Un luogo unico al mondo svela i suoi segreti
Gli archeologi italiani nella Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Parla il professor Giorgio Piras
La Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Foto Custodiae Terrae Sanctae
Francesca Grego
10/08/2022
Storia e leggenda si confondono tra le mura della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che un’antichissima tradizione identifica come il luogo della crocifissione, della sepoltura e della resurrezione di Cristo. Edificata nel IV secolo per volere dell’imperatore Costantino, distrutta e ricostruita più volte, a lungo contesa da popoli e comunità religiose diverse, da duemila anni la Basilica custodisce i misteri più profondi della Cristianità. Oggi uno spiraglio sembra aprirsi sul suo passato: il restauro del pavimento medievale offre per la prima volta la possibilità di scavare nel sottosuolo e di ricostruire la storia di un sito plurimillenario con i più avanzati strumenti dell’archeologia contemporanea.
Il progetto è tutto italiano: mentre i lavori sulla pavimentazione sono affidati al Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” di Torino, a condurre gli scavi sono gli archeologi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università “La Sapienza” di Roma, in cima ai ranking mondiali del settore e attivi sul Palatino come in Medio Oriente, dalle rovine di Ebla, in Siria, alla città preistorica di Arslantepe, in Turchia, che nel 2021 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento Unesco dopo 60 anni di scavi.
Coordinate dalla professoressa Francesca Romana Stasolla, le indagini sulla Basilica del Santo Sepolcro sono iniziate a maggio 2022 e si concluderanno nell’arco di 26 mesi grazie a un team interdisciplinare che comprende archeologi, storici e storici dell’arte, geologi, ingegneri e perfino psicologi, ma anche dottorandi e studenti, che hanno l’opportunità di fare le loro prime esperienze in un sito straordinario.
Ne parliamo con il professor Giorgio Piras, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università “La Sapienza”.
La Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme è un sito senza eguali al mondo. Che sensazioni le provoca lavorare in un posto così?
“La Basilica del Santo Sepolcro è un luogo carico di storia e di simboli. Entrarci è emozionante anche per un semplice turista, figuriamoci per un archeologo: lavorare qui con le proprie mani, a contatto diretto con la terra, è un’impresa di grande valore emotivo, oltre che scientifico”.
Cos’è che la rende così speciale, anche rispetto ad altri siti archeologici legati alla storia della Cristianità?
“L’area in cui stiamo scavando è considerata il luogo della sepoltura di Cristo fin dalla tarda antichità. Già nel IV secolo la tradizione e il culto erano talmente radicati che Costantino decise di far costruire lì una basilica intitolata al Santo Sepolcro. Non sappiamo esattamente quanto sia antica questa tradizione, ma è possibile che risalga davvero al I secolo dopo Cristo, perché ancor prima dell’avvento del Cristianesimo in quella zona c’era una cava utilizzata come sepolcreto. Su questo punto c’è una forte corrispondenza tra le tracce archeologiche e quanto riportato nei Vangeli e in altre fonti scritte. Anche se non è facile dimostrare che la tomba di Cristo si trovasse proprio qui, colpisce pensare che stiamo entrando nel vivo di una tradizione così antica”.
Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro. La cupola sulla tomba di Gesù. Foto Wknight94/Israel via Wikimedia Commons
Qual è l’obiettivo degli scavi che state svolgendo? A quali domande cercherete di dare risposta?
“Le comunità che hanno in carico la custodia della Basilica hanno deciso di restaurare la pavimentazione di epoca medievale, che attualmente è in pessime condizioni. Per la prima volta nella storia è possibile scavare al di sotto del pavimento, che non era mai stato rimosso prima se non per la sostituzione di singole pietre. In queste occasioni sono stati fatti dei sondaggi parziali del sottosuolo, ma mai uno scavo sistematico come quello che stiamo conducendo oggi. Con i metodi più avanzati dell’archeologia contemporanea speriamo di poter finalmente ricostruire con esattezza la storia di questo luogo altamente simbolico”.
Che cosa vi aspettate di trovare?
“L’edificio che vediamo oggi è di epoca medievale e ha subito vari rifacimenti fino all’Ottocento, ma sappiamo con certezza che si trova proprio sull’area dell’antica Basilica costantiniana, della quale stiamo già portando alla luce i resti. Contiamo di ricostruirne la struttura e di scoprire come fosse fatta realmente, cosa finora impossibile. In più potremmo trovare testimonianze di fasi ancora precedenti, per esempio i resti di un tempio dedicato ad Adriano che sappiamo essere sorto qui nel II secolo dopo Cristo. L’obiettivo è quello di spingerci il più indietro possibile nel tempo, in modo da ottenere una piena ricostruzione della storia del luogo”.
A che punto sono i lavori? Sono già emerse scoperte interessanti?
“Abbiamo iniziato dalla Rotonda, la parte più importante della Basilica, dove si trova l’edicola che secondo la tradizione è costruita sul luogo esatto della sepoltura di Cristo. Sono già emerse tracce di fasi molto antiche: sono stati rinvenuti resti delle fondazioni e dei muri della Basilica costantiniana, e abbiamo scoperto che chi l’ha edificata nel IV secolo ha prima livellato il terreno con pietre di risulta. Sono emersi frammenti di ceramica e di decorazioni risalenti presumibilmente alla stessa epoca. In seguito dateremo i reperti pezzo per pezzo, perché i romani utilizzavano spesso materiale di risulta per costruire e questo potrebbe riservare qualche sorpresa”.
L'esterno della Basilica del Santo Sepolcro nel 1841, da Travelers in the Middle East Archive (TIMEA). Foto Hamerton, R.G. via Wikimedia Commons
Quali difficoltà comporta scavare in un sito come questo?
“La difficoltà maggiore sta nel garantire la piena accessibilità della Basilica, come ci è stato chiesto dalle comunità che l’hanno in custodia. Le nostre ricerche non interromperanno mai il pellegrinaggio e il culto. Perciò lavoriamo per zone: scaviamo in un’area e poi ricopriamo, per proseguire con la zona successiva. Si scava notte e giorno, e in alcuni punti lavoreremo sotto delle passerelle che consentiranno il passaggio dei pellegrini, con il massimo rispetto per un luogo che è sacro per miliardi di persone. Inoltre dover recuperare fasi molto diverse cronologicamente, con costruzioni che si sovrappongono nel tempo, rende l’intervento ancora più complesso”.
Il vostro è un team interdisciplinare con un’ampia gamma di professionalità, compresi alcuni psicologi. Come mai?
“Gerusalemme e la stessa Basilica del Santo Sepolcro sono nodi di complesse tensioni politico-religiose. È una situazione che può generare stress, specie nei più giovani: dottorandi, assegnisti e studenti poco più che ventenni con cui condividiamo questa esperienza straordinaria. Ecco il motivo della presenza degli psicologi. Il grosso del team in realtà è composto da archeologi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, affiancati da tecnici di geologia e ingegneri statici. Il restauro delle pietre del pavimento, invece, sarà realizzato dalla Venaria Reale di Torino con criteri rigorosamente conservativi: le pietre non più utilizzabili saranno sostituite con materiale locale, lo stesso che veniva utilizzato nel Medioevo, e per la posa ci si avvarrà di maestranze del posto”.
La storia della Basilica è percorsa da un intreccio di conflitti, negoziazioni e rapporti interreligiosi. In che modo l’archeologia entra in relazione con le comunità che hanno in custodia il sito?
“Siamo in ottimi rapporti con tutte e tre le principali comunità – cattolica, ortodossa e cattolico-armena - che gestiscono questo luogo sulla base dello Status Quo, un accordo che risale alla metà dell’Ottocento. Lavorare nella Basilica del Santo Sepolcro richiede estrema attenzione anche ai gesti più semplici, perché c’è una tradizione consolidata da rispettare. Anche una pietra o un chiodo qui assumono dei significati particolari, perché legati all’una o all’altra comunità. Infine è necessario coinvolgere tutte le comunità in maniera paritetica. Noi ne siamo ben coscienti e cerchiamo di farlo con il massimo della sensibilità”.
Basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme. Foto di Matanya via Wikimedia Commons
Il progetto è tutto italiano: mentre i lavori sulla pavimentazione sono affidati al Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” di Torino, a condurre gli scavi sono gli archeologi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università “La Sapienza” di Roma, in cima ai ranking mondiali del settore e attivi sul Palatino come in Medio Oriente, dalle rovine di Ebla, in Siria, alla città preistorica di Arslantepe, in Turchia, che nel 2021 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento Unesco dopo 60 anni di scavi.
Coordinate dalla professoressa Francesca Romana Stasolla, le indagini sulla Basilica del Santo Sepolcro sono iniziate a maggio 2022 e si concluderanno nell’arco di 26 mesi grazie a un team interdisciplinare che comprende archeologi, storici e storici dell’arte, geologi, ingegneri e perfino psicologi, ma anche dottorandi e studenti, che hanno l’opportunità di fare le loro prime esperienze in un sito straordinario.
Ne parliamo con il professor Giorgio Piras, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università “La Sapienza”.
La Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme è un sito senza eguali al mondo. Che sensazioni le provoca lavorare in un posto così?
“La Basilica del Santo Sepolcro è un luogo carico di storia e di simboli. Entrarci è emozionante anche per un semplice turista, figuriamoci per un archeologo: lavorare qui con le proprie mani, a contatto diretto con la terra, è un’impresa di grande valore emotivo, oltre che scientifico”.
Cos’è che la rende così speciale, anche rispetto ad altri siti archeologici legati alla storia della Cristianità?
“L’area in cui stiamo scavando è considerata il luogo della sepoltura di Cristo fin dalla tarda antichità. Già nel IV secolo la tradizione e il culto erano talmente radicati che Costantino decise di far costruire lì una basilica intitolata al Santo Sepolcro. Non sappiamo esattamente quanto sia antica questa tradizione, ma è possibile che risalga davvero al I secolo dopo Cristo, perché ancor prima dell’avvento del Cristianesimo in quella zona c’era una cava utilizzata come sepolcreto. Su questo punto c’è una forte corrispondenza tra le tracce archeologiche e quanto riportato nei Vangeli e in altre fonti scritte. Anche se non è facile dimostrare che la tomba di Cristo si trovasse proprio qui, colpisce pensare che stiamo entrando nel vivo di una tradizione così antica”.
Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro. La cupola sulla tomba di Gesù. Foto Wknight94/Israel via Wikimedia Commons
Qual è l’obiettivo degli scavi che state svolgendo? A quali domande cercherete di dare risposta?
“Le comunità che hanno in carico la custodia della Basilica hanno deciso di restaurare la pavimentazione di epoca medievale, che attualmente è in pessime condizioni. Per la prima volta nella storia è possibile scavare al di sotto del pavimento, che non era mai stato rimosso prima se non per la sostituzione di singole pietre. In queste occasioni sono stati fatti dei sondaggi parziali del sottosuolo, ma mai uno scavo sistematico come quello che stiamo conducendo oggi. Con i metodi più avanzati dell’archeologia contemporanea speriamo di poter finalmente ricostruire con esattezza la storia di questo luogo altamente simbolico”.
Che cosa vi aspettate di trovare?
“L’edificio che vediamo oggi è di epoca medievale e ha subito vari rifacimenti fino all’Ottocento, ma sappiamo con certezza che si trova proprio sull’area dell’antica Basilica costantiniana, della quale stiamo già portando alla luce i resti. Contiamo di ricostruirne la struttura e di scoprire come fosse fatta realmente, cosa finora impossibile. In più potremmo trovare testimonianze di fasi ancora precedenti, per esempio i resti di un tempio dedicato ad Adriano che sappiamo essere sorto qui nel II secolo dopo Cristo. L’obiettivo è quello di spingerci il più indietro possibile nel tempo, in modo da ottenere una piena ricostruzione della storia del luogo”.
A che punto sono i lavori? Sono già emerse scoperte interessanti?
“Abbiamo iniziato dalla Rotonda, la parte più importante della Basilica, dove si trova l’edicola che secondo la tradizione è costruita sul luogo esatto della sepoltura di Cristo. Sono già emerse tracce di fasi molto antiche: sono stati rinvenuti resti delle fondazioni e dei muri della Basilica costantiniana, e abbiamo scoperto che chi l’ha edificata nel IV secolo ha prima livellato il terreno con pietre di risulta. Sono emersi frammenti di ceramica e di decorazioni risalenti presumibilmente alla stessa epoca. In seguito dateremo i reperti pezzo per pezzo, perché i romani utilizzavano spesso materiale di risulta per costruire e questo potrebbe riservare qualche sorpresa”.
L'esterno della Basilica del Santo Sepolcro nel 1841, da Travelers in the Middle East Archive (TIMEA). Foto Hamerton, R.G. via Wikimedia Commons
Quali difficoltà comporta scavare in un sito come questo?
“La difficoltà maggiore sta nel garantire la piena accessibilità della Basilica, come ci è stato chiesto dalle comunità che l’hanno in custodia. Le nostre ricerche non interromperanno mai il pellegrinaggio e il culto. Perciò lavoriamo per zone: scaviamo in un’area e poi ricopriamo, per proseguire con la zona successiva. Si scava notte e giorno, e in alcuni punti lavoreremo sotto delle passerelle che consentiranno il passaggio dei pellegrini, con il massimo rispetto per un luogo che è sacro per miliardi di persone. Inoltre dover recuperare fasi molto diverse cronologicamente, con costruzioni che si sovrappongono nel tempo, rende l’intervento ancora più complesso”.
Il vostro è un team interdisciplinare con un’ampia gamma di professionalità, compresi alcuni psicologi. Come mai?
“Gerusalemme e la stessa Basilica del Santo Sepolcro sono nodi di complesse tensioni politico-religiose. È una situazione che può generare stress, specie nei più giovani: dottorandi, assegnisti e studenti poco più che ventenni con cui condividiamo questa esperienza straordinaria. Ecco il motivo della presenza degli psicologi. Il grosso del team in realtà è composto da archeologi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, affiancati da tecnici di geologia e ingegneri statici. Il restauro delle pietre del pavimento, invece, sarà realizzato dalla Venaria Reale di Torino con criteri rigorosamente conservativi: le pietre non più utilizzabili saranno sostituite con materiale locale, lo stesso che veniva utilizzato nel Medioevo, e per la posa ci si avvarrà di maestranze del posto”.
La storia della Basilica è percorsa da un intreccio di conflitti, negoziazioni e rapporti interreligiosi. In che modo l’archeologia entra in relazione con le comunità che hanno in custodia il sito?
“Siamo in ottimi rapporti con tutte e tre le principali comunità – cattolica, ortodossa e cattolico-armena - che gestiscono questo luogo sulla base dello Status Quo, un accordo che risale alla metà dell’Ottocento. Lavorare nella Basilica del Santo Sepolcro richiede estrema attenzione anche ai gesti più semplici, perché c’è una tradizione consolidata da rispettare. Anche una pietra o un chiodo qui assumono dei significati particolari, perché legati all’una o all’altra comunità. Infine è necessario coinvolgere tutte le comunità in maniera paritetica. Noi ne siamo ben coscienti e cerchiamo di farlo con il massimo della sensibilità”.
Basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme. Foto di Matanya via Wikimedia Commons
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