A ottobre da Camera – Centro Italiano per la Fotografia

Presto a Torino la grande fotografia di André Kertész

André Kestész, Tour Eiffel Paris, 1929 © Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GP I Courtesy Camera - Centro Italiano per la Fotografia
 

Francesca Grego

25/08/2023

Torino - “Qualsiasi cosa noi facciamo, Kertész l’ha fatta prima”, disse una volta Henri Cartier-Bresson, che vedeva nel maestro di origine ungherese il padre della fotografia contemporanea. Surreale e diretto, versatile eppure profondo, personale e universale insieme, André Kertész (1894-1985) ha esplorato a 360 gradi i territori della fotografia, lasciando un segno indelebile nella cultura visiva del XX secolo. Le sue immagini prediligono l’attimo, le emozioni passeggere. Anche il profilo dei comignoli sullo sfondo del cielo o il gioco di ombre creato da una forchetta in un piatto sono occasioni di reinventare la realtà, con sguardo modernissimo. La strada è stata il soggetto principale dei suoi scatti, che catturano la felicità silenziosa del quotidiano.
 
Dal prossimo 19 ottobre fino al 4 febbraio 2024 oltre 150 immagini racconteranno tutto questo a Torino nella sede di Camera – Centro Italiano per la Fotografia, in una mostra realizzata in collaborazione con la  Médiathèque du patrimoine et de la photographie (MPP) di Parigi.
A cura di Matthieu Rivallin, responsabile del Dipartimento di fotografia della MPP nonché grande esperto di Kertész, e del direttore artistico di Camera Walter Guadagnini, la rassegna celebra il sessantesimo anniversario della partecipazione di Kertész alla Biennale di Venezia: le opere del percorso sono state selezionate guardando alla lista manoscritta delle foto esposte in quella occasione, ritrovata recentemente negli archivi della MPP.
 
“La mia fotografia è veramente un diario intimo, è uno strumento per dare un’espressione alla mia vita, per descrivere la mia vita come i poeti o gli scrittori descrivono le esperienze che hanno vissuto”, ha spiegato Kertész.
La mostra torinese attraverserà per intero la carriera del fotografo, a partire dalle prime fotografie amatoriali scattate nel suo paese d’origine e durante la Prima Guerra Mondiale: in questi anni, Kertész affina il suo sguardo ed evidenzia già un talento speciale nel trasformare la vita di ogni giorno in immagini sospese tra sogno e apparizione metafisica, come accade nel celebre Nuotatore e nei primi dei suoi numerosi autoritratti.


André Kestész, Tour Eiffel Paris, 1929 © Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GP I Courtesy Camera - Centro Italiano per la Fotografia 

Nel 1925 il fotografo si trasferisce a Parigi, in quegli anni capitale dell’arte e della cultura mondiali, dove produce scatti passati alla storia: le strepitose nature morte realizzate nello studio del pittore Piet Mondrian; i ritratti delle icone del Novecento, dal regista Sergej Eisenstein alla musa Kiki de Montparnasse; le scene di strada, diurne e notturne, catturate nei luoghi dove Kertész cerca, secondo “la vera natura delle cose, l’interiorità, la vita”. E infine le “distorsioni”– giochi nati dagli specchi deformanti del luna park – che lo hanno reso una figura di primo piano anche in ambito surrealista.
 
La terza parte della mostra ci porta negli Stati Uniti, dove il fotografo si trasferisce nel ’36 e trascorre gli ultimi cinquant’anni della sua vita. Gli inizi non sono affatto facili: le immagini di Kertész non sono molto apprezzate negli ambienti del fotogiornalismo di Oltreoceano, dove prevale uno stile rigoroso e didascalico, ma presto il maestro intraprenderà collaborazioni con le più importanti riviste americane. Le immagini di questi anni mostrano come da un lato Kertész continui la ricerca sui temi prediletti, dall’altro evidenziano l’impatto di nuove architetture, stili di vita e panorami metropolitani sulla sua fotografia. Di questo periodo l’esposizione torinese presenterà diversi scatti inediti e spettacolari testimonianze come le foto del porto o dello skyline di New York (in uno appaiono ancora, naturalmente, le Twin Towers), o ancora le foto della casa dell’architetto Philip Johnson, quasi un contraltare di quelle scattate nella casa parigina di Mondrian mezzo secolo prima.
 
“Fotografo il quotidiano della vita, quello che poteva sembrar banale prima di avergli donato nuova vita, grazie ad uno sguardo nuovo”, ha raccontato il maestro: “Ho cercato gli occhi innocenti, di cui ogni sguardo sembra il primo, le menzogne dietro la superbia ed i sorrisi fatui, fantasmi seduti al sole su delle vecchie sedie. Senza trucchi ho cercato di vedere, ho cercato di capire. Ho cercato di vedere, e quando ho capito, ho lasciato gli occhiali su un tavolo insieme alla pipa”.

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