Nella sala XVII della Pinacoteca Vaticana

Il fermento artistico di Montefalco, tra devozione e committenza, in due dipinti dei Musei Vaticani

Una scena del dossale della Cappella di Santa Croce a Montefalco, 1333
 

Samantha De Martin

30/09/2019

Mondo - I volti dei soldati responsabili della decapitazione di San Biagio, sfigurati, mostrano ancora i segni dell’empatica partecipazione della devozione popolare al dramma della Croce.
Non era difficile, infatti, che i fedeli si accanissero con violenza contro le figure malvagie delle storie dei santi, ricorrendo a strumenti appuntiti per cancellarne i volti dalle opere d’arte.
Questa insolita incursione è una delle caratteristiche che rende particolarmente affascinante il dossale della Cappella di Santa Croce a Montefalco (Perugia), restaurato per la terza volta nel 2017 e oggi esposto nella Sala XVII della Pinacoteca Vaticana, nell’ambito del primo appuntamento autunnale della Rassegna “Museum at Work”.

“Chiara da Montefalco e Jean d’Amiel. Devozione e committenza in due dipinti restaurati dei Musei Vaticani”, questo il titolo della mostra, presenta al pubblico due capolavori oggi parte dell’arredo dell’Appartamento Pontificio.

Il dossale era posto sull’altare della Cappella di Santa Croce le cui pareti erano state affrescate da due artisti noti come Primo e Secondo Maestro della Beata Chiara da Montefalco. Venduta al Vaticano nel 1927 per le difficoltà economiche del monastero, l’opera, fedele alla tradizione artistica umbra, è stata realizzata dal primo di questi maestri.
Quando giunse in Vaticano era divisa in due e ancora oggi sul dossale si intravedono i segni di quella rovinosa frattura, malgrado il restauro effettuato e la reintegrazione delle lacune avvenuta con un puntinato ad acquerello.
Ai lati della Crocifissione, narrate su due registri, sono raccontate, in uno stile ingenuo o fiabesco, le vicende dei due martiri, Biagio e Caterina d’Alessandria, ispirate alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Caterina, sottoposta al supplizio della ruota per essersi opposta all’imperatore Massenzio, viene raffigurata con i suoi attributi, la corona e la ruota, ma anche come la protettrice delle balie (in una scena del dossale, dalla sua testa mozzata scaturisce il latte).
Altrettanto significativa è l'immagine di San Biagio, raffigurato mentre sottrae alla morte un bambino che ha in gola una lisca di pesce.

Influssi d’Oltralpe nel Polittico del Maestro di Fossa

Accanto a questo capolavoro, realizzato intorno al 1333, nell’ambito della piccola mostra allestita nella Sala XVII, spicca il Polittico con la Crocifissione e le Storie della Passione attribuito a un pittore chiamato convenzionalmente Maestro di Fossa, e realizzato nel 1336.
Proviene della chiesa di San Francesco a Montefalco ed è costituito da cinque elementi che, in occasione del restauro, sono stati ricomposti secondo l’ordine originale.

“In questa circostanza - spiega la direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta - è stata riportata alla luce l’iscrizione sotto la scena centrale, con la datazione e il nome del committente”.
Si tratta di Jean d’Amiel, che, nel 1333, aveva promosso la decorazione della Cappella di Santa Croce delle monache di Santa Chiara e che estese poi il proprio interesse anche alla nuova chiesa dei Francescani.

A Montefalco due botteghe al servizio di un committente

Al contrario del dossale, il Polittico riflette uno stile nuovo, frutto degli scambi intercorsi tra l’ambiente artistico umbro e la corte di Avignone.
“Ciò a conferma - spiega Adele Breda, responsabile del Reparto per l'Arte bizantino-medievale dei Musei Vaticani - che a Montefalco fossero attive due botteghe che lavoravano per lo stesso committente e che realizzarono, a soli tre anni di distanza, due opere profondamente diverse”.

Il polittico arrivò in Vaticano nel XIX secolo, smembrato e privo di cornice. L’intervento del 2017 ha permesso di riordinare la sequenza degli scomparti e soprattutto di restaurare l’antica iscrizione, fino allora nascosta dalla cornice.

Uno spaccato di vita medievale

“La presentazione di queste due importanti opere nella stessa sala - continua Adela Breda - consente di ricreare l’atmosfera nella quale i due dipinti sono nati, restituendo la devozione dei fedeli, ma anche le testimonianze e le coesistenze degli artisti locali accanto a maestri d’Oltralpe".
Oltre a evidenziare il ricco contesto artistico della cittadina umbra nel XIV secolo, la mostra allestita nella Sala XVII è anche un’occasione per far nuova luce su due figure poco note, Chiara di Damiano e il vescovo Jean d’Amiel. I due non si incontrarono mai, ma il vescovo e generoso mecenate, affascinato dal carisma della santa, commissionò gli affreschi dell’oratorio di Santa Croce, dove Chiara morì, raffigurandone le Storie e comparendovi per ben tre volte ritratto da donatore.

Leggi anche:

• Plecnik e il sacro: gli arredi liturgici del designer sloveno per la prima volta ai Musei Vaticani

COMMENTI