Ivo Bonino. Paesi d'acqua
Dal 29 Marzo 2014 al 20 Aprile 2014
Avigliana | Torino
Luogo: Chiesa della Santa Croce
Indirizzo: piazza Conte Rosso
Orari: sabato e domenica 15-19
Curatori: Luigi Castagna, Paolo Nesta
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 011 889020
E-Mail info: lcastagna@artepervoi.it
Sito ufficiale: http://www.accademialbertina.torino.it
Davanti alle tele di Ivo Bonino la prima e più ovvia impressione che si ricava è quella della pulizia cromatica che si porta con sé come immediata conseguenza il dato di una visione essenziale, che definirei spoglia e addirittura priva di facili sentimentalismi nell’evocazione della dimensione naturalistica. In più osserverei quasi subito che essa giunge, ma non sempre nelle sue opere, ad avvalersi di un’ asciutta asprezza di timbri, che ci induce a coglierne un senso più intimo, un valore più nascostamente dettato da una trattenuta intenzione di discrezione comunicativa.
Quelle nitide gamme di colori ci predispongono ad un atteggiamento di acuta osservazione, favorita dalle stesse dimensioni delle tele, che catturando lo sguardo fin da lontano lo inducono ad un movimento di avvicinamento, all’acquisizione di un punto di vista sempre più prossimo, fino a trovarci coinvolti e affondati dentro le trame della vegetazione.
Le tele, già di per sé di dimensioni inconsuete rispetto alla pratica abituale del paesaggismo, si accampano come grandi specchi in cui, riflettendoci, ci scopriamo a stare dentro a frammenti di spazi naturali, che sono fatti di zolle di terra, acqua e arbusti. Cioè, accanto al pittore, stiamo dentro, condividiamo la sua ricerca di un contatto diretto, fatto di fisicità, di corporeità essenziale ed immediatezza percettiva dei sensi.
Quella che a prima vista può apparire come una pittura semplice, “facile”, si rivela intanto piuttosto schiva dalle suggestioni retoriche, che ispirano comunemente il genere del paesaggismo e, in secondo luogo, giunge a ribaltarne i presupposti più scontati, determinandone una radicale riconsiderazione.
Ivo Bonino è perciò consapevole della necessità di misurarsi, in particolare, con quella tradizione figurativa superandone le convenzioni dal suo stesso interno, rimuovendo gli ostacoli di un fare troppo banalmente scontato e vuotamente ripetitivo. Ma, si è detto, “in particolare”, perché nel caso concreto, di questa mostra – e in pittura non può che essere così: caso per caso, dipinto dopo dipinto e ogni tela con la propria identità – il pittore non ha potuto che affrontare, giustamente e necessariamente, ciò che è implicito nella storia della sua ricerca artistica, che ha a che vedere, si commisura intimamente con le sue modalità di relazione col mondo della natura. Ma, appunto, il valore della sua ricerca, proprio partendo da qui, può esorbitare dallo specifico contesto ed essere applicato fino a invadere gli altri campi dell’esperienza visuale artistica.
E che Ivo Bonino sia perfettamente consapevole del processo che viene innescando, è immediatamente implicito nella sua storia culturale, che da lungo tempo sa avvalersi di molteplici strumenti di confronto professionale con il mondo della figurazione contemporanea. Non escluso un suo capitolo assolutamente personale che tengo a ricordare, per la sua, per quanto remota, ora riaffiorante pregnanza. Mi riferisco ad una sua esperienza, direttamente condotta in anni ormai lontani, quando volle rapportarsi con i codici della figurazione “informale” e da cui l’artista aveva saputo trarre un insegnamento non superficiale né occasionale, a tutto vantaggio della messa a punto di un intimo percorso di interiorizzazione della dimensione emozionale.
Essa riemerge con prepotente discrezione in quelle vibrazioni luministiche, in quei fermenti e pulsazioni materiche che attraversano e sostanziano la sua visione e in cui si addensa e si rapprende l’istante, il tempo emozionale della sua percezione e insieme quello atmosferico della stagione solare.
Paolo Nesta
Quelle nitide gamme di colori ci predispongono ad un atteggiamento di acuta osservazione, favorita dalle stesse dimensioni delle tele, che catturando lo sguardo fin da lontano lo inducono ad un movimento di avvicinamento, all’acquisizione di un punto di vista sempre più prossimo, fino a trovarci coinvolti e affondati dentro le trame della vegetazione.
Le tele, già di per sé di dimensioni inconsuete rispetto alla pratica abituale del paesaggismo, si accampano come grandi specchi in cui, riflettendoci, ci scopriamo a stare dentro a frammenti di spazi naturali, che sono fatti di zolle di terra, acqua e arbusti. Cioè, accanto al pittore, stiamo dentro, condividiamo la sua ricerca di un contatto diretto, fatto di fisicità, di corporeità essenziale ed immediatezza percettiva dei sensi.
Quella che a prima vista può apparire come una pittura semplice, “facile”, si rivela intanto piuttosto schiva dalle suggestioni retoriche, che ispirano comunemente il genere del paesaggismo e, in secondo luogo, giunge a ribaltarne i presupposti più scontati, determinandone una radicale riconsiderazione.
Ivo Bonino è perciò consapevole della necessità di misurarsi, in particolare, con quella tradizione figurativa superandone le convenzioni dal suo stesso interno, rimuovendo gli ostacoli di un fare troppo banalmente scontato e vuotamente ripetitivo. Ma, si è detto, “in particolare”, perché nel caso concreto, di questa mostra – e in pittura non può che essere così: caso per caso, dipinto dopo dipinto e ogni tela con la propria identità – il pittore non ha potuto che affrontare, giustamente e necessariamente, ciò che è implicito nella storia della sua ricerca artistica, che ha a che vedere, si commisura intimamente con le sue modalità di relazione col mondo della natura. Ma, appunto, il valore della sua ricerca, proprio partendo da qui, può esorbitare dallo specifico contesto ed essere applicato fino a invadere gli altri campi dell’esperienza visuale artistica.
E che Ivo Bonino sia perfettamente consapevole del processo che viene innescando, è immediatamente implicito nella sua storia culturale, che da lungo tempo sa avvalersi di molteplici strumenti di confronto professionale con il mondo della figurazione contemporanea. Non escluso un suo capitolo assolutamente personale che tengo a ricordare, per la sua, per quanto remota, ora riaffiorante pregnanza. Mi riferisco ad una sua esperienza, direttamente condotta in anni ormai lontani, quando volle rapportarsi con i codici della figurazione “informale” e da cui l’artista aveva saputo trarre un insegnamento non superficiale né occasionale, a tutto vantaggio della messa a punto di un intimo percorso di interiorizzazione della dimensione emozionale.
Essa riemerge con prepotente discrezione in quelle vibrazioni luministiche, in quei fermenti e pulsazioni materiche che attraversano e sostanziano la sua visione e in cui si addensa e si rapprende l’istante, il tempo emozionale della sua percezione e insieme quello atmosferico della stagione solare.
Paolo Nesta
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