Sacro & Profano. Capolavori a Viterbo tra il Quattrocento e il Settecento
Dal 23 Dicembre 2014 al 15 Febbraio 2015
Viterbo
Luogo: Palazzo dei Priori e altre sedi
Indirizzo: piazza del Plebiscito
Curatori: Andrea Alessi
Enti promotori:
- Comune di Viterbo
- Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Lazio
- Diocesi di Viterbo
- Fondazione Carivit
E-Mail info: ufficiostampa@gbeditoria.it
Sito ufficiale: http://www.comune.viterbo.it
Sacro & Profano. Capolavori a Viterbo tra il Quattrocento e il Settecento, questo è il titolo della mostra che aprirà i battenti il 23 dicembre 2014, alle ore 17. Sei sono le sedi dove si articola l’esposizione: da Palazzo dei Priori al Museo civico, passando per le due importanti chiese di San Silvestro e del Gonfalone sino ai musei del Colle del Duomo e dell’Abate a San Martino al Cimino.
La mostra, promossa dal Comune di Viterbo e patrocinata dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, dalla Diocesi di Viterbo e dalla Fondazione Carivit, ha un comitato scientifico costituito dal curatore, dal soprintendente Anna Imponente, dall’ex soprintendente del Polo museale romano, Claudio Strinati, e dai professori della Facoltà di Conservazione dei Beni culturali “Mediterranea” di Reggio Calabria Enzo Bentivoglio e Simonetta Valtieri.
A Palazzo dei Priori, cappella Palatina, il sacro è rappresentato da l’Incredulità di San Tommaso di Salvator Rosa, trasferita temporaneamente dalla sede del Museo civico e da la Visitazione di Maria ad Elisabetta di Bartolomeo Cavarozzi. Il profano è invece rappresentato da Ercole e Onfale di Romanelli (sempre trasferita dal civico).
Nella chiesa di San Silvestro si possono scoprire le 14 virtù profane di Palazzo Spreca, mentre nel Museo del colle del Duomo si trova la Crocifissione di Cristo tra i dolenti qui attribuita alla scuola michelangiolesca. E ancora: nella chiesa del Gonfalone merita attenzione lo Stendardo processionale, di Giovanni Francesco Romanelli, Battesimo di Cristo e Maria Santissima del Riscatto con San Bonaventura. C’è poi il Museo civico con la Flagellazione di Cristo e la Pietà di Sebastiano del Piombo oltre a la morte di Santa Maria egiziaca di Marco Benefial e il Sacrificio di Polissena di Domenico Corvi. Infine, il Museo dell’Abate a San Martino dove è conservato lo splendido Stendardo di Mattia Preti con il Cristo Eucartistico e San Martino che dona il mantello al povero.
“Forse per la prima volta dopo molto tempo, una mostra come questa è stata pensata e allestita nella forma di un vera e propria esaltazione della città di Viterbo e dei valori storici e culturali che Viterbo esprime fin da tempi remotissimi” sostiene Claudio Strinati, ex soprintendente Speciale del Polo Museale romano, autore, nel catalogo della mostra, dell’introduzione. “La mostra presenta, in primis, opere di grande bellezza e altissimo interesse storico-critico. Alessi ha selezionato una serie di opere che onorano il patrimonio artistico viterbese e le ha messe in rapporto tra loro e lo ha fatto non nel nome del bell’accostamento, ma nel nome della ricerca storica e delle tematiche peculiari dell’arte figurativa individuate in determinati ambiti di pensiero. Ed è ben logico per una città come Viterbo, che si gloriò e si gloria della presenza di uno dei più grandi pittori veneti di tutti i tempi, Sebastiano del Piombo. Alcune opere costituenti la mostra sono situate in luoghi cruciali come la chiesa del Gonfalone o quella del
Gesù e questo permette al visitatore di scoprire o riscoprire edifici molto significativi nella storia della città. Altre opere sono presentate nel Museo Civico e ne scaturisce una sorta di mostra itinerante che non perde mai il filo delle connessioni che il curatore ha evidenziato, anzi ne coglie meglio il senso e il piacere della conoscenza.
Alessi ha scelto i grandi temi non solo della storia dell’arte, ma della vita stessa e li ha raccontati attraverso le opere, mettendo ognuno di noi in condizione di vivere una autentica esperienza estetica che giova alle nostre conoscenze e nutre la nostra sensibilità. I temi, infatti, sono quelli semplici e essenziali alla base della quotidianità, così come dell’atto estetico: il Sacro e il Profano; la dimensione del miracolo nell’ottica cristiana; il contrasto eterno tra il bello e il brutto; l’ambiguità dell’esistenza e quella dell’arte quali fattori indispensabili per la crescita della coscienza; la percezione della caducità e, nel contempo, della energia della vita, sempre compresenti in ogni momento della nostra esistenza. Così, attraversando Viterbo, attraversiamo nella maniera più naturale anche tali inesauribili tematiche e le troviamo nei grandi quadri di maestri sovente eccelsi e determinanti per la vita della città e per la storia dell’arte universale. Così appaiono figure gigantesche come Sebastiano del Piombo stesso, Bartolomeo Cavarozzi – lui proprio viterbese di nascita, di cui possiamo rivedere con crescente entusiasmo il capolavoro della Visitazione – Salvator Rosa, Gian Francesco Romanelli anch’egli viterbese, Marco Benefial e, accanto a loro, uno splendido quadro di Domenico Corvi. Ma non mancano anche aspetti connessi con la ricerca e con l’approfondimento. Si possono così rivedere i notevoli e affascinanti affreschi staccati da Palazzo Spreca e ora di nuovo riuniti, il cui autore ancora sfugge alla storiografia, ma sempre più si palesa come pittore locale, ancorché connesso con la grande cultura toscana della fine del Quattrocento, o il cospicuo Crocifisso con i dolenti che sembra anch’esso opera tipicamente viterbese, ma di quella cultura viterbese che, alla metà del Cinquecento, dettò legge a tutto il mondo cristiano assorbendo le più strepitose novità provenienti da Michelangelo, da Sebastiano del Piombo e dalla loro scuola, e di cui si vedono echi interessanti anche in un bel dipinto un po’ più tardo riferito alla cerchia del manierista Cesare Nebbia, orvietano, conservato nel Museo Civico e uno stendardo di Mattia Preti conservato a San Marino al Cimino. Una mostra dunque, che offrirà al visitatore una gamma vastissima di conoscenze e l’opportunità di riflettere un po’ meglio sulla grandezza della storia viterbese e sui suoi necessari e auspicati sviluppi in questa nuova fervida stagione di studi e ricerche”.
Il sacro e il profano nell’arte, dal Quattrocento al Settecento. Ventitré dipinti conservati a Viterbo in un percorso che da Palazzo dei Priori arriva a San Martino al Cimino, toccando due chiese e tre musei. Un viaggio, alla riscoperta della città, ammirando capolavori distanti tra loro, ma uniti da quel sottile filo degli opposti che da sempre ha ispirato pittori e artisti.
“E la prima volta che a Viterbo – sostiene il curatore – si sceglie di lasciare le opere nelle loro collocazioni naturali, cercando piuttosto di valorizzarle e di renderle appetibili al grande pubblico anziché delocalizzarle nei contesti asettici degli spazi allestitivi. E’ un’operazione di rivalutazione del nostro territorio a chilometri zero. Un’operazione di riqualificazione del nostro patrimonio storico-artistico che si pone in netta controtendenza rispetto al circuito delle cosiddette grandi mostre che oggi si realizzano in Italia e all’estero e che ha pochi precedenti illustri come ‘Perugino’ a Perugia o ‘Bramantino’ a Milano”.
Tutti i capolavori qui presentati sono stati interamente rianalizzati per l’occasione e per molti di loro è stata proposta una lettura iconologica totalmente inedita, o sono stati studiati ex novo. Una campagna fotografica ad hoc e un ricco apparato iconografico e didattico completano la mostra.
La mostra, promossa dal Comune di Viterbo e patrocinata dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, dalla Diocesi di Viterbo e dalla Fondazione Carivit, ha un comitato scientifico costituito dal curatore, dal soprintendente Anna Imponente, dall’ex soprintendente del Polo museale romano, Claudio Strinati, e dai professori della Facoltà di Conservazione dei Beni culturali “Mediterranea” di Reggio Calabria Enzo Bentivoglio e Simonetta Valtieri.
A Palazzo dei Priori, cappella Palatina, il sacro è rappresentato da l’Incredulità di San Tommaso di Salvator Rosa, trasferita temporaneamente dalla sede del Museo civico e da la Visitazione di Maria ad Elisabetta di Bartolomeo Cavarozzi. Il profano è invece rappresentato da Ercole e Onfale di Romanelli (sempre trasferita dal civico).
Nella chiesa di San Silvestro si possono scoprire le 14 virtù profane di Palazzo Spreca, mentre nel Museo del colle del Duomo si trova la Crocifissione di Cristo tra i dolenti qui attribuita alla scuola michelangiolesca. E ancora: nella chiesa del Gonfalone merita attenzione lo Stendardo processionale, di Giovanni Francesco Romanelli, Battesimo di Cristo e Maria Santissima del Riscatto con San Bonaventura. C’è poi il Museo civico con la Flagellazione di Cristo e la Pietà di Sebastiano del Piombo oltre a la morte di Santa Maria egiziaca di Marco Benefial e il Sacrificio di Polissena di Domenico Corvi. Infine, il Museo dell’Abate a San Martino dove è conservato lo splendido Stendardo di Mattia Preti con il Cristo Eucartistico e San Martino che dona il mantello al povero.
“Forse per la prima volta dopo molto tempo, una mostra come questa è stata pensata e allestita nella forma di un vera e propria esaltazione della città di Viterbo e dei valori storici e culturali che Viterbo esprime fin da tempi remotissimi” sostiene Claudio Strinati, ex soprintendente Speciale del Polo Museale romano, autore, nel catalogo della mostra, dell’introduzione. “La mostra presenta, in primis, opere di grande bellezza e altissimo interesse storico-critico. Alessi ha selezionato una serie di opere che onorano il patrimonio artistico viterbese e le ha messe in rapporto tra loro e lo ha fatto non nel nome del bell’accostamento, ma nel nome della ricerca storica e delle tematiche peculiari dell’arte figurativa individuate in determinati ambiti di pensiero. Ed è ben logico per una città come Viterbo, che si gloriò e si gloria della presenza di uno dei più grandi pittori veneti di tutti i tempi, Sebastiano del Piombo. Alcune opere costituenti la mostra sono situate in luoghi cruciali come la chiesa del Gonfalone o quella del
Gesù e questo permette al visitatore di scoprire o riscoprire edifici molto significativi nella storia della città. Altre opere sono presentate nel Museo Civico e ne scaturisce una sorta di mostra itinerante che non perde mai il filo delle connessioni che il curatore ha evidenziato, anzi ne coglie meglio il senso e il piacere della conoscenza.
Alessi ha scelto i grandi temi non solo della storia dell’arte, ma della vita stessa e li ha raccontati attraverso le opere, mettendo ognuno di noi in condizione di vivere una autentica esperienza estetica che giova alle nostre conoscenze e nutre la nostra sensibilità. I temi, infatti, sono quelli semplici e essenziali alla base della quotidianità, così come dell’atto estetico: il Sacro e il Profano; la dimensione del miracolo nell’ottica cristiana; il contrasto eterno tra il bello e il brutto; l’ambiguità dell’esistenza e quella dell’arte quali fattori indispensabili per la crescita della coscienza; la percezione della caducità e, nel contempo, della energia della vita, sempre compresenti in ogni momento della nostra esistenza. Così, attraversando Viterbo, attraversiamo nella maniera più naturale anche tali inesauribili tematiche e le troviamo nei grandi quadri di maestri sovente eccelsi e determinanti per la vita della città e per la storia dell’arte universale. Così appaiono figure gigantesche come Sebastiano del Piombo stesso, Bartolomeo Cavarozzi – lui proprio viterbese di nascita, di cui possiamo rivedere con crescente entusiasmo il capolavoro della Visitazione – Salvator Rosa, Gian Francesco Romanelli anch’egli viterbese, Marco Benefial e, accanto a loro, uno splendido quadro di Domenico Corvi. Ma non mancano anche aspetti connessi con la ricerca e con l’approfondimento. Si possono così rivedere i notevoli e affascinanti affreschi staccati da Palazzo Spreca e ora di nuovo riuniti, il cui autore ancora sfugge alla storiografia, ma sempre più si palesa come pittore locale, ancorché connesso con la grande cultura toscana della fine del Quattrocento, o il cospicuo Crocifisso con i dolenti che sembra anch’esso opera tipicamente viterbese, ma di quella cultura viterbese che, alla metà del Cinquecento, dettò legge a tutto il mondo cristiano assorbendo le più strepitose novità provenienti da Michelangelo, da Sebastiano del Piombo e dalla loro scuola, e di cui si vedono echi interessanti anche in un bel dipinto un po’ più tardo riferito alla cerchia del manierista Cesare Nebbia, orvietano, conservato nel Museo Civico e uno stendardo di Mattia Preti conservato a San Marino al Cimino. Una mostra dunque, che offrirà al visitatore una gamma vastissima di conoscenze e l’opportunità di riflettere un po’ meglio sulla grandezza della storia viterbese e sui suoi necessari e auspicati sviluppi in questa nuova fervida stagione di studi e ricerche”.
Il sacro e il profano nell’arte, dal Quattrocento al Settecento. Ventitré dipinti conservati a Viterbo in un percorso che da Palazzo dei Priori arriva a San Martino al Cimino, toccando due chiese e tre musei. Un viaggio, alla riscoperta della città, ammirando capolavori distanti tra loro, ma uniti da quel sottile filo degli opposti che da sempre ha ispirato pittori e artisti.
“E la prima volta che a Viterbo – sostiene il curatore – si sceglie di lasciare le opere nelle loro collocazioni naturali, cercando piuttosto di valorizzarle e di renderle appetibili al grande pubblico anziché delocalizzarle nei contesti asettici degli spazi allestitivi. E’ un’operazione di rivalutazione del nostro territorio a chilometri zero. Un’operazione di riqualificazione del nostro patrimonio storico-artistico che si pone in netta controtendenza rispetto al circuito delle cosiddette grandi mostre che oggi si realizzano in Italia e all’estero e che ha pochi precedenti illustri come ‘Perugino’ a Perugia o ‘Bramantino’ a Milano”.
Tutti i capolavori qui presentati sono stati interamente rianalizzati per l’occasione e per molti di loro è stata proposta una lettura iconologica totalmente inedita, o sono stati studiati ex novo. Una campagna fotografica ad hoc e un ricco apparato iconografico e didattico completano la mostra.
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