Intervista con l’autore di un volume diventato leggenda
Per terra e per mare. Il Codex di Luigi Serafini in mostra in Francia
Sur terre et sur mer avec le Codex Seraphinianus, Centre Régional d'Art Contemporain a Sète | © Luigi Serafini
Francesca Grego
16/10/2020
Mondo - In principio fu il Codex Seraphinianus, visionaria enciclopedia dell’assurdo che invita a perdersi in un irripetibile campionario di animali, piante e oggetti inesistenti. Ma a Luigi Serafini lo spazio della pagina non poteva bastare. A 40 anni dall’opera prima, mostra come il suo immaginario chimerico possa prendere forma in un mondo a tre dimensioni. Succede al CRAC, Centro per l’Arte Contemporanea di Séte, nel Sud della Francia, dove creazioni vecchie e nuove, sorprendenti e coloratissime, portano scompiglio tra pareti di un bianco immacolato. Grandi sculture in resina, dipinti, opere digitali e i disegni originali del mitico Codex Seraphinianus si mescolano in uno spazio evocativo ed enigmatico, dove un tempo aveva sede il mercato del pesce cittadino. Realtà e immaginazione, biologia e mito, identità dei luoghi e fantasia universale si ibridano in metamorfosi potenzialmente infinite, smascherando l’illusione che è in ogni confine. Donne-carota, mezzi-tonni, pesci d’aprile e foglie psichedeliche sono i testimoni di un viaggio che tocca tutte le fasi della carriera di Serafini.
Inserita nella rassegna Reverse Universe a cura di Marie de Brugerolle, Per mare e per terra con il Codex Seraphinianus ha appena aperto i battenti per accogliere i visitatori fino al 3 gennaio 2021. A raccontarla in esclusiva ai lettori di ARTE.it è Luigi Serafini in persona, tra retroscena, dettagli sulle opere in mostra e progetti futuri.
"Sono molto felice che una mia mostra così completa, che definirei ontologica, si sia aperta nella bella città di Sète, al Centre d’Art Contemporain, grazie all’attenzione della direttrice Marie Cozette e della curatrice Marie de Brugerolle. Sète è un porto aperto sul Mediterraneo. E il porto con i suoi scambi è in fondo la metafora della nostra civiltà occidentale. Fin dalla notte dei tempi, il Mediterraneo ci ha dato nutrimento per il corpo e per l’anima, ci ha insegnato a scrivere e a leggere e ci ha protetto da tifoni e uragani. Non dimentichiamolo", dice l'artista.
Sur terre et sur mer avec le Codex Seraphinianus, Centre Régional d'Art Contemporain a Sète | © Luigi Serafini
“L'Occitania è la terra della langue d’Oc e dei troubadour", continua Serafini. "In questa sorta di nazione che dalla Catalogna si estende fino a Cuneo, i troubadour hanno inventato una nuova lingua, una lingua della gente comune per esprimere concetti che prima si esprimevano solo in latino. Questa rivoluzione è alla base della cultura europea: dalla diffusione dei troubadour sono nate le lingue moderne in Francia, in Italia, in Germania, innescando trasformazioni che da noi hanno dato vita al Rinascimento. È un troubador Arnaut Daniel, che Dante intervista in provenzale nella Divina Commedia. Non è un caso che Dante conosca così bene la lingua di Arnaut: probabilmente è stata il suo modello nell’elaborazione dell’opera da cui nasce la lingua italiana”.
Come mai un artista visivo come Serafini è così sensibile al fascino della lingua? Nella sua opera i calembour si trasformano in giochi di immagini e i disegni del Codex vivono in simbiosi con testi scritti in una grafia pittoresca e illeggibile. “Volevo portare in libreria una specie di alieno, un libro che fosse in grado di rendere tutti analfabeti, e quindi potenziali lettori”, ha spiegato l’autore. Serafini, insomma, è come un troubadour del surreale: inventa un modo diverso di comunicare per immagini e parole, rendendo accessibile un giacimento di visioni e connessioni impreviste. Ma quale storia sta per essere raccontata a Séte?
“La mostra è allestita in tre ambienti enormi, le vecchie celle frigorifere del mercato ittico. Una è dedicata alla terra, una al mare e una al Codex. La prima ha al centro una scultura di grandi dimensioni che rivisita il mito di Persefone, la fanciulla rapita dal dio degli Inferi che ogni anno torna sulla terra portando la primavera. È una bella immagine per spiegare l’origine delle stagioni. Io l’ho rappresentata con una donna-carota distesa su una mandorla di terra, corteccia e foglie secche bordata da sassi come un’aiuola. La mandorla è una figura piena di riferimenti simbolici che nell’arte bizantina circondava la figura del Cristo. Intorno troviamo un grande dipinto a olio e un'enorme scritta con i caratteri usati nel Codex, come a illustrare il contenuto della sala”.
Dalla terra al mare, a Séte il passo è breve. “Quando sono arrivato - racconta Serafini - mi hanno subito offerto la tiella, specialità del posto (una torta salata ripiena di polpi prelibati…) e ho scoperto che è assolutamente identica a quella che si fa a Gaeta: un esempio del continuo melting pot che fin dall'antichità ha caratterizzato le sponde del Mediterraneo. Quello che mi affascina del mare è che oltre le acque territoriali ci offre uno spazio senza frontiere: il mare è di tutti, una cosa che non esiste sulla terra”.
Sur terre et sur mer avec le Codex Seraphinianus, Centre Régional d'Art Contemporain a Sète | © Luigi Serafini
Come prende forma il mondo del mare all’interno della mostra?
“Il pezzo forte è un pesce immaginario che si chiama mezzo-tonno: nuota nell’Atlantico con la testa e la coda divise, distanti 10 centimetri l’una dall’altra. In primavera si avvicina allo Stretto di Gibilterra: la testa entra nel Mediterraneo e l’altra metà resta nell’Oceano. Quando si ritroveranno nello Stretto per riprodursi, i mezzi-tonni saranno catturati dai pescatori. È una bella coincidenza che il tonno sia il pesce tipico di Séte, perché questa scultura l’ho creata nel 2007 per una mostra al PAC di Milano. È a grandezza naturale, perché ricavata dallo stampo di un grosso tonno acquistato al mercato di Cesenatico. Sullo specchio che funge da basamento, il pesce apre la bocca da cui fuoriescono scatolette di tonno e tonnetti divisi a metà. Davvero uno strano essere! Nelle vicinanze troviamo uno dei miei primissimi lavori in digitale, realizzato quando le tavolette elettroniche erano un’assoluta novità. È una donna con una strana creatura, metà pesce e metà bambino: L’ultima apparizione del pesce d’aprile. E poi c’è una grande foglia stampata e retroilluminata, esposta su un altare dall’aura sacrale. È tratta dal libro Storie Naturali, che realizzai per il sessantesimo anniversario della Biblioteca Universale Rizzoli e che nella prossima primavera uscirà in una nuova edizione: una sorta di botanica parallela illustra le osservazioni sulla natura di Jules Renard, l’autore del famoso Pel di Carota. Il libro fu una sfida perché per la prima volta decisi di usare solo la penna elettronica, senza toccare la matita”.
Reverse Universe, il progetto del CRAC che ospita la tua mostra, è “ibridazione di corpi e di forme, è oltrepassare e trasgredire le frontiere, che siano fisiche, geografiche, linguistiche o culturali”, nelle parole della curatrice Marie di Brugerolle. Sembra il ritratto del Codex Seraphinianus…
“La metamorfosi è tutto, la natura è eterno mutamento. Panta Rei, diceva Eraclito. Con gli strumenti della tecnologia potremmo fare un time lapse della nostra vita e ripercorrere le trasformazioni attraversate dall’infanzia alla vecchiaia. La stessa idea è alla base del Codex e di tutto ciò che di lì è scaturito. Il discorso sui confini mi ha sempre affascinato. Nel 2007-2008, per esempio, fui invitato a un festival di installazioni in Svizzera, a ridosso della frontiera con l’Italia. Eravamo in Val Bregaglia, dove è nato Alberto Giacometti e hanno soggiornato personaggi di spicco nella cultura europea come Nietzsche e Rilke. All’improvviso mi trovai davanti a una cancellata di ferro che divideva i paesini di Villa di Chiavenna e Castasegna, storicamente un’unica comunità distribuita tra Italia e Svizzera. Pare che questo piccolo Muro di Berlino fosse stato tirato su dagli italiani in segno di rivalsa sui vicini rimasti fuori dagli accordi di Schengen. Decisi di realizzare lì la mia opera: un’altalena con due sedili che dondolavano proprio sopra il confine (Balançoires sans Frontières)”.
Veniamo al “Libro dei Libri”. Quali sorprese riserva la mostra ai sempre più numerosi cultori del Codex?
“Sono esposte 20 tavole originali, le uniche in mio possesso perché le altre si trovano nel Labirinto della Masone, uno spazio visionario fatto costruire a Fontanellato (Parma) dal mio primo editore Franco Maria Ricci. Quelli arrivati a Séte sono i disegni con cui ho ampliato il libro nelle edizioni successive, nel 1996 e nel 2013. Nella stessa sala ci sono alcune tavole digitali che raccontano i luoghi di Roma in cui il Codex è nato e un display dedicato ai tatuaggi. La moda di tatuarsi con i disegni del Codex è un fenomeno incredibile, che attraverso i social si sta diffondendo su scala planetaria. Trovo molto curioso questo passaggio dalla carta alla pelle…”.
Luigi Serafini, Genesis, 2019, Olio su tela, 180 x 100 cm | Courtesy of Luigi Serafini
Quali sono a tuo parere i motivi del rinnovato successo del Codex, a 40 anni dalla prima edizione?
“Sono il primo a esserne stupito, qualcuno dovrebbe spiegarmelo! Osservo la rinascita del Codex soprattutto nelle nuove generazioni, perché sono loro che lo hanno riscoperto. La rete ha poi permesso la sua circolazione planetaria. La cosa strana e meravigliosa è che il Codex sembra essere diventato una specie di bibbia della fantasia. Su Instagram vedo che c’è tutto un mondo che gira attorno al libro. Nel Codex c’è una creatività spontanea, che non ha niente a che vedere con il marketing. È nato come qualcosa di fresco, incontaminato e anche il suo successo attuale è fatto dalle persone, non dalle gallerie, dai giornali, dalle classifiche. Adesso che il libro è scomparso per 18 mesi dalle librerie, in rete le sue quotazioni sono salite. Quando osservo tutto questo mi stupisco e sono contento, perché ho la sensazione di aver prodotto qualcosa di utile. Sembra che i giovani usino il Codex come se fosse un televisore…”.
Ti sei mai sentito prigioniero di questa tua creatura?
“Flaubert diceva: ‘Madame Bovary c’est moi'. La stessa cosa potrei dire del Codex. Tutto quello che viene dopo nasce da lì. Credo che riuscire a fare una cosa buona nella vita sia una grande soddisfazione e non è raro che questo accada in giovinezza, quando abbiamo più energie, siamo più integri, puri. La mia posizione è molto critica rispetto alle logiche di mercato e all’usa-e-getta che oggi domina il sistema dell’arte. Siamo abituati a un’arte fatta di chiacchiere e di mondanità. Ma a che serve? La risposta è nei giovani che spontaneamente cercano un’alternativa. Il Codex evidentemente una funzione ce l’ha: è lo stupore, la meraviglia che una volta la gente provava guardando gli affreschi nelle chiese o capolavori come la Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini in Piazza Navona. D’altra parte, credo che sarebbe difficile produrre un’opera così oggi che i social e i telefonini hanno cambiato il nostro modo di vivere il tempo. Il tempo del Codex è un tempo dilatato, personale, un tempo per fermarsi, riflettere, perdersi. Il successo del libro è forse dovuto anche a questo: una nostalgia inconsapevole del tempo, che qualche decennio fa davamo per scontato e che invece ora è estremamente prezioso”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“A novembre 2021 il Codex compirà 40 anni. Li festeggerò con una nuova edizione, in cui porterò anche creature come la donna-carota e il mezzo-tonno, che sono nate fuori dal Codex ma in qualche modo gli appartengono: è arrivato il momento di codificarle! E poi ho un paio di mostre a Londra, da Massimo De Carlo e da Colnaghi Gallery, una galleria di fine Settecento. Si tratta di un progetto sul tema del sogno: tra Dalì e William Blake ci saranno anche i miei lavori”.
Sur terre et sur mer avec le Codex Seraphinianus, Centre Régional d'Art Contemporain a Sète | © Luigi Serafini
Leggi anche:
• Luigi Serafini e il Codice della fantasia
• Elapis di Luigi Serafini
• Da Serafini a Bernini. Viaggio alla Fontana dei Quattro Fiumi
Inserita nella rassegna Reverse Universe a cura di Marie de Brugerolle, Per mare e per terra con il Codex Seraphinianus ha appena aperto i battenti per accogliere i visitatori fino al 3 gennaio 2021. A raccontarla in esclusiva ai lettori di ARTE.it è Luigi Serafini in persona, tra retroscena, dettagli sulle opere in mostra e progetti futuri.
"Sono molto felice che una mia mostra così completa, che definirei ontologica, si sia aperta nella bella città di Sète, al Centre d’Art Contemporain, grazie all’attenzione della direttrice Marie Cozette e della curatrice Marie de Brugerolle. Sète è un porto aperto sul Mediterraneo. E il porto con i suoi scambi è in fondo la metafora della nostra civiltà occidentale. Fin dalla notte dei tempi, il Mediterraneo ci ha dato nutrimento per il corpo e per l’anima, ci ha insegnato a scrivere e a leggere e ci ha protetto da tifoni e uragani. Non dimentichiamolo", dice l'artista.
Sur terre et sur mer avec le Codex Seraphinianus, Centre Régional d'Art Contemporain a Sète | © Luigi Serafini
“L'Occitania è la terra della langue d’Oc e dei troubadour", continua Serafini. "In questa sorta di nazione che dalla Catalogna si estende fino a Cuneo, i troubadour hanno inventato una nuova lingua, una lingua della gente comune per esprimere concetti che prima si esprimevano solo in latino. Questa rivoluzione è alla base della cultura europea: dalla diffusione dei troubadour sono nate le lingue moderne in Francia, in Italia, in Germania, innescando trasformazioni che da noi hanno dato vita al Rinascimento. È un troubador Arnaut Daniel, che Dante intervista in provenzale nella Divina Commedia. Non è un caso che Dante conosca così bene la lingua di Arnaut: probabilmente è stata il suo modello nell’elaborazione dell’opera da cui nasce la lingua italiana”.
Come mai un artista visivo come Serafini è così sensibile al fascino della lingua? Nella sua opera i calembour si trasformano in giochi di immagini e i disegni del Codex vivono in simbiosi con testi scritti in una grafia pittoresca e illeggibile. “Volevo portare in libreria una specie di alieno, un libro che fosse in grado di rendere tutti analfabeti, e quindi potenziali lettori”, ha spiegato l’autore. Serafini, insomma, è come un troubadour del surreale: inventa un modo diverso di comunicare per immagini e parole, rendendo accessibile un giacimento di visioni e connessioni impreviste. Ma quale storia sta per essere raccontata a Séte?
“La mostra è allestita in tre ambienti enormi, le vecchie celle frigorifere del mercato ittico. Una è dedicata alla terra, una al mare e una al Codex. La prima ha al centro una scultura di grandi dimensioni che rivisita il mito di Persefone, la fanciulla rapita dal dio degli Inferi che ogni anno torna sulla terra portando la primavera. È una bella immagine per spiegare l’origine delle stagioni. Io l’ho rappresentata con una donna-carota distesa su una mandorla di terra, corteccia e foglie secche bordata da sassi come un’aiuola. La mandorla è una figura piena di riferimenti simbolici che nell’arte bizantina circondava la figura del Cristo. Intorno troviamo un grande dipinto a olio e un'enorme scritta con i caratteri usati nel Codex, come a illustrare il contenuto della sala”.
Dalla terra al mare, a Séte il passo è breve. “Quando sono arrivato - racconta Serafini - mi hanno subito offerto la tiella, specialità del posto (una torta salata ripiena di polpi prelibati…) e ho scoperto che è assolutamente identica a quella che si fa a Gaeta: un esempio del continuo melting pot che fin dall'antichità ha caratterizzato le sponde del Mediterraneo. Quello che mi affascina del mare è che oltre le acque territoriali ci offre uno spazio senza frontiere: il mare è di tutti, una cosa che non esiste sulla terra”.
Sur terre et sur mer avec le Codex Seraphinianus, Centre Régional d'Art Contemporain a Sète | © Luigi Serafini
Come prende forma il mondo del mare all’interno della mostra?
“Il pezzo forte è un pesce immaginario che si chiama mezzo-tonno: nuota nell’Atlantico con la testa e la coda divise, distanti 10 centimetri l’una dall’altra. In primavera si avvicina allo Stretto di Gibilterra: la testa entra nel Mediterraneo e l’altra metà resta nell’Oceano. Quando si ritroveranno nello Stretto per riprodursi, i mezzi-tonni saranno catturati dai pescatori. È una bella coincidenza che il tonno sia il pesce tipico di Séte, perché questa scultura l’ho creata nel 2007 per una mostra al PAC di Milano. È a grandezza naturale, perché ricavata dallo stampo di un grosso tonno acquistato al mercato di Cesenatico. Sullo specchio che funge da basamento, il pesce apre la bocca da cui fuoriescono scatolette di tonno e tonnetti divisi a metà. Davvero uno strano essere! Nelle vicinanze troviamo uno dei miei primissimi lavori in digitale, realizzato quando le tavolette elettroniche erano un’assoluta novità. È una donna con una strana creatura, metà pesce e metà bambino: L’ultima apparizione del pesce d’aprile. E poi c’è una grande foglia stampata e retroilluminata, esposta su un altare dall’aura sacrale. È tratta dal libro Storie Naturali, che realizzai per il sessantesimo anniversario della Biblioteca Universale Rizzoli e che nella prossima primavera uscirà in una nuova edizione: una sorta di botanica parallela illustra le osservazioni sulla natura di Jules Renard, l’autore del famoso Pel di Carota. Il libro fu una sfida perché per la prima volta decisi di usare solo la penna elettronica, senza toccare la matita”.
Reverse Universe, il progetto del CRAC che ospita la tua mostra, è “ibridazione di corpi e di forme, è oltrepassare e trasgredire le frontiere, che siano fisiche, geografiche, linguistiche o culturali”, nelle parole della curatrice Marie di Brugerolle. Sembra il ritratto del Codex Seraphinianus…
“La metamorfosi è tutto, la natura è eterno mutamento. Panta Rei, diceva Eraclito. Con gli strumenti della tecnologia potremmo fare un time lapse della nostra vita e ripercorrere le trasformazioni attraversate dall’infanzia alla vecchiaia. La stessa idea è alla base del Codex e di tutto ciò che di lì è scaturito. Il discorso sui confini mi ha sempre affascinato. Nel 2007-2008, per esempio, fui invitato a un festival di installazioni in Svizzera, a ridosso della frontiera con l’Italia. Eravamo in Val Bregaglia, dove è nato Alberto Giacometti e hanno soggiornato personaggi di spicco nella cultura europea come Nietzsche e Rilke. All’improvviso mi trovai davanti a una cancellata di ferro che divideva i paesini di Villa di Chiavenna e Castasegna, storicamente un’unica comunità distribuita tra Italia e Svizzera. Pare che questo piccolo Muro di Berlino fosse stato tirato su dagli italiani in segno di rivalsa sui vicini rimasti fuori dagli accordi di Schengen. Decisi di realizzare lì la mia opera: un’altalena con due sedili che dondolavano proprio sopra il confine (Balançoires sans Frontières)”.
Veniamo al “Libro dei Libri”. Quali sorprese riserva la mostra ai sempre più numerosi cultori del Codex?
“Sono esposte 20 tavole originali, le uniche in mio possesso perché le altre si trovano nel Labirinto della Masone, uno spazio visionario fatto costruire a Fontanellato (Parma) dal mio primo editore Franco Maria Ricci. Quelli arrivati a Séte sono i disegni con cui ho ampliato il libro nelle edizioni successive, nel 1996 e nel 2013. Nella stessa sala ci sono alcune tavole digitali che raccontano i luoghi di Roma in cui il Codex è nato e un display dedicato ai tatuaggi. La moda di tatuarsi con i disegni del Codex è un fenomeno incredibile, che attraverso i social si sta diffondendo su scala planetaria. Trovo molto curioso questo passaggio dalla carta alla pelle…”.
Luigi Serafini, Genesis, 2019, Olio su tela, 180 x 100 cm | Courtesy of Luigi Serafini
Quali sono a tuo parere i motivi del rinnovato successo del Codex, a 40 anni dalla prima edizione?
“Sono il primo a esserne stupito, qualcuno dovrebbe spiegarmelo! Osservo la rinascita del Codex soprattutto nelle nuove generazioni, perché sono loro che lo hanno riscoperto. La rete ha poi permesso la sua circolazione planetaria. La cosa strana e meravigliosa è che il Codex sembra essere diventato una specie di bibbia della fantasia. Su Instagram vedo che c’è tutto un mondo che gira attorno al libro. Nel Codex c’è una creatività spontanea, che non ha niente a che vedere con il marketing. È nato come qualcosa di fresco, incontaminato e anche il suo successo attuale è fatto dalle persone, non dalle gallerie, dai giornali, dalle classifiche. Adesso che il libro è scomparso per 18 mesi dalle librerie, in rete le sue quotazioni sono salite. Quando osservo tutto questo mi stupisco e sono contento, perché ho la sensazione di aver prodotto qualcosa di utile. Sembra che i giovani usino il Codex come se fosse un televisore…”.
Ti sei mai sentito prigioniero di questa tua creatura?
“Flaubert diceva: ‘Madame Bovary c’est moi'. La stessa cosa potrei dire del Codex. Tutto quello che viene dopo nasce da lì. Credo che riuscire a fare una cosa buona nella vita sia una grande soddisfazione e non è raro che questo accada in giovinezza, quando abbiamo più energie, siamo più integri, puri. La mia posizione è molto critica rispetto alle logiche di mercato e all’usa-e-getta che oggi domina il sistema dell’arte. Siamo abituati a un’arte fatta di chiacchiere e di mondanità. Ma a che serve? La risposta è nei giovani che spontaneamente cercano un’alternativa. Il Codex evidentemente una funzione ce l’ha: è lo stupore, la meraviglia che una volta la gente provava guardando gli affreschi nelle chiese o capolavori come la Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini in Piazza Navona. D’altra parte, credo che sarebbe difficile produrre un’opera così oggi che i social e i telefonini hanno cambiato il nostro modo di vivere il tempo. Il tempo del Codex è un tempo dilatato, personale, un tempo per fermarsi, riflettere, perdersi. Il successo del libro è forse dovuto anche a questo: una nostalgia inconsapevole del tempo, che qualche decennio fa davamo per scontato e che invece ora è estremamente prezioso”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“A novembre 2021 il Codex compirà 40 anni. Li festeggerò con una nuova edizione, in cui porterò anche creature come la donna-carota e il mezzo-tonno, che sono nate fuori dal Codex ma in qualche modo gli appartengono: è arrivato il momento di codificarle! E poi ho un paio di mostre a Londra, da Massimo De Carlo e da Colnaghi Gallery, una galleria di fine Settecento. Si tratta di un progetto sul tema del sogno: tra Dalì e William Blake ci saranno anche i miei lavori”.
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