In libreria dal 12 novembre
Gabriele Dadati e il Klimt ritrovato: la vera storia del Ritratto di signora
Gustav Klimt, Ritratto di signora, 1917, olio su tela, 55 x 60, Piacenza, Galleria d'arte moderna Ricci Oddi
Samantha De Martin
06/11/2020
Un uomo scrive allo scrittore Gabriele Dadati, rivelandogli di avere una verità da raccontare. Confessa di essere l’artefice di uno dei furti più misteriosi della storia dell’arte e si abbandona, nel giro di una lunghissima giornata, al racconto di una vicenda incredibile e struggente che inizia nella Vienna nel 1910, per attraversare tutto il Novecento, arrivando fino a noi tra verità e menzogne.
Attraverso il suo ultimo libro La modella di Klimt. La vera storia del capolavoro ritrovato in uscita il prossimo 12 novembre per Baldini & Castoldi lo scrittore piacentino ci restituisce una storia rocambolesca. Un viaggio affascinante nell'avvincente saga che ha tenuto, per oltre vent’anni, appassionati e critici con il fiato sospeso.
Gabriele Dadati | Foto: © Laura Scaglione
Protagonista è il celebre dipinto Ritratto di signora di Gustav Klimt, realizzato tra il 1916 e il 1917 e arrivato nel 1931 alla Galleria d'arte moderna Ricci Oddi di Piacenza, sei anni dopo che il collezionista Giuseppe Ricci Oddi lo ebbe acquisito da Luigi Scopinich (che lo aveva a sua volta comprato a Vienna da Gustav Nebehay) tramite l’architetto Giulio Ulisse Arata.
Il dipinto - che ritrae una giovane donna dai capelli nerissimi, le gote rosse, un neo sulla guancia sinistra - venne trafugato il 22 febbraio 1997 per essere ritrovato da un giardiniere 22 anni più tardi, il 10 dicembre 2019, a pochi passi dal luogo in cui venne rubato, avvolto in un sacco della spazzatura e posto in un'intercapedine della parete esterna della Galleria.
Un anno prima del furto, nel 1996, la studentessa Claudia Maga aveva avuto una felice intuizione mettendo in relazione, per la prima volta, il Ritratto di signora con il perduto Ritratto di ragazza, sempre di Klimt, “nascosto”, secondo l’allora diciannovenne, alunna dell’ultimo anno di Liceo Artistico, proprio sotto il Ritratto di signora. Le ipotesi hanno trovato conferma grazie all’analisi a raggi X. Sotto il ritratto della donna adulta, dalla sensualità raccolta e discreta, si nascondeva l’immagine di una ragazza, sorpresa in tutta la sua freschezza. Rispetto all’opera del 1912, in quella esposta alla Galleria Ricci Oddi mancano il cappello a larghe tese, la vaporosa sciarpa che avvolge l’esile collo e il tenero décolleté, ma molti indizi fanno ritenere che, sotto le apparenze visibili, si celi quel segreto pittorico e coloristico mai carpito dagli esperti del massimo interprete della Secessione viennese. Per il quale era “Nei colori, e non nelle forme, che stava davvero l’essere pittore”.
Ma chi è la donna ritratta in due momenti diversi da Klimt? Perché l’artista avrebbe cancellato il primo ritratto per realizzarne un altro sopra? Da chi è stato rubato il quadro, chi è stato ad averlo restituito e perché?
L’incontro con Klimt
“Da piacentino - spiega l'autore - e da persona che lavora in Ricci Oddi come assistente del compianto direttore Stefano Fugazza, il furto di questo Klimt è stato un vero un trauma storico. Un pezzo di storia della città è sparito per molti anni, distendendo una cappa di silenzio. Dietro questo lavoro si cela poi il mio rapporto di grande amicizia con Stefano Fugazza, uomo e storico dell’arte formidabile, la cui carriera è stata molto segnata da quell’episodio. Il fatto che il quadro fosse stato ritrovato alla vigilia della mostra che avevo curato per celebrare Fugazza, a dieci anni dalla scomparsa, in un dicembre reso incantato da una rara nevicata che ha imbiancato Piacenza, mi è sembrato un messaggio straordinario, fortemente narrativo. Così ho dato inizio alla mia storia”.
Klimt, Riam Munk e il doppio ritratto
“Uno dei problemi che più gravano su Klimt è che è stato un artista che ha scritto poco o niente. La poca corrispondenza che abbiamo riguarda sempre cose molto concrete che il pittore doveva fare o comunicare. Questo ripensamento, questa opera doppia resta un mistero. Non abbiamo appunti di lavoro. Tuttavia nell’ultima fase della sua produzione, esiste un soggetto funebre ripetuto, l’ebrea Ria Munk, morta giovane e della quale la madre chiese a Klimt un ritratto. Lui la rifece tre volte cercando una certa perfezione nell’esecuzione. Mi è sembrato che questo potesse essere il percorso di interpretazione anche per il Ritratto di signora, una sorta di celebrazione post mortem. Da lì si è generata tutta la storia romanzesca, ma strettamente intessuta sui dati storici”.
Lettera di Gustav Klimt a Emilie Flöge, 18 novembre 1895. Inchiostro di china nero su carta, 3 fogli di carta da lettera (piegati): 17,6 x 22,6 cm (2 fogli), 17,6 x 11,2 cm (1 foglio) Busta: 9,2 x 12 cm, timbro postale: Praga 18.11.95, Vienna 19.11.95. Collezione privata © Alfred Weidinge
Dati che lo scrittore cerca, raccoglie, studia (con non poca fatica, considerato che quando l’autore scrive, biblioteche e archivi sono inaccessibili per via dell’emergenza sanitaria) tra quotidiani dell’epoca, cataloghi e letture, dall’Uomo senza qualità di Robert Musil, ambientato nella Vienna di inizio anni Venti, ad Arthur Schnitzler.
Un viaggio nella Vienna di inizio Novecento alla scoperta di un nuovo Klimt
Quello di Dadati è un libro “mosso” dal punto di vista temporale e toponomastico, che ci accompagna dal 1910 al 2019, da Vienna a Piacenza, da Feldmühlgasse alla Josefstädter Strasse, dal Grande Albergo Roma di Piacenza alla Ricci Oddi, allontanandoci forse da quella “biografia capricciosa” dell’artista degli ori e della seduzione nascosta nelle “anse dei corpi femminili...prossime a spire di serpenti”, alla quale siamo abituati.
Ritroviamo la seduzione, trama stilistica del maestro, non tanto in Jutta, nei corpi nudi delle tante modelle che frequentano l’atelier, come forse avremmo immaginato, ma nel volto e nel corpo di una ragazza semplice “involtolato in un ampio grembiule frusto” e poi rivestito delle stesse stoffe che hanno reso fulgido un secolo.
Poco conta che il mistero sul furto del Ritratto di signora venga alla fine svelato o meno. Quello che importa è che questa vicenda rocambolesca diventa per Dadati lo spunto per un viaggio di scoperta e di rinascita, una confessione che sa di promessa e riconoscenza e che ha inizio proprio dalla Vienna dell’artista. La Vienna magica delle sciarpe vaporose e delle boutique di alta moda, della Secessione e della Wiener Werkstätte, dei pittori e delle modelle negli atelier, delle cartoline pubblicitarie e del telefono che Klimt volle nel suo studio, di Josef Hoffmann e Otto Wagner, delle carrozze che cedono lentamente il passo alle automobili dalle sedute in cuoio lucido.
“Del resto era noto che Francesco Giuseppe, l’imperatore, non era mai salito su un’automobile e ostentava la sua scelta: c’era così poca nobiltà, a suo dire, in quell’invenzione… E i viennesi, che ormai da diversi secoli erano abituati a farsi guidare dagli Asburgo tributando loro la massima lealtà, sembravano tenerne conto. Almeno i più anziani. Poi c’era chi, come le Flöge, guardava al futuro. Anzi: che riteneva che il futuro fosse già lì, e che presto ne sarebbe venuto dell’altro”.
Klimt, Emilie Flöge, 1902. Designer di moda, imprenditrice e compagna di vita dell'artista, legata a lui, si dice, da un amore esclusivamente platonico
Un “sacerdote dell’arte”
Ma che cos’è che Dadati ha scoperto dell’artista nel corso di questo viaggio?
“La Vienna di inizio Novecento, la città della Secessione, ma anche di un Freud ormai maturo, è una Vienna interessantissima, percorsa da un fermento culturale unico. Ho scoperto un Klimt “sacerdote dell’arte”, un artista tutto d’un pezzo che rifiuta ogni forma di compromesso, un uomo forte, disposto a ritirare le proprie opere pubbliche pur di non cedere a costrizioni, che lavora e studia fino allo sfinimento, pur non riuscendo mai a diventare professore in Accademia. Fa di tutto tranne che cercare il mercato in un’epoca, in cui il mercato ti veniva a cercare”.
Ed eccolo il maestro, come lo ritroviamo tra le pagine di Gabriele Dadati, avvolto nella sua tenerezza composta, mentre coccola i suoi gatti, con quella “sua natura animale che era evidente in ogni gesto. Compreso quello più clamoroso...quando lo prendeva la foga, perché aveva intuito forme che gli davano soddisfazione e non voleva lasciarsele sfuggire, disegnava con entrambe le mani contemporaneamente”.
Eccolo Klimt “avvolto in un caffettano lungo fino a terra, con un bel buco tondo da cui sbucava il collo forte. La decorazione sulle spalle... non bastava a ingentilire i tratti della figura. E questo ...soprattutto per la faccia, che sembrava un triangolo voltato all’ingiù: la sommità del cranio ormai quasi nuda e piatta e gli sbuffi di capelli sopra le orecchie ne erano la base; le guance i lati che correvano in basso fino a convergere in una barba ancora scura, se non fosse stato per un baluginio di peli bianchi proprio sopra il mento”.
Il doppio ritratto
“Se il doppio ritratto non esistesse non esisterebbe nemmeno il resto. Tutto quello che rimane è un ritratto ed è doppio. Mi ritrovai a pensare che se la nostra era una famiglia di madri che morivano dando alla luce i propri figli, il Ritratto di Klimt era la chiave di tutto” scrive Dadati.
Ogni personaggio talvolta, ignaro di cosa sia e di dove stia andando, un po’ come il doppio ritratto di Klimt, si muove su un terreno di sabbia come in un precario equilibrio dominato dal tema del doppio. Tutte le vite, che prendono forma su un palcoscenico quasi teatrale, diventano così metafora dell’opera, mentre quello che emerge è un senso di grande incertezza, che accomuna le figure di queste pagine all’opera di Klimt.
“Ho studiato e letto tantissimo nei mesi che hanno caratterizzato il lockdown e durante il mese di giugno ho iniziato a svegliarmi all’alba, mi mettevo al computer e scrivevo per ore. In quei mesi sono riuscito a viaggiare, sebbene con la mente, in un’Italia diversa . Vivo a Piacenza, a pochi chilometri da Codogno. In tre mesi i morti nella mia città sono stati più del quadruplo che negli anni passati. Quando mi sono messo a scrivere, quindi, i fatti del dicembre 2019 mi sono sembrati lontanissimi. E questo è stato un bene: ho potuto raccontare quello che avevo da raccontare con un certo distacco. Un intero mondo senza mascherine sul volto…"
Gustav Klimt © Archiv des Belvedere, Wien, Nachlass Ankwicz-Kleehoven
Leggi anche:
• Gustav Klimt: 158 anni scintillanti, oscuri e scandalosi
• L'ultima notte di Antonio Canova nel racconto di Gabriele Dadati
Attraverso il suo ultimo libro La modella di Klimt. La vera storia del capolavoro ritrovato in uscita il prossimo 12 novembre per Baldini & Castoldi lo scrittore piacentino ci restituisce una storia rocambolesca. Un viaggio affascinante nell'avvincente saga che ha tenuto, per oltre vent’anni, appassionati e critici con il fiato sospeso.
Gabriele Dadati | Foto: © Laura Scaglione
Protagonista è il celebre dipinto Ritratto di signora di Gustav Klimt, realizzato tra il 1916 e il 1917 e arrivato nel 1931 alla Galleria d'arte moderna Ricci Oddi di Piacenza, sei anni dopo che il collezionista Giuseppe Ricci Oddi lo ebbe acquisito da Luigi Scopinich (che lo aveva a sua volta comprato a Vienna da Gustav Nebehay) tramite l’architetto Giulio Ulisse Arata.
Il dipinto - che ritrae una giovane donna dai capelli nerissimi, le gote rosse, un neo sulla guancia sinistra - venne trafugato il 22 febbraio 1997 per essere ritrovato da un giardiniere 22 anni più tardi, il 10 dicembre 2019, a pochi passi dal luogo in cui venne rubato, avvolto in un sacco della spazzatura e posto in un'intercapedine della parete esterna della Galleria.
Un anno prima del furto, nel 1996, la studentessa Claudia Maga aveva avuto una felice intuizione mettendo in relazione, per la prima volta, il Ritratto di signora con il perduto Ritratto di ragazza, sempre di Klimt, “nascosto”, secondo l’allora diciannovenne, alunna dell’ultimo anno di Liceo Artistico, proprio sotto il Ritratto di signora. Le ipotesi hanno trovato conferma grazie all’analisi a raggi X. Sotto il ritratto della donna adulta, dalla sensualità raccolta e discreta, si nascondeva l’immagine di una ragazza, sorpresa in tutta la sua freschezza. Rispetto all’opera del 1912, in quella esposta alla Galleria Ricci Oddi mancano il cappello a larghe tese, la vaporosa sciarpa che avvolge l’esile collo e il tenero décolleté, ma molti indizi fanno ritenere che, sotto le apparenze visibili, si celi quel segreto pittorico e coloristico mai carpito dagli esperti del massimo interprete della Secessione viennese. Per il quale era “Nei colori, e non nelle forme, che stava davvero l’essere pittore”.
Ma chi è la donna ritratta in due momenti diversi da Klimt? Perché l’artista avrebbe cancellato il primo ritratto per realizzarne un altro sopra? Da chi è stato rubato il quadro, chi è stato ad averlo restituito e perché?
L’incontro con Klimt
“Da piacentino - spiega l'autore - e da persona che lavora in Ricci Oddi come assistente del compianto direttore Stefano Fugazza, il furto di questo Klimt è stato un vero un trauma storico. Un pezzo di storia della città è sparito per molti anni, distendendo una cappa di silenzio. Dietro questo lavoro si cela poi il mio rapporto di grande amicizia con Stefano Fugazza, uomo e storico dell’arte formidabile, la cui carriera è stata molto segnata da quell’episodio. Il fatto che il quadro fosse stato ritrovato alla vigilia della mostra che avevo curato per celebrare Fugazza, a dieci anni dalla scomparsa, in un dicembre reso incantato da una rara nevicata che ha imbiancato Piacenza, mi è sembrato un messaggio straordinario, fortemente narrativo. Così ho dato inizio alla mia storia”.
Klimt, Riam Munk e il doppio ritratto
“Uno dei problemi che più gravano su Klimt è che è stato un artista che ha scritto poco o niente. La poca corrispondenza che abbiamo riguarda sempre cose molto concrete che il pittore doveva fare o comunicare. Questo ripensamento, questa opera doppia resta un mistero. Non abbiamo appunti di lavoro. Tuttavia nell’ultima fase della sua produzione, esiste un soggetto funebre ripetuto, l’ebrea Ria Munk, morta giovane e della quale la madre chiese a Klimt un ritratto. Lui la rifece tre volte cercando una certa perfezione nell’esecuzione. Mi è sembrato che questo potesse essere il percorso di interpretazione anche per il Ritratto di signora, una sorta di celebrazione post mortem. Da lì si è generata tutta la storia romanzesca, ma strettamente intessuta sui dati storici”.
Lettera di Gustav Klimt a Emilie Flöge, 18 novembre 1895. Inchiostro di china nero su carta, 3 fogli di carta da lettera (piegati): 17,6 x 22,6 cm (2 fogli), 17,6 x 11,2 cm (1 foglio) Busta: 9,2 x 12 cm, timbro postale: Praga 18.11.95, Vienna 19.11.95. Collezione privata © Alfred Weidinge
Dati che lo scrittore cerca, raccoglie, studia (con non poca fatica, considerato che quando l’autore scrive, biblioteche e archivi sono inaccessibili per via dell’emergenza sanitaria) tra quotidiani dell’epoca, cataloghi e letture, dall’Uomo senza qualità di Robert Musil, ambientato nella Vienna di inizio anni Venti, ad Arthur Schnitzler.
Un viaggio nella Vienna di inizio Novecento alla scoperta di un nuovo Klimt
Quello di Dadati è un libro “mosso” dal punto di vista temporale e toponomastico, che ci accompagna dal 1910 al 2019, da Vienna a Piacenza, da Feldmühlgasse alla Josefstädter Strasse, dal Grande Albergo Roma di Piacenza alla Ricci Oddi, allontanandoci forse da quella “biografia capricciosa” dell’artista degli ori e della seduzione nascosta nelle “anse dei corpi femminili...prossime a spire di serpenti”, alla quale siamo abituati.
Ritroviamo la seduzione, trama stilistica del maestro, non tanto in Jutta, nei corpi nudi delle tante modelle che frequentano l’atelier, come forse avremmo immaginato, ma nel volto e nel corpo di una ragazza semplice “involtolato in un ampio grembiule frusto” e poi rivestito delle stesse stoffe che hanno reso fulgido un secolo.
Poco conta che il mistero sul furto del Ritratto di signora venga alla fine svelato o meno. Quello che importa è che questa vicenda rocambolesca diventa per Dadati lo spunto per un viaggio di scoperta e di rinascita, una confessione che sa di promessa e riconoscenza e che ha inizio proprio dalla Vienna dell’artista. La Vienna magica delle sciarpe vaporose e delle boutique di alta moda, della Secessione e della Wiener Werkstätte, dei pittori e delle modelle negli atelier, delle cartoline pubblicitarie e del telefono che Klimt volle nel suo studio, di Josef Hoffmann e Otto Wagner, delle carrozze che cedono lentamente il passo alle automobili dalle sedute in cuoio lucido.
“Del resto era noto che Francesco Giuseppe, l’imperatore, non era mai salito su un’automobile e ostentava la sua scelta: c’era così poca nobiltà, a suo dire, in quell’invenzione… E i viennesi, che ormai da diversi secoli erano abituati a farsi guidare dagli Asburgo tributando loro la massima lealtà, sembravano tenerne conto. Almeno i più anziani. Poi c’era chi, come le Flöge, guardava al futuro. Anzi: che riteneva che il futuro fosse già lì, e che presto ne sarebbe venuto dell’altro”.
Klimt, Emilie Flöge, 1902. Designer di moda, imprenditrice e compagna di vita dell'artista, legata a lui, si dice, da un amore esclusivamente platonico
Un “sacerdote dell’arte”
Ma che cos’è che Dadati ha scoperto dell’artista nel corso di questo viaggio?
“La Vienna di inizio Novecento, la città della Secessione, ma anche di un Freud ormai maturo, è una Vienna interessantissima, percorsa da un fermento culturale unico. Ho scoperto un Klimt “sacerdote dell’arte”, un artista tutto d’un pezzo che rifiuta ogni forma di compromesso, un uomo forte, disposto a ritirare le proprie opere pubbliche pur di non cedere a costrizioni, che lavora e studia fino allo sfinimento, pur non riuscendo mai a diventare professore in Accademia. Fa di tutto tranne che cercare il mercato in un’epoca, in cui il mercato ti veniva a cercare”.
Ed eccolo il maestro, come lo ritroviamo tra le pagine di Gabriele Dadati, avvolto nella sua tenerezza composta, mentre coccola i suoi gatti, con quella “sua natura animale che era evidente in ogni gesto. Compreso quello più clamoroso...quando lo prendeva la foga, perché aveva intuito forme che gli davano soddisfazione e non voleva lasciarsele sfuggire, disegnava con entrambe le mani contemporaneamente”.
Eccolo Klimt “avvolto in un caffettano lungo fino a terra, con un bel buco tondo da cui sbucava il collo forte. La decorazione sulle spalle... non bastava a ingentilire i tratti della figura. E questo ...soprattutto per la faccia, che sembrava un triangolo voltato all’ingiù: la sommità del cranio ormai quasi nuda e piatta e gli sbuffi di capelli sopra le orecchie ne erano la base; le guance i lati che correvano in basso fino a convergere in una barba ancora scura, se non fosse stato per un baluginio di peli bianchi proprio sopra il mento”.
Il doppio ritratto
“Se il doppio ritratto non esistesse non esisterebbe nemmeno il resto. Tutto quello che rimane è un ritratto ed è doppio. Mi ritrovai a pensare che se la nostra era una famiglia di madri che morivano dando alla luce i propri figli, il Ritratto di Klimt era la chiave di tutto” scrive Dadati.
Ogni personaggio talvolta, ignaro di cosa sia e di dove stia andando, un po’ come il doppio ritratto di Klimt, si muove su un terreno di sabbia come in un precario equilibrio dominato dal tema del doppio. Tutte le vite, che prendono forma su un palcoscenico quasi teatrale, diventano così metafora dell’opera, mentre quello che emerge è un senso di grande incertezza, che accomuna le figure di queste pagine all’opera di Klimt.
“Ho studiato e letto tantissimo nei mesi che hanno caratterizzato il lockdown e durante il mese di giugno ho iniziato a svegliarmi all’alba, mi mettevo al computer e scrivevo per ore. In quei mesi sono riuscito a viaggiare, sebbene con la mente, in un’Italia diversa . Vivo a Piacenza, a pochi chilometri da Codogno. In tre mesi i morti nella mia città sono stati più del quadruplo che negli anni passati. Quando mi sono messo a scrivere, quindi, i fatti del dicembre 2019 mi sono sembrati lontanissimi. E questo è stato un bene: ho potuto raccontare quello che avevo da raccontare con un certo distacco. Un intero mondo senza mascherine sul volto…"
Gustav Klimt © Archiv des Belvedere, Wien, Nachlass Ankwicz-Kleehoven
Leggi anche:
• Gustav Klimt: 158 anni scintillanti, oscuri e scandalosi
• L'ultima notte di Antonio Canova nel racconto di Gabriele Dadati
LA MAPPA
NOTIZIE
VEDI ANCHE
-
Roma | A Roma dal 6 dicembre al 16 febbraio
Un ritrattista alla corte romana. Carlo Maratti in mostra a Palazzo Barberini
-
I programmi da non perdere dal 2 all’8 dicembre
La settimana dell’arte in tv, dalla Roma di Raffaello ad Artissima 2024
-
Dal 9 al 15 dicembre sul piccolo schermo
La settimana dell'arte in tv, da Paolo Uccello alla Grande Brera
-
Roma | Dal 10 dicembre a Palazzo della Minerva
Tra Cimabue e Perugino. Il Senato rende omaggio a San Francesco
-
Mantova | I progetti da non perdere
Palazzo Te compie 500 anni. La festa del 2025
-
Roma | Dal 12 dicembre al 23 febbraio
Roma, tra eterno e contemporaneo, negli scatti di Gabriele Basilico a Palazzo Altemps