Alphonse Mucha / Giovanni Boldini

© Mucha Trust | Alphonse Mucha, Fantasticheria, 1897, litografia a colori, cm. 34,5x27
Dal 22 Marzo 2025 al 20 Luglio 2025
Ferrara
Luogo: Palazzo dei Diamanti
Indirizzo: Corso Ercole I d'Este 21
Orari: tutti i giorni, feriali e festivi, 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un'ora prima)
Costo del biglietto: Intero € 15,00 (audioguida inclusa) Ridotto € 13,00 (audioguida inclusa
Telefono per informazioni: +39 0532 244949
E-Mail info: diamanti@comune.fe.it
Sito ufficiale: http://www.palazzodiamanti.it
A Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dal 22 marzo al 20 luglio 2025, aprono al pubblico due mostre straordinarie: una monografica su Alphonse Mucha, uno dei padri dell’Art Nouveau, nelle 11 sale dell’ala Rossetti, e una mostra-dossier su Giovanni Boldini, dedicata al tema del ritratto femminile, nelle 3 sale dell’ala Tisi.
Sia il ceco Alphonse Mucha (Ivančice, 1860 – Praga, 1939), sia il ferrarese Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931) si affermarono nella Parigi della Belle Époque ottenendo un successo di portata internazionale. Mucha giunse nella capitale francese nell’autunno del 1887, quando il ferrarese era già molto famoso e stava maturando l’intenzione di dedicarsi prevalentemente al genere del ritratto.
Mucha ammirò certamente le opere di Boldini presenti all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, dove fu a sua volta coinvolto in mostre e progetti, tra cui la decorazione del padiglione della Bosnia-Erzegovina commissionatagli dal governo austriaco.
Entrambi furono straordinari cantori della bellezza e del fascino della donna e riuscirono a dar forma, ognuno a proprio modo, all’ideale femminile del tempo presentandoci figure attraenti e seducenti, eleganti e energiche, emancipate e padrone del proprio destino.
ALPHONSE MUCHA
La retrospettiva racconta la biografia, il percorso artistico e i molteplici aspetti della produzione di Alphonse Mucha, che, nato nel 1860 nella piccola città morava di Ivančice, raggiunse fama internazionale nella Parigi fin de siècle grazie ai manifesti per gli spettacoli teatrali della celebre attrice Sarah Bernhardt e a pannelli decorativi raffiguranti donne attraenti e raffinate. Queste opere divennero presto emblematiche della nascente Art Nouveau, alla cui affermazione contribuì elaborando uno stile inconfondibile e seducente, subito ribattezzato “Le style Mucha”. Quando nel 1900 venne inaugurata l’Esposizione Universale di Parigi, il grafico ceco era già considerato una delle figure di spicco di questo nuovo movimento artistico. Nel 1904 visitò per la prima volta gli Stati Uniti e la stampa lo definì «il più grande artista decorativo del mondo». Sebbene sia noto principalmente per i manifesti eseguiti nella ville lumiere, Mucha fu straordinariamente poliedrico e versatile: oltre che illustratore, grafico e pittore, fu anche fotografo, scenografo, progettista d’interni, creatore di gioielli, packaging designer.
Fu anche un brillante insegnante, un filosofo e un pensatore politico: era convinto che la bellezza e la forza ispiratrice dell’arte potessero favorire il progresso dell’umanità e la pace; inoltre credeva fermamente nell’indipendenza della sua patria dall’Impero asburgico e seppe esprimere con forza il sogno di unità dei popoli slavi.
La mostra di Palazzo dei Diamanti illustra attraverso circa 150 opere – tra dipinti, disegni, fotografie, manifesti, oggetti – l’intera vicenda biografica e artistica di Mucha: dal decisivo incontro a Parigi con la “divina Sarah” all’affermazione del suo linguaggio attraverso i manifesti pubblicitari; dai progetti in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 ai soggiorni negli Stati Uniti, sino alla produzione degli anni maturi trascorsi in Cecoslovacchia, dove rientrò nel 1910 con l’obiettivo di mettere la propria arte al servizio del paese, specialmente attraverso la creazione del monumentale ciclo di dipinti dell’Epopea slava, il suo indiscutibile capolavoro.
L’esposizione, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, è organizzata da Fondazione Ferrara Arte, Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara e Arthemisia, in collaborazione con la Mucha Foundation ed è curata da Tomoko Sato con il coordinamento scientifico di Francesca Villanti.
La mostra vede come technical support Mucha Museum e Prague City Tourism e come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale.
Il catalogo è edito da Moebius.
Il ceco Alphonse Mucha, nato nel 1860 nella piccola città morava di Ivančice, diviene uno degli artisti più celebri di Parigi durante la cosiddetta Belle Époque, periodo di pace e prosperità tra gli anni ottanta dell'Ottocento e lo scoppio del primo conflitto mondale. Le sue straordinarie illustrazioni, i raffinati poster teatrali e le innovative creazioni pubblicitarie rivoluzionano il linguaggio visivo, elevando la comunicazione commerciale a vera espressione artistica. Le opere di Mucha conquistano rapidamente una fama mondiale, mentre il suo stile diviene talmente imitato da far coniare la definizione "Style Mucha". La potente bellezza dei suoi soggetti femminili, intanto, s'imprime indelebilmente nell'immaginario collettivo. Le iconiche figure che dominano le sue composizioni incarnano una visione rivoluzionaria di femminilità e sono portatrici di libertà e dignità fino ad allora negate. Agli albori della modernità, Mucha ne diventa eloquente interprete attraverso un linguaggio che intreccia armoniosamente diverse influenze: i Preraffaelliti, le xilografie giapponesi, gli elementi naturali, le decorazioni bizantine e le tradizioni slave. L'approccio del maestro boemo si rivela innovativo anche nel metodo creativo. Partendo dall'attenta osservazione della natura, l'artista integra le nuove conoscenze scientifiche in quelle che definirà "teorie su come incantare" i meccanismi della percezione visiva. Nonostante il successo internazionale, Mucha non dimentica mai le sue radici. Il profondo amore per la causa slava lo spinge a dedicarsi al ciclo monumentale dell'"Epopea slava" (1912-26), opera che considererà sempre il vero capolavoro della sua vita, affermandosi non solo come artista di fama mondiale ma anche come acceso patriota. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, quando Alphonse Mucha si spegne, la sua arte sembrava destinata all'oblio. Nonostante la celebrità raggiunta, nei decenni successivi il mondo artistico europeo si era completamente allontanato dal suo stile. Solo negli anni '60 il suo genio riemerge prepotentemente. La svolta avviene nel 1963, quando il Victoria and Albert Museum di Londra organizza una grande mostra che riaccende l'interesse per il maestro ceco. Questa riscoperta ha un impatto immediato e travolgente: i manifesti di Mucha diventano ben presto i più venduti nei negozi di riproduzioni d'arte come Athena a Londra, decorando le pareti delle abitazioni giovanili della Swinging London.
L'influenza di Mucha si diffonde rapidamente in tutta la cultura pop degli anni '60 e '70. Artisti come Wes Wilson, Victor Moscoso e Alan Aldridge si ispirano al suo stile per creare i manifesti psichedelici che definiscono l'estetica della Summer of Love e del rock and roll. Le sinuosità e i motivi decorativi muchaiani appaiono nelle copertine degli album, mentre il suo linguaggio visivo trova nuova vita nei fumetti giapponesi e americani, nelle serie animate e nei videogiochi. Nel 1980, una retrospettiva al Grand Palais di Parigi e, tre anni dopo, un'altra al Museo Isetan di Tokyo, cementano ulteriormente la sua influenza globale. In Giappone, in particolare, la popolarità di Mucha cresce costantemente, con mostre di ogni dimensione organizzate in tutto il paese. Oggi, l'impatto di Mucha è evidente in innumerevoli espressioni artistiche contemporanee: street art, moda, tatuaggi, manga online e numerose altre sottoculture. Nel 2013, il Museo Bellerive di Zurigo (oggi Museo del Design) ha dedicato una mostra intitolata "Mucha Manga Mystery" all'influenza dell'artista sull'arte commerciale dagli anni '60 in poi. Da manifesti su cartelloni parigini rubati dai frugali appassionati d'arte di fine Ottocento alle moderne reinterpretazioni digitali, l'arte di Mucha continua a essere sorprendentemente attuale e rivoluzionaria, proprio come lo era nel 1895.
GIOVANNI BOLDINI
Nelle sale dell’ala Tisi di Palazzo dei Diamanti, oltre 40 opere di Giovanni Boldini – tra dipinti ad olio, pastelli, acquerelli, disegni e incisioni – selezionate fra quelle custodite nel Museo a lui intitolato raccontano il suo talento di pittore della “donna moderna” e del suo fascino. La mostra approfondisce, infatti, il tema del ritratto femminile, cui il pittore ferrarese si dedicò in maniera quasi esclusiva, e con successo, nella Parigi fin de siècle. Ricercatissimo da una facoltosa clientela internazionale, Boldini fu capace di restituire, come pochi altri, la viva concretezza, il carattere e lo status dei suoi modelli, che consegnò alla storia come icone di un’epoca. Il pubblico e la critica, in Europa come in America, apprezzarono soprattutto l’innovativa formula stilistica con la quale diede forma all’ideale femminile del tempo: elegante, spigliato, colto, emancipato, inquieto, talvolta eccentrico.
Lo dimostrano i ritratti a figura intera per i quali divenne celebre in tutto il mondo, come quelli della contessa Berthier de Leusse, della principessa Eulalia di Spagna, della misteriosa protagonista di Fuoco d’artificio, e di Olivia Concha de Fontecilla, detto La signora in rosa. Accanto a questi capolavori, contraddistinti da quella peculiare scrittura rapidissima e insieme controllata che rende inconfondibile e unico il suo stile, saranno presenti altri esemplari a mezza figura a olio e a pastello, due straordinari ritratti di Boldini (il bronzo realizzato da Vincenzo Gemito e il famoso Autoritratto a sessantanove anni), alcuni interni dell’atelier, un genere dalla forte valenza autobiografica a cui si dedicò dalla fine degli anni Ottanta, e altri lavori, vitali e vibranti, concepiti come studi, tra cui il Nudino scattante e la tela intitolata Ninfe al chiaro di luna.
Completano il percorso espositivo una selezione di disegni che dimostrano il suo rapporto iperattivo con la realtà circostante e una serie di mirabili incisioni che documentano un aspetto della sua produzione assai significativo ma meno conosciuto.
La mostra, curata da Pietro Di Natale, è organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara.
Il catalogo è edito da Fondazione Ferrara Arte editore.
Il ceco Alphonse Mucha, nato nel 1860 nella piccola città morava di Ivančice, diviene uno degli artisti più celebri di Parigi durante la cosiddetta Belle Époque, periodo di pace e prosperità tra gli anni ottanta dell'Ottocento e lo scoppio del primo conflitto mondale. Le sue straordinarie illustrazioni, i raffinati poster teatrali e le innovative creazioni pubblicitarie rivoluzionano il linguaggio visivo, elevando la comunicazione commerciale a vera espressione artistica. Le opere di Mucha conquistano rapidamente una fama mondiale, mentre il suo stile diviene talmente imitato da far coniare la definizione "Style Mucha". La potente bellezza dei suoi soggetti femminili, intanto, s'imprime indelebilmente nell'immaginario collettivo. Le iconiche figure che dominano le sue composizioni incarnano una visione rivoluzionaria di femminilità e sono portatrici di libertà e dignità fino ad allora negate. Agli albori della modernità, Mucha ne diventa eloquente interprete attraverso un linguaggio che intreccia armoniosamente diverse influenze: i Preraffaelliti, le xilografie giapponesi, gli elementi naturali, le decorazioni bizantine e le tradizioni slave. L'approccio del maestro boemo si rivela innovativo anche nel metodo creativo. Partendo dall'attenta osservazione della natura, l'artista integra le nuove conoscenze scientifiche in quelle che definirà "teorie su come incantare" i meccanismi della percezione visiva. Nonostante il successo internazionale, Mucha non dimentica mai le sue radici. Il profondo amore per la causa slava lo spinge a dedicarsi al ciclo monumentale dell'"Epopea slava" (1912-26), opera che considererà sempre il vero capolavoro della sua vita, affermandosi non solo come artista di fama mondiale ma anche come acceso patriota. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, quando Alphonse Mucha si spegne, la sua arte sembrava destinata all'oblio. Nonostante la celebrità raggiunta, nei decenni successivi il mondo artistico europeo si era completamente allontanato dal suo stile. Solo negli anni '60 il suo genio riemerge prepotentemente. La svolta avviene nel 1963, quando il Victoria and Albert Museum di Londra organizza una grande mostra che riaccende l'interesse per il maestro ceco. Questa riscoperta ha un impatto immediato e travolgente: i manifesti di Mucha diventano ben presto i più venduti nei negozi di riproduzioni d'arte come Athena a Londra, decorando le pareti delle abitazioni giovanili della Swinging London.
L'influenza di Mucha si diffonde rapidamente in tutta la cultura pop degli anni '60 e '70. Artisti come Wes Wilson, Victor Moscoso e Alan Aldridge si ispirano al suo stile per creare i manifesti psichedelici che definiscono l'estetica della Summer of Love e del rock and roll. Le sinuosità e i motivi decorativi muchaiani appaiono nelle copertine degli album, mentre il suo linguaggio visivo trova nuova vita nei fumetti giapponesi e americani, nelle serie animate e nei videogiochi. Nel 1980, una retrospettiva al Grand Palais di Parigi e, tre anni dopo, un'altra al Museo Isetan di Tokyo, cementano ulteriormente la sua influenza globale. In Giappone, in particolare, la popolarità di Mucha cresce costantemente, con mostre di ogni dimensione organizzate in tutto il paese. Oggi, l'impatto di Mucha è evidente in innumerevoli espressioni artistiche contemporanee: street art, moda, tatuaggi, manga online e numerose altre sottoculture. Nel 2013, il Museo Bellerive di Zurigo (oggi Museo del Design) ha dedicato una mostra intitolata "Mucha Manga Mystery" all'influenza dell'artista sull'arte commerciale dagli anni '60 in poi. Da manifesti su cartelloni parigini rubati dai frugali appassionati d'arte di fine Ottocento alle moderne reinterpretazioni digitali, l'arte di Mucha continua a essere sorprendentemente attuale e rivoluzionaria, proprio come lo era nel 1895.
Come Mucha, Giovanni Boldini (1842-1931) si affermò nella Parigi della Belle Époque ottenendo un successo di portata internazionale. Il pittore ceco vi giunse nell’autunno del 1887, quando il ferrarese – più anziano di diciott’anni e lì residente dalla fine del 1871 – stava maturando l’intenzione, dopo aver affrontato «tutti i generi», di dedicarsi prevalentemente al ritratto. Ricercatissimo da una facoltosa clientela internazionale, Boldini fu capace di restituire, come pochi altri, la viva concretezza, il carattere e lo status dei suoi modelli, che consegnò alla storia come icone di un’epoca. Il pubblico e la critica, in Europa come in America, apprezzarono soprattutto l’innovativa formula stilistica con la quale diede forma all’ideale femminile del tempo: elegante, spigliato, colto, emancipato, inquieto, talvolta eccentrico. La sua qualità di pittore della “donna moderna” e del suo fascino è testimoniata in maniera esemplare dalle oltre 40 opere – tra dipinti ad olio, pastelli, acquerelli, disegni e incisioni – selezionate per questa mostra-dossier tra quelle custodite nel Museo Giovanni Boldini di Ferrara, che riaprirà nel rinnovato complesso di Palazzo Massari nel 2026.
Nella prima sala della mostra “incontriamo” Boldini, trentasettenne, ritratto in bronzo da Vincenzo Gemito ed “entriamo” nei suoi atelier parigini: da quello in place Pigalle, dov’è ambientata la serata musicale tramandata da La cantante mondana, al secondo, nel quale si trasferì nel luglio del 1886, in boulevard Berthier, descritto in una coppia d’indiavolate istantanee. Qui si svolse la visita di Emiliana Concha de Ossa, che di spalle si “specchia” nel suo celebre ritratto a pastello, tecnica di cui Boldini fu assoluto padrone. Lo dimostra un saggio eccellente come l’effige di Madame X, la cognata dell’amico pittore Paul César Helleu, vestita con un abito scuro dalla vertiginosa scollatura simile a quello indossato dalla contessa Gabrielle de Rasty, musa, amante e mecenate del pittore. Già in quest’opera del 1879 si coglie nella resa del fondo e del braccio della modella il segno rapido e fluido che avrebbe distinto le creazioni della piena maturità. Tra queste spiccano gli straordinari ritratti a figura intera dell’aristocratica parigina Suzanne Berthier de Leusse (c. 1889) e della misteriosa protagonista di Fuoco d’artificio (1892-95). Nella sala successiva si fronteggiano i grandi ritratti della principessa Eulalia di Spagna, che Boldini scelse di vestire con un abito bianco firmato da Madame Nicaud, e di Olivia Concha de Fontecilla (noto come La signora in rosa), che pare alzarsi dal divano per avvicinarsi all’osservatore, già rapito dal suo sorriso. La peculiare scrittura rapidissima e insieme controllata, che rende inconfondibile e unico il suo stile, si manifesta con evidenza ancora maggiore nei lavori concepiti come studi: il Nudino scattante, immagine d’evanescente e raffinato erotismo, la tela con l’intreccio di due mani femminili, soluzione adottata anche nel ritratto di Eulalia, e quella, forse eseguita in previsione della decorazione di un soffitto, intitolata Ninfe al chiaro di luna, che raffigura uno sciame di nudi in movimento che lasciano una scia nell’aria. Saggio di carattere privato sembra essere Il pianto, opera ricca di fresca materia, che si riduce all’essenziale, quasi vent’anni dopo, nel rarefatto, e altrettanto sensuale, ritratto della Contessa Saffo Zuccoli, considerato l’ultimo dipinto di Boldini. Completano la sala alcuni disegni, sia studi preparatori, sia opere autonome, come il foglio in cui descrive un angolo dell’atelier con i ritratti di Eulalia e di Madame Veil-Picard e il calco del busto del cardinale Leopoldo de’ Medici degli Uffizi, opera, allora creduta di Bernini, amatissima dal maestro ferrarese. Nell’ultima sala è esposto il celebre Autoritratto a sessantanove anni, eseguito nel 1911. Boldini si ritrae sicuro di sé e dei suoi mezzi, pienamente consapevole del proprio successo, come rivela lo sguardo fiero rivolto all’osservatore. È nel suo atelier di boulevard Berthier, seduto su una delle sedie usate per far posare le sue modelle, che sembrano ancora fargli compagnia in questa sala. Tra queste Eugénie Legrip detta Ninie, “divina” con la quale aveva soggiornato nella città termale di Pougues-les-Eaux nell’estate del 1909, ritratta assieme alla madre; la contessa Francesca d’Orsay, carissima amica degli anni maturi; la newyorkese di origini cubane Rita de Acosta, moglie del capitano Philip Lydig; Madame Veil-Picard, effigiata a mezzo busto, con la testa sorretta dal braccio e la mano che aggiusta i capelli, in una puntasecca tratta dal ritratto a figura intera. Questa straordinaria stampa, tirata da una delle circa cinquanta lastre realizzate da Boldini, documenta – assieme ad altre altrettanto notevoli – la sua abilità nell’arte incisoria, un aspetto della sua produzione assai significativo ma meno conosciuto, perché di carattere essenzialmente privato, e svolto in parallelo all’esercizio del disegno, che praticò durante la sua lunga carriera in maniera incessante, con modalità, scopi ed esiti assai differenti, ben rappresentati dai fogli esposti in questa sala e nelle precedenti.
Sia il ceco Alphonse Mucha (Ivančice, 1860 – Praga, 1939), sia il ferrarese Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 – Parigi, 1931) si affermarono nella Parigi della Belle Époque ottenendo un successo di portata internazionale. Mucha giunse nella capitale francese nell’autunno del 1887, quando il ferrarese era già molto famoso e stava maturando l’intenzione di dedicarsi prevalentemente al genere del ritratto.
Mucha ammirò certamente le opere di Boldini presenti all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, dove fu a sua volta coinvolto in mostre e progetti, tra cui la decorazione del padiglione della Bosnia-Erzegovina commissionatagli dal governo austriaco.
Entrambi furono straordinari cantori della bellezza e del fascino della donna e riuscirono a dar forma, ognuno a proprio modo, all’ideale femminile del tempo presentandoci figure attraenti e seducenti, eleganti e energiche, emancipate e padrone del proprio destino.
ALPHONSE MUCHA
La retrospettiva racconta la biografia, il percorso artistico e i molteplici aspetti della produzione di Alphonse Mucha, che, nato nel 1860 nella piccola città morava di Ivančice, raggiunse fama internazionale nella Parigi fin de siècle grazie ai manifesti per gli spettacoli teatrali della celebre attrice Sarah Bernhardt e a pannelli decorativi raffiguranti donne attraenti e raffinate. Queste opere divennero presto emblematiche della nascente Art Nouveau, alla cui affermazione contribuì elaborando uno stile inconfondibile e seducente, subito ribattezzato “Le style Mucha”. Quando nel 1900 venne inaugurata l’Esposizione Universale di Parigi, il grafico ceco era già considerato una delle figure di spicco di questo nuovo movimento artistico. Nel 1904 visitò per la prima volta gli Stati Uniti e la stampa lo definì «il più grande artista decorativo del mondo». Sebbene sia noto principalmente per i manifesti eseguiti nella ville lumiere, Mucha fu straordinariamente poliedrico e versatile: oltre che illustratore, grafico e pittore, fu anche fotografo, scenografo, progettista d’interni, creatore di gioielli, packaging designer.
Fu anche un brillante insegnante, un filosofo e un pensatore politico: era convinto che la bellezza e la forza ispiratrice dell’arte potessero favorire il progresso dell’umanità e la pace; inoltre credeva fermamente nell’indipendenza della sua patria dall’Impero asburgico e seppe esprimere con forza il sogno di unità dei popoli slavi.
La mostra di Palazzo dei Diamanti illustra attraverso circa 150 opere – tra dipinti, disegni, fotografie, manifesti, oggetti – l’intera vicenda biografica e artistica di Mucha: dal decisivo incontro a Parigi con la “divina Sarah” all’affermazione del suo linguaggio attraverso i manifesti pubblicitari; dai progetti in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 ai soggiorni negli Stati Uniti, sino alla produzione degli anni maturi trascorsi in Cecoslovacchia, dove rientrò nel 1910 con l’obiettivo di mettere la propria arte al servizio del paese, specialmente attraverso la creazione del monumentale ciclo di dipinti dell’Epopea slava, il suo indiscutibile capolavoro.
L’esposizione, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, è organizzata da Fondazione Ferrara Arte, Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara e Arthemisia, in collaborazione con la Mucha Foundation ed è curata da Tomoko Sato con il coordinamento scientifico di Francesca Villanti.
La mostra vede come technical support Mucha Museum e Prague City Tourism e come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale.
Il catalogo è edito da Moebius.
Il ceco Alphonse Mucha, nato nel 1860 nella piccola città morava di Ivančice, diviene uno degli artisti più celebri di Parigi durante la cosiddetta Belle Époque, periodo di pace e prosperità tra gli anni ottanta dell'Ottocento e lo scoppio del primo conflitto mondale. Le sue straordinarie illustrazioni, i raffinati poster teatrali e le innovative creazioni pubblicitarie rivoluzionano il linguaggio visivo, elevando la comunicazione commerciale a vera espressione artistica. Le opere di Mucha conquistano rapidamente una fama mondiale, mentre il suo stile diviene talmente imitato da far coniare la definizione "Style Mucha". La potente bellezza dei suoi soggetti femminili, intanto, s'imprime indelebilmente nell'immaginario collettivo. Le iconiche figure che dominano le sue composizioni incarnano una visione rivoluzionaria di femminilità e sono portatrici di libertà e dignità fino ad allora negate. Agli albori della modernità, Mucha ne diventa eloquente interprete attraverso un linguaggio che intreccia armoniosamente diverse influenze: i Preraffaelliti, le xilografie giapponesi, gli elementi naturali, le decorazioni bizantine e le tradizioni slave. L'approccio del maestro boemo si rivela innovativo anche nel metodo creativo. Partendo dall'attenta osservazione della natura, l'artista integra le nuove conoscenze scientifiche in quelle che definirà "teorie su come incantare" i meccanismi della percezione visiva. Nonostante il successo internazionale, Mucha non dimentica mai le sue radici. Il profondo amore per la causa slava lo spinge a dedicarsi al ciclo monumentale dell'"Epopea slava" (1912-26), opera che considererà sempre il vero capolavoro della sua vita, affermandosi non solo come artista di fama mondiale ma anche come acceso patriota. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, quando Alphonse Mucha si spegne, la sua arte sembrava destinata all'oblio. Nonostante la celebrità raggiunta, nei decenni successivi il mondo artistico europeo si era completamente allontanato dal suo stile. Solo negli anni '60 il suo genio riemerge prepotentemente. La svolta avviene nel 1963, quando il Victoria and Albert Museum di Londra organizza una grande mostra che riaccende l'interesse per il maestro ceco. Questa riscoperta ha un impatto immediato e travolgente: i manifesti di Mucha diventano ben presto i più venduti nei negozi di riproduzioni d'arte come Athena a Londra, decorando le pareti delle abitazioni giovanili della Swinging London.
L'influenza di Mucha si diffonde rapidamente in tutta la cultura pop degli anni '60 e '70. Artisti come Wes Wilson, Victor Moscoso e Alan Aldridge si ispirano al suo stile per creare i manifesti psichedelici che definiscono l'estetica della Summer of Love e del rock and roll. Le sinuosità e i motivi decorativi muchaiani appaiono nelle copertine degli album, mentre il suo linguaggio visivo trova nuova vita nei fumetti giapponesi e americani, nelle serie animate e nei videogiochi. Nel 1980, una retrospettiva al Grand Palais di Parigi e, tre anni dopo, un'altra al Museo Isetan di Tokyo, cementano ulteriormente la sua influenza globale. In Giappone, in particolare, la popolarità di Mucha cresce costantemente, con mostre di ogni dimensione organizzate in tutto il paese. Oggi, l'impatto di Mucha è evidente in innumerevoli espressioni artistiche contemporanee: street art, moda, tatuaggi, manga online e numerose altre sottoculture. Nel 2013, il Museo Bellerive di Zurigo (oggi Museo del Design) ha dedicato una mostra intitolata "Mucha Manga Mystery" all'influenza dell'artista sull'arte commerciale dagli anni '60 in poi. Da manifesti su cartelloni parigini rubati dai frugali appassionati d'arte di fine Ottocento alle moderne reinterpretazioni digitali, l'arte di Mucha continua a essere sorprendentemente attuale e rivoluzionaria, proprio come lo era nel 1895.
GIOVANNI BOLDINI
Nelle sale dell’ala Tisi di Palazzo dei Diamanti, oltre 40 opere di Giovanni Boldini – tra dipinti ad olio, pastelli, acquerelli, disegni e incisioni – selezionate fra quelle custodite nel Museo a lui intitolato raccontano il suo talento di pittore della “donna moderna” e del suo fascino. La mostra approfondisce, infatti, il tema del ritratto femminile, cui il pittore ferrarese si dedicò in maniera quasi esclusiva, e con successo, nella Parigi fin de siècle. Ricercatissimo da una facoltosa clientela internazionale, Boldini fu capace di restituire, come pochi altri, la viva concretezza, il carattere e lo status dei suoi modelli, che consegnò alla storia come icone di un’epoca. Il pubblico e la critica, in Europa come in America, apprezzarono soprattutto l’innovativa formula stilistica con la quale diede forma all’ideale femminile del tempo: elegante, spigliato, colto, emancipato, inquieto, talvolta eccentrico.
Lo dimostrano i ritratti a figura intera per i quali divenne celebre in tutto il mondo, come quelli della contessa Berthier de Leusse, della principessa Eulalia di Spagna, della misteriosa protagonista di Fuoco d’artificio, e di Olivia Concha de Fontecilla, detto La signora in rosa. Accanto a questi capolavori, contraddistinti da quella peculiare scrittura rapidissima e insieme controllata che rende inconfondibile e unico il suo stile, saranno presenti altri esemplari a mezza figura a olio e a pastello, due straordinari ritratti di Boldini (il bronzo realizzato da Vincenzo Gemito e il famoso Autoritratto a sessantanove anni), alcuni interni dell’atelier, un genere dalla forte valenza autobiografica a cui si dedicò dalla fine degli anni Ottanta, e altri lavori, vitali e vibranti, concepiti come studi, tra cui il Nudino scattante e la tela intitolata Ninfe al chiaro di luna.
Completano il percorso espositivo una selezione di disegni che dimostrano il suo rapporto iperattivo con la realtà circostante e una serie di mirabili incisioni che documentano un aspetto della sua produzione assai significativo ma meno conosciuto.
La mostra, curata da Pietro Di Natale, è organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara.
Il catalogo è edito da Fondazione Ferrara Arte editore.
Il ceco Alphonse Mucha, nato nel 1860 nella piccola città morava di Ivančice, diviene uno degli artisti più celebri di Parigi durante la cosiddetta Belle Époque, periodo di pace e prosperità tra gli anni ottanta dell'Ottocento e lo scoppio del primo conflitto mondale. Le sue straordinarie illustrazioni, i raffinati poster teatrali e le innovative creazioni pubblicitarie rivoluzionano il linguaggio visivo, elevando la comunicazione commerciale a vera espressione artistica. Le opere di Mucha conquistano rapidamente una fama mondiale, mentre il suo stile diviene talmente imitato da far coniare la definizione "Style Mucha". La potente bellezza dei suoi soggetti femminili, intanto, s'imprime indelebilmente nell'immaginario collettivo. Le iconiche figure che dominano le sue composizioni incarnano una visione rivoluzionaria di femminilità e sono portatrici di libertà e dignità fino ad allora negate. Agli albori della modernità, Mucha ne diventa eloquente interprete attraverso un linguaggio che intreccia armoniosamente diverse influenze: i Preraffaelliti, le xilografie giapponesi, gli elementi naturali, le decorazioni bizantine e le tradizioni slave. L'approccio del maestro boemo si rivela innovativo anche nel metodo creativo. Partendo dall'attenta osservazione della natura, l'artista integra le nuove conoscenze scientifiche in quelle che definirà "teorie su come incantare" i meccanismi della percezione visiva. Nonostante il successo internazionale, Mucha non dimentica mai le sue radici. Il profondo amore per la causa slava lo spinge a dedicarsi al ciclo monumentale dell'"Epopea slava" (1912-26), opera che considererà sempre il vero capolavoro della sua vita, affermandosi non solo come artista di fama mondiale ma anche come acceso patriota. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, quando Alphonse Mucha si spegne, la sua arte sembrava destinata all'oblio. Nonostante la celebrità raggiunta, nei decenni successivi il mondo artistico europeo si era completamente allontanato dal suo stile. Solo negli anni '60 il suo genio riemerge prepotentemente. La svolta avviene nel 1963, quando il Victoria and Albert Museum di Londra organizza una grande mostra che riaccende l'interesse per il maestro ceco. Questa riscoperta ha un impatto immediato e travolgente: i manifesti di Mucha diventano ben presto i più venduti nei negozi di riproduzioni d'arte come Athena a Londra, decorando le pareti delle abitazioni giovanili della Swinging London.
L'influenza di Mucha si diffonde rapidamente in tutta la cultura pop degli anni '60 e '70. Artisti come Wes Wilson, Victor Moscoso e Alan Aldridge si ispirano al suo stile per creare i manifesti psichedelici che definiscono l'estetica della Summer of Love e del rock and roll. Le sinuosità e i motivi decorativi muchaiani appaiono nelle copertine degli album, mentre il suo linguaggio visivo trova nuova vita nei fumetti giapponesi e americani, nelle serie animate e nei videogiochi. Nel 1980, una retrospettiva al Grand Palais di Parigi e, tre anni dopo, un'altra al Museo Isetan di Tokyo, cementano ulteriormente la sua influenza globale. In Giappone, in particolare, la popolarità di Mucha cresce costantemente, con mostre di ogni dimensione organizzate in tutto il paese. Oggi, l'impatto di Mucha è evidente in innumerevoli espressioni artistiche contemporanee: street art, moda, tatuaggi, manga online e numerose altre sottoculture. Nel 2013, il Museo Bellerive di Zurigo (oggi Museo del Design) ha dedicato una mostra intitolata "Mucha Manga Mystery" all'influenza dell'artista sull'arte commerciale dagli anni '60 in poi. Da manifesti su cartelloni parigini rubati dai frugali appassionati d'arte di fine Ottocento alle moderne reinterpretazioni digitali, l'arte di Mucha continua a essere sorprendentemente attuale e rivoluzionaria, proprio come lo era nel 1895.
Come Mucha, Giovanni Boldini (1842-1931) si affermò nella Parigi della Belle Époque ottenendo un successo di portata internazionale. Il pittore ceco vi giunse nell’autunno del 1887, quando il ferrarese – più anziano di diciott’anni e lì residente dalla fine del 1871 – stava maturando l’intenzione, dopo aver affrontato «tutti i generi», di dedicarsi prevalentemente al ritratto. Ricercatissimo da una facoltosa clientela internazionale, Boldini fu capace di restituire, come pochi altri, la viva concretezza, il carattere e lo status dei suoi modelli, che consegnò alla storia come icone di un’epoca. Il pubblico e la critica, in Europa come in America, apprezzarono soprattutto l’innovativa formula stilistica con la quale diede forma all’ideale femminile del tempo: elegante, spigliato, colto, emancipato, inquieto, talvolta eccentrico. La sua qualità di pittore della “donna moderna” e del suo fascino è testimoniata in maniera esemplare dalle oltre 40 opere – tra dipinti ad olio, pastelli, acquerelli, disegni e incisioni – selezionate per questa mostra-dossier tra quelle custodite nel Museo Giovanni Boldini di Ferrara, che riaprirà nel rinnovato complesso di Palazzo Massari nel 2026.
Nella prima sala della mostra “incontriamo” Boldini, trentasettenne, ritratto in bronzo da Vincenzo Gemito ed “entriamo” nei suoi atelier parigini: da quello in place Pigalle, dov’è ambientata la serata musicale tramandata da La cantante mondana, al secondo, nel quale si trasferì nel luglio del 1886, in boulevard Berthier, descritto in una coppia d’indiavolate istantanee. Qui si svolse la visita di Emiliana Concha de Ossa, che di spalle si “specchia” nel suo celebre ritratto a pastello, tecnica di cui Boldini fu assoluto padrone. Lo dimostra un saggio eccellente come l’effige di Madame X, la cognata dell’amico pittore Paul César Helleu, vestita con un abito scuro dalla vertiginosa scollatura simile a quello indossato dalla contessa Gabrielle de Rasty, musa, amante e mecenate del pittore. Già in quest’opera del 1879 si coglie nella resa del fondo e del braccio della modella il segno rapido e fluido che avrebbe distinto le creazioni della piena maturità. Tra queste spiccano gli straordinari ritratti a figura intera dell’aristocratica parigina Suzanne Berthier de Leusse (c. 1889) e della misteriosa protagonista di Fuoco d’artificio (1892-95). Nella sala successiva si fronteggiano i grandi ritratti della principessa Eulalia di Spagna, che Boldini scelse di vestire con un abito bianco firmato da Madame Nicaud, e di Olivia Concha de Fontecilla (noto come La signora in rosa), che pare alzarsi dal divano per avvicinarsi all’osservatore, già rapito dal suo sorriso. La peculiare scrittura rapidissima e insieme controllata, che rende inconfondibile e unico il suo stile, si manifesta con evidenza ancora maggiore nei lavori concepiti come studi: il Nudino scattante, immagine d’evanescente e raffinato erotismo, la tela con l’intreccio di due mani femminili, soluzione adottata anche nel ritratto di Eulalia, e quella, forse eseguita in previsione della decorazione di un soffitto, intitolata Ninfe al chiaro di luna, che raffigura uno sciame di nudi in movimento che lasciano una scia nell’aria. Saggio di carattere privato sembra essere Il pianto, opera ricca di fresca materia, che si riduce all’essenziale, quasi vent’anni dopo, nel rarefatto, e altrettanto sensuale, ritratto della Contessa Saffo Zuccoli, considerato l’ultimo dipinto di Boldini. Completano la sala alcuni disegni, sia studi preparatori, sia opere autonome, come il foglio in cui descrive un angolo dell’atelier con i ritratti di Eulalia e di Madame Veil-Picard e il calco del busto del cardinale Leopoldo de’ Medici degli Uffizi, opera, allora creduta di Bernini, amatissima dal maestro ferrarese. Nell’ultima sala è esposto il celebre Autoritratto a sessantanove anni, eseguito nel 1911. Boldini si ritrae sicuro di sé e dei suoi mezzi, pienamente consapevole del proprio successo, come rivela lo sguardo fiero rivolto all’osservatore. È nel suo atelier di boulevard Berthier, seduto su una delle sedie usate per far posare le sue modelle, che sembrano ancora fargli compagnia in questa sala. Tra queste Eugénie Legrip detta Ninie, “divina” con la quale aveva soggiornato nella città termale di Pougues-les-Eaux nell’estate del 1909, ritratta assieme alla madre; la contessa Francesca d’Orsay, carissima amica degli anni maturi; la newyorkese di origini cubane Rita de Acosta, moglie del capitano Philip Lydig; Madame Veil-Picard, effigiata a mezzo busto, con la testa sorretta dal braccio e la mano che aggiusta i capelli, in una puntasecca tratta dal ritratto a figura intera. Questa straordinaria stampa, tirata da una delle circa cinquanta lastre realizzate da Boldini, documenta – assieme ad altre altrettanto notevoli – la sua abilità nell’arte incisoria, un aspetto della sua produzione assai significativo ma meno conosciuto, perché di carattere essenzialmente privato, e svolto in parallelo all’esercizio del disegno, che praticò durante la sua lunga carriera in maniera incessante, con modalità, scopi ed esiti assai differenti, ben rappresentati dai fogli esposti in questa sala e nelle precedenti.
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