Al MArTA fino al 6 luglio 2025
Da Omero a Maria Lai: il mito di Penelope va in scena a Taranto

L’attrice Silvana Mangano, nelle vesti di Penelope, tesse la tela nel film Ulisse (Italia, 1954), prodotto da Lux Film - Ponti De Laurentiis, con la regia di Mario Camerini. Credito foto: Franco Fedeli/Reporters Associati & Archivi/Mondadori Portfolio
Francesca Grego
10/03/2025
Taranto - Non solo la moglie fedele che attende con pazienza il ritorno di Ulisse tessendo la celeberrima tela, ma anche una donna energica e determinata, capace di regnare per anni solitaria sul trono di Itaca, arginando con l’astuzia la cupidigia di oltre cento uomini. È il ritratto di Penelope che viene fuori dalla mostra inaugurata al Museo Archeologico Nazionale di Taranto in occasione della Giornata Internazionale della Donna, visitabile fino al prossimo 6 luglio. Una mostra in cui antico, moderno e contemporaneo dialogano, evidenziando come la regina cantata da Omero abbia ispirato artisti di ogni tempo.
Insieme a 40 preziosi reperti reperti archeologici del MArTA - alcuni dei quali esposti per la prima volta - i visitatori troveranno infatti altre 50 opere di pittura, scultura, incisione, cinema, scelte per illustrare come il mito di Penelope abbia di volta in volta preso forma nell’immaginario collettivo. Straordinari tessuti a trama d’oro del I secolo, emblemi della ricchezza della Taranto magno-greca, convivono così con l’omaggio a Maria Lai: coniugando ordito e parole, i celebri telai e i libri cuciti dell’artista sarda fanno di lei una “Penelope contemporanea”.

Penelope, un'immagine dell'allestimento al Museo Archeologico Nazionale di Taranto I Courtesy MArTA
“Il Museo Archeologico Nazionale di Taranto vuole incarnare l’impegno del mondo della cultura nelle sfide del contemporaneo e andare oltre l’innegabile rilevanza scientifica delle opere esposte, affermando una lettura di genere valida anche nel presente”, ha detto la direttrice del MArTA Stella Falzone: “Per questo nelle quattro sezioni della mostra, oltre all’iconografia che vuole Penelope ferma al suo telaio e in attesa del marito, splende la Penelope sfidante, che tiene a bada oltre cento uomini che la pretendono in sposa, pronta a non piegarsi alla ragion di stato e al destino delle vedove, e per questo intelligente stratega che tesse di giorno e disfa la tela di notte. Il MArTA celebra con Penelope le donne che si ribellano agli stereotipi, ai pregiudizi, ai luoghi comuni e lo fanno con le armi e gli strumenti di cui dispongono, talvolta anche solo negli spazi domestici, con sapienza, pazienza, determinazione e passione”.

Telemaco e Penelope, skyphos attico, 440 a.C. circa. Ceramica a figure rosse. Museo Nazionale Etrusco di Chiusi. Crediti: su concessione del Ministero della Cultura - Direzione regionale Musei Nazionali Toscana - Firenze. Foto di Ariano Guastaldi
Quattro fili, quattro temi, tessono la trama della mostra e a ciascuno è riservata una sezione. Il telaio e la tela illustra l’aspetto più noto del mito di Penelope: la regina è molto spesso raffigurata con un telaio accanto, come nel celebre skyphos del Museo Nazionale Etrusco di Chiusi. Il telaio distingue il suo spazio domestico più di ogni altro oggetto. Espressione di una tecnologia evoluta, è strumento di una cultura femminile raffinata. Tessere significa sapere contare, aver memorizzato misure, sequenze di punti e di colori. Inoltre è ben presente l’associazione fra tessitura e canto, fra tessitura e ripetizione mnemonica di versi, che ci porta all’origine stessa dei poemi e rivela come il connubio fra il rapsodo, letteralmente “cucitore di canti”, e quest’arte tipicamente femminile sia ben più che una metafora.
Il capitolo successivo, Il gesto e la postura, indaga invece gli atteggiamenti del corpo. Specie nelle raffigurazioni antiche, come la Lastra campana in prestito dal Museo Nazionale Romano, Penelope è seduta con le gambe accavallate, il mento appoggiato a una mano: gesti che le conferiscono un’aria remota e malinconica, ma anche sfuggente. Oltre che saggia, come il suo consorte la regina è temibilmente astuta. A entrambi, Penelope e Ulisse, è dedicato un nucleo della mostra dove ricorre la figura dello sposo sotto le spoglie di un mendicante con cui si presenta alla reggia: dopo vent’anni di assenza, la donna stenta a riconoscerlo.

Euriclea lava i piedi di Ulisse travestito da mendicante, da Pompei, metà del I secolo d.C., intonaco dipinto. Parco Archeologico di Pompei, Antiquarium. Crediti: su concessione del Ministero della Cultura - Parco Archeologico di Pompei, Archivio fotografico
A differenza di Ulisse, che è spesso insonne, Penelope dorme e sogna moltissimo. Lo scopriamo nella terza sezione, intitolata Il mondo del sogno e del talamo. Qui abbiamo occasione di osservare come la regina sia stata spesso raffigurata dormiente o nell’atto di svegliarsi. A lei nel canto XIX dell’Odissea viene attribuita la distinzione fra sogni veri, usciti dalla porta di corno, e sogni falsi, usciti dalla porta di avorio, che avrà poi una lunga fortuna fino all’analisi di Freud. Sul celebre talamo costruito da Ulisse stesso in legno d’ulivo e inamovibile dalla stanza nuziale, dopo il ritorno dell’eroe a Itaca si svolge una delle scene più moderne dell’intero poema, descritta in mostra dalle incisioni seicentesche di Theodoor van Thulden derivate dagli affreschi perduti di Primaticcio nella Galleria d’Ulisse a Fontainebleau.
La figura di Penelope è caratterizzata dall’aidós, che in greco significa pudore, modestia, vergogna, e nelle immagini degli artisti è simboleggiato dal velo: ne troviamo un esempio nell’acquaforte settecentesca incisa da Tommaso Piroli, tratta dai disegni di John Flaxman. Ma per la regina omerica il velo ha anche un altro significato: è un diaframma frapposto tra sé e il mondo, come illustra l’ultimo capitolo della mostra, Il velo e il pudore.

Joseph Kuhn-Régnier, Penelope alla tela, in La Vie Parisienne, 18, 4 maggio 1918. Collezione privata
“Penelope ha modellato e sfidato l’ideale femminile per almeno 3000 anni e continua a farlo anche oggi”, spiega Alessandra Sarchi, curatrice dell’esposizione con Claudio Franzoni: “È la sposa fedele ma anche l’abile tessitrice di inganni. È la regina che non esce mai dalla sue stanze ma anche colei che da sola governa l’isola per vent’anni. È una sognatrice ma anche la moglie che mette alla prova il marito”.
“I miti degli antichi sono lontanissimi nel tempo, eppure riescono ancora a intercettare il nostro desiderio di capire il mondo in cui ci troviamo”, prosegue Franzoni: “È così anche per Penelope. La sua storia continua ad affascinarci perché racconta situazioni e stati d’animo che parlano anche di noi, la solitudine, il dolore, la delusione, la speranza, l’amore”.

Maria Lai, Al volger della spola, 1995. Stoffa, filo, tempera © Archivio Maria Lai SIAE 2025
Insieme a 40 preziosi reperti reperti archeologici del MArTA - alcuni dei quali esposti per la prima volta - i visitatori troveranno infatti altre 50 opere di pittura, scultura, incisione, cinema, scelte per illustrare come il mito di Penelope abbia di volta in volta preso forma nell’immaginario collettivo. Straordinari tessuti a trama d’oro del I secolo, emblemi della ricchezza della Taranto magno-greca, convivono così con l’omaggio a Maria Lai: coniugando ordito e parole, i celebri telai e i libri cuciti dell’artista sarda fanno di lei una “Penelope contemporanea”.

Penelope, un'immagine dell'allestimento al Museo Archeologico Nazionale di Taranto I Courtesy MArTA
“Il Museo Archeologico Nazionale di Taranto vuole incarnare l’impegno del mondo della cultura nelle sfide del contemporaneo e andare oltre l’innegabile rilevanza scientifica delle opere esposte, affermando una lettura di genere valida anche nel presente”, ha detto la direttrice del MArTA Stella Falzone: “Per questo nelle quattro sezioni della mostra, oltre all’iconografia che vuole Penelope ferma al suo telaio e in attesa del marito, splende la Penelope sfidante, che tiene a bada oltre cento uomini che la pretendono in sposa, pronta a non piegarsi alla ragion di stato e al destino delle vedove, e per questo intelligente stratega che tesse di giorno e disfa la tela di notte. Il MArTA celebra con Penelope le donne che si ribellano agli stereotipi, ai pregiudizi, ai luoghi comuni e lo fanno con le armi e gli strumenti di cui dispongono, talvolta anche solo negli spazi domestici, con sapienza, pazienza, determinazione e passione”.

Telemaco e Penelope, skyphos attico, 440 a.C. circa. Ceramica a figure rosse. Museo Nazionale Etrusco di Chiusi. Crediti: su concessione del Ministero della Cultura - Direzione regionale Musei Nazionali Toscana - Firenze. Foto di Ariano Guastaldi
Quattro fili, quattro temi, tessono la trama della mostra e a ciascuno è riservata una sezione. Il telaio e la tela illustra l’aspetto più noto del mito di Penelope: la regina è molto spesso raffigurata con un telaio accanto, come nel celebre skyphos del Museo Nazionale Etrusco di Chiusi. Il telaio distingue il suo spazio domestico più di ogni altro oggetto. Espressione di una tecnologia evoluta, è strumento di una cultura femminile raffinata. Tessere significa sapere contare, aver memorizzato misure, sequenze di punti e di colori. Inoltre è ben presente l’associazione fra tessitura e canto, fra tessitura e ripetizione mnemonica di versi, che ci porta all’origine stessa dei poemi e rivela come il connubio fra il rapsodo, letteralmente “cucitore di canti”, e quest’arte tipicamente femminile sia ben più che una metafora.
Il capitolo successivo, Il gesto e la postura, indaga invece gli atteggiamenti del corpo. Specie nelle raffigurazioni antiche, come la Lastra campana in prestito dal Museo Nazionale Romano, Penelope è seduta con le gambe accavallate, il mento appoggiato a una mano: gesti che le conferiscono un’aria remota e malinconica, ma anche sfuggente. Oltre che saggia, come il suo consorte la regina è temibilmente astuta. A entrambi, Penelope e Ulisse, è dedicato un nucleo della mostra dove ricorre la figura dello sposo sotto le spoglie di un mendicante con cui si presenta alla reggia: dopo vent’anni di assenza, la donna stenta a riconoscerlo.

Euriclea lava i piedi di Ulisse travestito da mendicante, da Pompei, metà del I secolo d.C., intonaco dipinto. Parco Archeologico di Pompei, Antiquarium. Crediti: su concessione del Ministero della Cultura - Parco Archeologico di Pompei, Archivio fotografico
A differenza di Ulisse, che è spesso insonne, Penelope dorme e sogna moltissimo. Lo scopriamo nella terza sezione, intitolata Il mondo del sogno e del talamo. Qui abbiamo occasione di osservare come la regina sia stata spesso raffigurata dormiente o nell’atto di svegliarsi. A lei nel canto XIX dell’Odissea viene attribuita la distinzione fra sogni veri, usciti dalla porta di corno, e sogni falsi, usciti dalla porta di avorio, che avrà poi una lunga fortuna fino all’analisi di Freud. Sul celebre talamo costruito da Ulisse stesso in legno d’ulivo e inamovibile dalla stanza nuziale, dopo il ritorno dell’eroe a Itaca si svolge una delle scene più moderne dell’intero poema, descritta in mostra dalle incisioni seicentesche di Theodoor van Thulden derivate dagli affreschi perduti di Primaticcio nella Galleria d’Ulisse a Fontainebleau.
La figura di Penelope è caratterizzata dall’aidós, che in greco significa pudore, modestia, vergogna, e nelle immagini degli artisti è simboleggiato dal velo: ne troviamo un esempio nell’acquaforte settecentesca incisa da Tommaso Piroli, tratta dai disegni di John Flaxman. Ma per la regina omerica il velo ha anche un altro significato: è un diaframma frapposto tra sé e il mondo, come illustra l’ultimo capitolo della mostra, Il velo e il pudore.

Joseph Kuhn-Régnier, Penelope alla tela, in La Vie Parisienne, 18, 4 maggio 1918. Collezione privata
“Penelope ha modellato e sfidato l’ideale femminile per almeno 3000 anni e continua a farlo anche oggi”, spiega Alessandra Sarchi, curatrice dell’esposizione con Claudio Franzoni: “È la sposa fedele ma anche l’abile tessitrice di inganni. È la regina che non esce mai dalla sue stanze ma anche colei che da sola governa l’isola per vent’anni. È una sognatrice ma anche la moglie che mette alla prova il marito”.
“I miti degli antichi sono lontanissimi nel tempo, eppure riescono ancora a intercettare il nostro desiderio di capire il mondo in cui ci troviamo”, prosegue Franzoni: “È così anche per Penelope. La sua storia continua ad affascinarci perché racconta situazioni e stati d’animo che parlano anche di noi, la solitudine, il dolore, la delusione, la speranza, l’amore”.

Maria Lai, Al volger della spola, 1995. Stoffa, filo, tempera © Archivio Maria Lai SIAE 2025
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