Furio Cavallini ovvero il Crazy Horse di Bianciardi
Dal 15 Gennaio 2022 al 13 Marzo 2022
Grosseto
Luogo: Polo Culturale le Clarisse
Indirizzo: Via Vinzaglio 27
Orari: dal giovedì al sabato 11-13 / 17-19
Curatori: Elisa Favilli e Fabio Canessa
Enti promotori:
- Associazione Culturale Giuseppe e Gina Flangini
- Comune di Grosseto
- Fondazione Grosseto Cultura
- Polo culturale le Clarisse
- Fondazione Luciano Bianciardi
- Famiglia Cavallini
Prolungata: fino al 13 marzo 2022
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0564 488066
E-Mail info: clarissearte@fondazionegrossetocultura.it
Il Polo Culturale le Clarisse, dal 15 gennaio al 13 febbraio 2022, ospita la mostra “Furio Cavallini ovvero il Crazy Horse di Bianciardi”.
Promossa dall’Associazione Culturale Giuseppe e Gina Flangini, in collaborazione con il Comune di Grosseto, la Fondazione Grosseto Cultura, il Polo culturale le Clarisse, la Fondazione Luciano Bianciardi e la Famiglia Cavallini, la mostra è il primo evento culturale con cui il Comune di Grosseto dà ufficialmente inizio alle celebrazioni dei cento anni dalla nascita di Luciano Bianciardi (1922-2022).
Curata da Elisa Favilli, storica dell’arte, e Fabio Canessa, critico letterario e cinematografico, la mostra è un intreccio narrativo basato sull’amicizia ventennale (1954-1971) intercorsa tra il pittore Furio Cavallini (Piombino 1929 - Cecina 2012) e lo scrittore Luciano Bianciardi (Grosseto 1922 - Milano 1971).
23 opere (quadri e disegni) realizzate da Cavallini dialogheranno con 12 brani tratti dagli scritti realizzati da Bianciardi. Testi quest’ultimi che avranno il compito di svelare ad ogni lettore-visitatore sia lo sguardo critico con cui lo scrittore grossetano raccontava il suo personale punto di vista sull’arte, sia la complicità su cui Cavallini e Bianciardi seppero edificare la propria amicizia, grazie alla presentazione in mostra delle lettere che Bianciardi inviò all’amico piombinese, oggi conservate negli archivi della Fondazione Luciano Bianciardi e della Famiglia Cavallini.
Essenziale, la mostra si pone l’obiettivo di mettere in luce la dimensione umana dei due personaggi, lasciando ad ogni visitatore il compito di catturare la bellezza con cui i due autori seppero, nel rispettivo medium, pittorico e scrittorio, interpretare il proprio tempo, denunciando la disumanità con cui il benessere effimero del boom economico rendeva l’uomo schiavo del lusso, privandolo di tutti quei valori che solo un decennio prima avevano liberato l’Italia dal nazifascismo.
All’interno del catalogo (Pacini Editore Srl) il tempo della mostra sarà ampliato nella dimensione critica-scientifica per offrire ad ogni visitatore la possibilità di conoscere la figura artistica di Furio Cavallini, la sua vita, i personaggi che intrecciarono con lui i suoi passi e la sua evoluzione espressiva, Bianciardi e il suo personale rapporto con l’arte, i suoi gusti e le sue opinioni sul cinema, la musica, la pittura con i suoi stili, le proprie correnti e i suoi attori. Tutto senza dimenticare il punto focale delle mostra: l’amicizia sincera che i due amici seppero tessere.
Furio Cavallini
Nasce a Piombino nel 1929. Con lo scoppio della guerra, nel 1941, si trasferisce a Riparbella, città natale del padre. Qui prende forma la sua personalità, il suo sguardo critico e la sua educazione sessuale. Lavora come tagliaboschi al fianco del padre, Giuseppe Cavallini, anarchico militante. Legge tantissimo, trovando in Cassola e il suo immobilismo la sua libertà di raccontare attraverso l’oggetto le emozioni e le sue contaminazioni umane. Dopo il 1945, torna a Piombino dove entra come operaio alla Magona. Segue le lezioni di nudo all’Accademia di belle arti di Firenze . Nel 1952 lascia la città portuale per diplomarsi in pittura. A Firenze conosce e frequenta il gruppo Pittori delle Dune (Gino Gonni, Emilio Ambron, Renzo Baraldi, Silvano Bozzolini, Beppe Lieto, Ormanno Fieraboschi e Hubert Queloz). Approfondisce lo studio del disegno, ricercando nella pittura umanistica e rinascimentale del capoluogo toscano la sua identità espressiva. Grazie alla vendita di alcuni suoi disegni nelle gallerie d’arte di Milano sceglie di abbandonare Firenze per la città lombarda. Prosegue i suoi studi all’Accademia d’arte di Brera. Qui frequenta i corsi di Aldo Caprai, il leader del gruppo i Pittori di Brera e del movimento esistenzialista. L’informale, il realismo, l’atomismo di Baj, lo spazialismo di Fontana, entrano nel suo lessico ma senza sconvolgere la sua identità toscana. Nel 1954 conosce Bianciardi al bar Jamaica. Il caffè degli artisti, degli oppositori, spazio laico dei bohemiens, isola felice dei perdigiorno, ma soprattutto crocevia di incontri dove imbandire veri e propri dibattiti. È la critica feroce verso la frenesia dei tempi moderni, contro il concetto effimero e ipocrita con cui lo Stato grida al “miracolo economico italiano”, a catalizzare le coscienze dei frequentatori del bar. Qui entra in contatto con il gruppo del “Realismo Esistenziale” in particolare con Giuseppe Guerreschi e Tino Vaglieri. Il loro è un realismo espressionista svincolato dalla partecipazione attiva alla politica e privo di ideologismi, punto di vista quest’ultimo che Cavallini rafforza nella sua cura verso il dettaglio, offrendo all’oggetto, nella sua essenza materica la possibilità di ampliare in modo dei significati che in esso trovano compimento. A Milano Cavallini amplia il cerchio delle sue amicizie, conosce Oreste del Buono e Camillo Pennati. Mal nutrito e pieno di debiti, lascia la pittura e grazie all’ingegner Conconi entra a lavorare alla Motomeccanica di Milano. Il contatto diretto con i prodotti chimici e i ritmi di lavoro estenuanti lo fanno ammalare di tubercolosi. Nel 1956, pagati tutti i debiti, viene ricoverato nel sanatorio di Firenze. Torna a dipingere e la città toscana lo premia con mostre personali, riconoscendogli la sua identità di pittore contemporaneo. Problemi familiari lo riportano a Piombino, torna a lavorare in fabbrica, luogo dove conosce Deanna Moretti, la donna che diverrà sua moglie e musa nelle sue rappresentazioni di nudo. Dal loro matrimonio nascono Giovanni e Giulia. Nel 1966 lascia Piombino. Ottiene una cattedra come assistente di laboratorio al liceo artistico, lavoro che gli permetterà di dedicarsi integralmente alla pittura. Nel 1973 vince una cattedra di pittura al liceo artistico di Busto Arsizio, torna con tutta la famiglia a Milano. Nel 1977 abbandona l’insegnamento per dedicarsi integralmente alla pittura. Gli interni, l’oggetto e la sua presenza quotidiana diventano, insieme alle giacche, i suoi soggetti prediletti Nel 1987 orfano della propria vena creativa, Cavallini si trasferisce, grazie a Ugo Guarino, per alcuni mesi nell’ex manicomio di Trieste. Qui condivide il suo tempo con gli ex ospiti della struttura sanitaria, rimasti lì sospesi tra una vita malata e una vita normale. Sono anni di ricerca, di fervore creativo, dove spinge al massimo il suo bisogno di dare una forma morale alle sue giacche, mentre scandaglia le profondità di quell’umanità distorta e alienata con cui condivide la sua quotidianità. Qui realizza un numero consistente di ritratti, dipinti ma soprattutto disegni su cui torna negli anni successivi a ricercare la perfezione assoluta. Dipinge e poi con la carta di giornale toglie la superficie in eccesso per ritornare successivamente a definire la forma di ogni singola pennellata. La ricerca della forma pura dei primi anni adesso cede il passo alla dirompenza del gesto, il particolare diventa allora parte di una dimensione astratta con cui raccontare e catturare la bellezza dell’infinito. Nel 1997 torna con la moglie a Riparbella. Ripercorre la sua infanzia, ricerca i paesaggi condivisi con il padre, lasciando al paesaggio un posto d’onore nella sua visione artistica. Nel 2004 si trasferisce a Cecina, città dove muore nel 2012.
Promossa dall’Associazione Culturale Giuseppe e Gina Flangini, in collaborazione con il Comune di Grosseto, la Fondazione Grosseto Cultura, il Polo culturale le Clarisse, la Fondazione Luciano Bianciardi e la Famiglia Cavallini, la mostra è il primo evento culturale con cui il Comune di Grosseto dà ufficialmente inizio alle celebrazioni dei cento anni dalla nascita di Luciano Bianciardi (1922-2022).
Curata da Elisa Favilli, storica dell’arte, e Fabio Canessa, critico letterario e cinematografico, la mostra è un intreccio narrativo basato sull’amicizia ventennale (1954-1971) intercorsa tra il pittore Furio Cavallini (Piombino 1929 - Cecina 2012) e lo scrittore Luciano Bianciardi (Grosseto 1922 - Milano 1971).
23 opere (quadri e disegni) realizzate da Cavallini dialogheranno con 12 brani tratti dagli scritti realizzati da Bianciardi. Testi quest’ultimi che avranno il compito di svelare ad ogni lettore-visitatore sia lo sguardo critico con cui lo scrittore grossetano raccontava il suo personale punto di vista sull’arte, sia la complicità su cui Cavallini e Bianciardi seppero edificare la propria amicizia, grazie alla presentazione in mostra delle lettere che Bianciardi inviò all’amico piombinese, oggi conservate negli archivi della Fondazione Luciano Bianciardi e della Famiglia Cavallini.
Essenziale, la mostra si pone l’obiettivo di mettere in luce la dimensione umana dei due personaggi, lasciando ad ogni visitatore il compito di catturare la bellezza con cui i due autori seppero, nel rispettivo medium, pittorico e scrittorio, interpretare il proprio tempo, denunciando la disumanità con cui il benessere effimero del boom economico rendeva l’uomo schiavo del lusso, privandolo di tutti quei valori che solo un decennio prima avevano liberato l’Italia dal nazifascismo.
All’interno del catalogo (Pacini Editore Srl) il tempo della mostra sarà ampliato nella dimensione critica-scientifica per offrire ad ogni visitatore la possibilità di conoscere la figura artistica di Furio Cavallini, la sua vita, i personaggi che intrecciarono con lui i suoi passi e la sua evoluzione espressiva, Bianciardi e il suo personale rapporto con l’arte, i suoi gusti e le sue opinioni sul cinema, la musica, la pittura con i suoi stili, le proprie correnti e i suoi attori. Tutto senza dimenticare il punto focale delle mostra: l’amicizia sincera che i due amici seppero tessere.
Furio Cavallini
Nasce a Piombino nel 1929. Con lo scoppio della guerra, nel 1941, si trasferisce a Riparbella, città natale del padre. Qui prende forma la sua personalità, il suo sguardo critico e la sua educazione sessuale. Lavora come tagliaboschi al fianco del padre, Giuseppe Cavallini, anarchico militante. Legge tantissimo, trovando in Cassola e il suo immobilismo la sua libertà di raccontare attraverso l’oggetto le emozioni e le sue contaminazioni umane. Dopo il 1945, torna a Piombino dove entra come operaio alla Magona. Segue le lezioni di nudo all’Accademia di belle arti di Firenze . Nel 1952 lascia la città portuale per diplomarsi in pittura. A Firenze conosce e frequenta il gruppo Pittori delle Dune (Gino Gonni, Emilio Ambron, Renzo Baraldi, Silvano Bozzolini, Beppe Lieto, Ormanno Fieraboschi e Hubert Queloz). Approfondisce lo studio del disegno, ricercando nella pittura umanistica e rinascimentale del capoluogo toscano la sua identità espressiva. Grazie alla vendita di alcuni suoi disegni nelle gallerie d’arte di Milano sceglie di abbandonare Firenze per la città lombarda. Prosegue i suoi studi all’Accademia d’arte di Brera. Qui frequenta i corsi di Aldo Caprai, il leader del gruppo i Pittori di Brera e del movimento esistenzialista. L’informale, il realismo, l’atomismo di Baj, lo spazialismo di Fontana, entrano nel suo lessico ma senza sconvolgere la sua identità toscana. Nel 1954 conosce Bianciardi al bar Jamaica. Il caffè degli artisti, degli oppositori, spazio laico dei bohemiens, isola felice dei perdigiorno, ma soprattutto crocevia di incontri dove imbandire veri e propri dibattiti. È la critica feroce verso la frenesia dei tempi moderni, contro il concetto effimero e ipocrita con cui lo Stato grida al “miracolo economico italiano”, a catalizzare le coscienze dei frequentatori del bar. Qui entra in contatto con il gruppo del “Realismo Esistenziale” in particolare con Giuseppe Guerreschi e Tino Vaglieri. Il loro è un realismo espressionista svincolato dalla partecipazione attiva alla politica e privo di ideologismi, punto di vista quest’ultimo che Cavallini rafforza nella sua cura verso il dettaglio, offrendo all’oggetto, nella sua essenza materica la possibilità di ampliare in modo dei significati che in esso trovano compimento. A Milano Cavallini amplia il cerchio delle sue amicizie, conosce Oreste del Buono e Camillo Pennati. Mal nutrito e pieno di debiti, lascia la pittura e grazie all’ingegner Conconi entra a lavorare alla Motomeccanica di Milano. Il contatto diretto con i prodotti chimici e i ritmi di lavoro estenuanti lo fanno ammalare di tubercolosi. Nel 1956, pagati tutti i debiti, viene ricoverato nel sanatorio di Firenze. Torna a dipingere e la città toscana lo premia con mostre personali, riconoscendogli la sua identità di pittore contemporaneo. Problemi familiari lo riportano a Piombino, torna a lavorare in fabbrica, luogo dove conosce Deanna Moretti, la donna che diverrà sua moglie e musa nelle sue rappresentazioni di nudo. Dal loro matrimonio nascono Giovanni e Giulia. Nel 1966 lascia Piombino. Ottiene una cattedra come assistente di laboratorio al liceo artistico, lavoro che gli permetterà di dedicarsi integralmente alla pittura. Nel 1973 vince una cattedra di pittura al liceo artistico di Busto Arsizio, torna con tutta la famiglia a Milano. Nel 1977 abbandona l’insegnamento per dedicarsi integralmente alla pittura. Gli interni, l’oggetto e la sua presenza quotidiana diventano, insieme alle giacche, i suoi soggetti prediletti Nel 1987 orfano della propria vena creativa, Cavallini si trasferisce, grazie a Ugo Guarino, per alcuni mesi nell’ex manicomio di Trieste. Qui condivide il suo tempo con gli ex ospiti della struttura sanitaria, rimasti lì sospesi tra una vita malata e una vita normale. Sono anni di ricerca, di fervore creativo, dove spinge al massimo il suo bisogno di dare una forma morale alle sue giacche, mentre scandaglia le profondità di quell’umanità distorta e alienata con cui condivide la sua quotidianità. Qui realizza un numero consistente di ritratti, dipinti ma soprattutto disegni su cui torna negli anni successivi a ricercare la perfezione assoluta. Dipinge e poi con la carta di giornale toglie la superficie in eccesso per ritornare successivamente a definire la forma di ogni singola pennellata. La ricerca della forma pura dei primi anni adesso cede il passo alla dirompenza del gesto, il particolare diventa allora parte di una dimensione astratta con cui raccontare e catturare la bellezza dell’infinito. Nel 1997 torna con la moglie a Riparbella. Ripercorre la sua infanzia, ricerca i paesaggi condivisi con il padre, lasciando al paesaggio un posto d’onore nella sua visione artistica. Nel 2004 si trasferisce a Cecina, città dove muore nel 2012.
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