ottobre 1977, e, prima che un disco di rock, è un gesto di salute pubblica, che spazza via in un colpo solo tutte le metastasi musicali che il rock aveva maturato dalla fine degli anni ’60 e che anni dopo avevano bloccato ogni ricambio di estetiche innovative: il progressive, l’hard rock, l’imperiale decadenza dei Pink Floyd con Animals (I hate Pink Floyd, stava scritto nella maglietta sbrindellata che portò Johnny Rotten al successo), quel capolavoro di marketing strategico che fu nel 1973 il Tubular bells di Mike Oldfield…Certo, si erano già uditi i rintocchi del nuovo: Bowie e la sua trilogia berlinese, Brian Eno aveva già fatto le prove dell’ambient col suo Discreet music, dalla New York devastata della metà degli anni Settanta (Welcome to the Fear City, recitava il volantino che agenti in borghese consegnavano ai visitatori che arrivavano in quei giorni al Kennedy) il lurido locale della Bowery CBGB aveva proiettato nel mondo le ombre dei Television, dei Ramones, di Patti Smith e dei Talking Heads.  Eppure, il corpo  grosso del rock di  quei giorni era davvero frutto di una visione conservatrice del mondo, che cercava di tenere assieme con formule consunte l’anima elettrica con quella classica, la critica sociale con l’accettazione godereccia del mondo, la dura realtà sociale delle città di allora coi mondi immaginari delle fate e degli elfi.

Finchè arrivarono loro, gli Anticristi…
Il libro di Antonio Baciocchi, Sex Pistols – Dio salvi la regina (e il punk rock), pubblicato da Diarkos, casa editrice di Santarcangelo di Romagna dagli interessi onnivori, all’apparenza si presenta come un lavoro di forte impatto divulgativo, ricchissimo di notizie, informazioni e fonti dirette sulla storia dei Sex Pistols come gruppo e come individui. In realtà, io l’ho letto come un saggio di storia del rock che va direttamente, senza fronzoli, ai temi essenziali posti dal gruppo londinese. E già nell’introduzione l’autore espone la domanda delle domande: i Sex Pistols furono davvero la più grande truffa del rock’n’roll, come voleva il loro manager Malcolm McLaren, oppure un grande gruppo che in soli due anni e mezzo di vita, in sintonia con il Live fast, die young della gnomica punk, produsse la più grande rivoluzione collettiva della musica rock (niente a che vedere, per esempio, come impatto sociale e di estetica, con il grunge, la new wave, la psichedelia, ecc)?. E soprattutto, produsse grande musica, anche se concentrata nelle dodici canzoni di un disco. E’ la stessa domanda che si pone Greil Marcus, il grande sociologo della storia del rock, nel suo libro Lipstick traces: Storia segreta del XX secolo, pubblicato nel 1989 e il cui primo capitolo è dedicato all’ultimo concerto dei Sex Pistols, solo che lo fa dopo 50 pagine di riferimenti filosofici, storici ed artistici. In realtà, anche se Baciocchi non risponde direttamente alla domanda, sembra di capire che stia dalla parte della musica.


Il trailer del film "The Great Rock'nRoll swindle" di Julien Temple (1980)


E’ ben vero che coi Sex Pistols il tema del rapporto tra manager e musicista, sempre stato assai vivo nella musica rock’n’roll (basti pensare al rapporto tra Elvis e il colonnello Parker), acquista una forza mai vista prima, col manager che cerca di  veicolare la narrazione che il suo gruppo sia esclusivamente uno scherma di marketing, un piano strategico da imporre ai grandi fashion brands. Ma basta ascoltare il disco per capire che quel suono così devastante, quel canto nasale di Rotten che deforma le vocali finali delle parole, quegli incisi di chitarra che non ambiscono ad elevarsi al rango di assoli ma diventano dei riff letali per intensità (non ricorda abbastanza il ruolo della chitarra di George Harrison nei dischi dei Beatles?), ebbene, tutto questo diventa una musica che impone un sound, una visione del mondo, un potenziale di rottura e di cambiamento che non può essere solo frutto di una strategia di mercato. Ed anche la densità dei capolavori in Never mind the bollocks, che non si limitano certo alle canzoni dei quattro singoli pubblicati tra novembre 1976 ed ottobre 1977, prima dell’uscita del 33 giri, e cioè  Anarchy in the U.K., God save the Queen, Pretty vacant, Holidays in the sun. No, abbiamo la spietata Bodies, che tratta in modo esplicito il tema dell’aborto, la loro sguaiata versione dell’ inno  nichilista degli Stooges No fun, quell’ assalto di puro rock’n’roll , come scrive l’autore, che è No feelings.  Insomma, qui come percentuale di canzoni indimenticabili stiamo dalle parti di Revolver dei Beatles, o dello Ziggy Stardust di Bowie

Ma c’è un altro aspetto del libro che ho trovato molto interessante: l’autore fa precedere il corpo centrale del suo lavoro, cioè la storia dei Sex Pistols, da un capitolo introduttivo, che è dedicato ai protagonisti della saga. Ed è come se volesse fare un riferimento ai grandi drammi del teatro elisabettiano di Marlowe e Shakespeare, quelle tragedie ove tutti congiurano contro tutti, perché la storia dei Sex Pistols è la storia di un equilibrio instabile e pericoloso, oscillante tra un possibile fallimento che per alchimie segrete si tramuta in successo mondiale e un successo che per odii ed antipatie reciproche è destinato a durare il tempo di un’accecante esplosione di magnesio… Ed eccoli lì, i nostri eroi, sfilare tutti quanti: Malcolm McLaren, il manager situazionista che prima creò i Sex Pistols poi li volle distruggere trasformandoli in una banda di burattini; Johnny Lydon detto Rotten, il figlio di una coppia di irlandesi cattolici che si trasforma nell’icona dell’Anticristo, ma che presto si stanca del gruppo e lo abbandona dopo il concerto di San Francisco del 14 gennaio 1978; Paul Cook e Steve Jones, rispettivamente batterista e chitarrista, l’asse degli amici d’infanzia amanti del glam rock e della vita da rock star, che rimangono insieme fino alla fine; Glen Matlock, il bassista bravo ed autore della maggior parte delle musiche, anche se non ci voleva molto a ricevere questo giudizio coi Sex Pistols degli inizi che proprio non sapevano suonare nessun strumento, fatto fuori da McLaren perché ricordava troppo Paul McCartney; Sid Vicious e la sua amica Nancy Spungen, ovvero la faccia dellì’autodistruzione tossica e disperata, con la loro storia di morte e nichilismo che costituisce l’ultimo capitolo della storia del gruppo, che nel frattempo si era già sciolto.

Nel libro è riportata una illuminante dichiarazione di Rotten “ Non solo siamo apparsi al pubblico come se non ci piacessimo, penso che davvero non ci piacessimo. E’ stato l’anno e mezzo più lungo che abbia mai vissuto”. Rotten era antipatico a tutti nel suo isolamento vagamente autistico, e alla fine cospirò per togliere il gruppo dal controllo di Mclaren; McLaren agli inizi impose Rotten al duo degli amici d’infanzia (che avevano già creato un gruppo di poche pretese che sarebbe stato condannato all’anonimato se appunto non fosse arrivato il genio iconico di Rotten), poi pretese l’uscita di Matlock e la sua sostituzione con Vicious; quest’ultimo era amico di Rotten ma non fino al punto di abbandonare l’ala protettiva di McLaren che, al momento in cui Vicious morì di overdose nel febbraio 1979 a New York, era ancora il suo manager. E poi c’è lei, Nancy Spungen, la groupie tossica che veniva dall’America e che trovò la morte accoltellata in una stanza del Chelsea Hotel, probabilmente per opera di un Vicious completamente strafatto.

Come si vede, la cometa dei Sex è di brevissima durata, ma di accecante intensità drammatica. Ed è giusto che Baciocchi concluda la galleria dei protagonisti del dramma elisabettiano con un soggetto collettivo, festoso, iconico, il Broomley Contingent, quel gruppo di giovani punk che seguiva tutti i loro concerti, qualcuno dei quali sarebbe diventato di lì a poco una rock star: Siouxsie Sioux e Steve Severin, Steve Strange (voce dei Visage), Billy Idol.  E qui siamo davanti ad un altro aspetto fondamentale messo in luce dall’autore: il ruolo maieutico che svolsero i Sex Pistols nella scena inglese, furono loro i fecondatori biologici del post-punk. Chi li vede, chi li ascolta, esce trasfigurato dall’esperienza. Ad un loro concerto del giugno 1976, coi Buzzcocks come spalla, tra la folla ci sono Mark E. Smith, che poi diventerà il leader dei Fall, Morrissey,  i membri di quelli che sarebbero diventati i Joy Division, e Tony Wilson che due anni dopo avrebbe fondato la Factory,  vale a dire l’etichetta musicale indipendente che avrebbe dato vita un decennio dopo alla scena musicale di Manchester.

E mi pare che questo riferimento sia sufficiente a decretare l’inconsistenza del punto di vista di Malcolm McLaren: se i Sex Pistols furono davvero la più grande truffa del rock’n’roll, non ci fu mai una truffa più visionaria e più ricca di futuro di quella

 
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