Pittori tra Torino e le Langhe al tempo di Augusto Monti
Dal 03 Giugno 2017 al 06 Agosto 2017
Monastero Bormida | Asti
Luogo: Castello medievale di Monastero Bormida
Indirizzo: piazza Castello
Orari: sabato 16-20; domenica 10-13 / 16-20
Enti promotori:
- Patrocinio di Regione Piemonte
- Provincia di Asti
Telefono per informazioni: +39 0144 88012
E-Mail info: info@comunemonastero.at.it
A cinquant’anni dalla scomparsa la figura di Augusto Monti risalta, per rigore morale e coerenza politica, nella schiera di quegli uomini di cultura torinesi che, negli anni del consenso generalizzato, hanno saputo trovare il coraggio di opporsi alle politiche liberticide del Regime fascista pagando di persona il loro fermo dissenso.
Nato a Monastero Bormida, Monti si formò tra l’età umbertina e quella giolittiana a Torino, dove tornò, dopo varie peregrinazioni nelle scuole d’Italia, agli inizi degli anni Venti come docente di materie classiche al liceo D’Azeglio. Su questa cattedra Monti è stato il punto di riferimento per un’intera generazione di allievi, tra i quali spiccano i nomi prestigiosi di Pavese, Bobbio, Mila, Ginzburg, Foa, a cui ha impartito una lezione basata sui classici latini e greci che riteneva fondamentali per la formazione di personalità libere e dotate di autonomia critica.
È sulla base dell’ insegnamento del loro professore che molti suoi allievi, negli anni oppressivi della dittatura e in quelli drammatici della guerra e della Resistenza, svilupperanno la loro coscienza antifascista. A questo maestro di etica politica, profonda- mente convinto che sui valori del liberalismo fosse possibile innestare anche istanze di giustizia sociale, è dedicata questa mostra che tenta di ricostruire il contesto culturale in cui ha agito e l’intreccio delle relazioni che ha intessuto con altre personalità attive a Torino tra le due guerre.
La rassegna getta uno sguardo panoramico sulla variegata e dinamica situazione artistica torinese, animata da una vivace dialettica di tendenze e dalla presenza di artisti di notevole rilievo rappresentati in mostra da opere significative.
Innanzitutto quelle di Felice Casorati, il cui avvento a Torino alla fine del secondo decennio ha prodotto una netta cesura con la cultura dei maestri che dominavano sulla scena artistica torinese: con il gusto “antiquato” dei docenti dell’Accademia Albertina, tra cui Giacomo Grosso, ritrattista principe delle élites cittadine, e con tutti quei pittori di paesaggio che mantenevano un saldo rapporto con la tradizione paesistica piemontese del secondo Ottocento.
Sulla scia di Casorati, affascinati dal suo carisma e dallo stile della sua pittura, si posero i numerosi allievi e allieve (Marchesini, Mori, Levi Montalcini, Romano, Lattes, Bionda e Galvano) che frequentavano la “scuola” aperta dal maestro in via Galliari, dove si insegnavano il rigore disegnativo e le regole classiche della composizione.
Sul fronte modernista a partire dal ’23 si pose anche la combattiva pattuglia dei futuristi, con Fillia, Pozzo, Diulgheroff, Oriani, Rosso e altri, che fondevano nelle loro opere il linguaggio futurista con apporti cubisti e tendenze astratte.
Questo gruppo attirò l’attenzione di Antonio Gramsci, altro protagonista di quegli anni, che, resosi conto della forza rivoluzionaria di Marinetti e del suo movimento, tentò, senza successo, di coniugare, sul modello sovietico, l’avanguardia futurista to- rinese con l’avanguardia operaia raccolta intorno ad “Ordine nuovo”.
Per iniziativa di Edoardo Persico, nel ’29 si formò il gruppo dei “Sei pittori di Torino”, costituito da Paulucci, Levi, Menzio, Chessa, Galante e Boswell, che seguivano indicazioni critiche di Lionello Venturi, altro esponente dell’antifascismo, contenute nel suo libro “Il gusto dei primitivi” del ‘26, testo che rivalutava i pittori del Tre e del Quattrocento e leggeva in chiave “primitivista” l’Impressionismo e il Postimpressionismo, considerati come matrici della modernità in pittura.
Ponendosi sulla linea filofrancese indicata da Venturi, i Sei intendevano sprovincializzare la cultura artistica italiana allora dominata da Novecento, movimento che invece aveva puntato sul recupero della tradizione pittorica nazionale seguendo i dettami del “ritorno all’ordine”.
All’aulica classicità, alla volumetrica plasticità delle forme e al chiaro-scuro privilegiati dai novecentisti il Gruppo contrappose il colore-luce, le dissolvenze, la bidimensionalità del piano, i toni bassi e sfumati ritenuti più consoni per la trattazione di soggetti come i ritratti, i nudi e le nature morte, legati alla dimensione del quotidiano.
In dialettica con loro si posero nel corso degli anni Venti e Trenta anche altri pittori di valore come Manzone, Valinotti, Deabate, Quaglino, Terzolo e Peluzzi, profondamente radicati nei territori d’origine, attivi a Torino e nella provincia piemontese tra il Monferrato e le Langhe, che rappresentavano, con trasporto affettivo, il paesaggio della loro terra e le attività stagionali dei contadini, mantenendo vivo il legame col naturalismo ma innovandolo con moderate iniezioni di modernità che, come accadeva nelle coeve opere dei Sei, provenivano prevalentemente d’Oltralpe.
Sono inoltre esposte opere di alcuni artisti non allineati con i gruppi in campo, che però hanno lasciato tracce significative della loro presenza in Piemonte come Carena, Sobrero, Maggi, Malvano, Spazzapan, Mastroianni e altri. La mostra comprende infine alcune opere di Mario Sturani, genero di Monti, autore di originali ceramiche modellate per la ditta Lenci, di cui divenne direttore artistico.
M. Galli
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