Festino degli dei
Il Festino degli dei è un dipinto di Giovanni Bellini, ad olio su tela (170 x 188 cm), realizzata nel 1514; è firmato e datato: «IOANNES BELLINVS VENETVS P MDXIIII».
È conservata alla National Gallery of Art di Washington.
Gli dei sono riuniti in olimpico convito: un lungo, estenuante banchetto durato tutta la notte: adesso, verso l'alba, mentre alcuni son colti dal sonno, sfiancati dal vino e dalle libagioni, Nettuno può prendersi qualche libertà, con la destra nell'intimità di Cibele, con la sinistra sul fondo schiena di Cerere; persino il deforme Priapo solleva furtivo la veste di Lotis tentando un goffo approccio: sarà l'asino di Sileno che tra un istante scuoterà dal loro pigro torpore gli eterni; per ora un fagiano, nel buio fra i rami, spia quanto avviene in contenuta tensione.
È nozione comune che Bellini non amasse dipingere quadri di soggetto mitologico. D'altra parte qualcuno sostiene che gli sono solo mancate le occasioni, dato che la clientela veneta non prediligeva questi soggetti; la sua amicizia con umanisti come Bembo o Leonico Tomeo proverebbe invece un grande interesse per il mondo classico.
Tuttavia nemmeno Bembo riuscì a convincere l'artista a venir incontro al desiderio di Isabella d'Este di ottenere dal pittore un "favola", nonostante la raccomandazione «di tenere ben disposto il Bellino et di componere la poesia ad sua satisfactione»: la marchesa di Mantova si sarebbe dovuta arrendere. Lo stesso Bembo, pur mostrandosi fiducioso con la marchesa, ci dà però un'idea della fiera opposizione dell'artista: «Insomma gli avemo dato tanta battaglia che il castello al tutto credo si renderà».
Non si capisce, con queste premesse, come mai Bellini accettò invece la commissione del duca di Ferrara, Alfonso I d'Este, fratello della marchesa, di un quadro a soggetto mitologico da sistemare nel "camerino d'alabastro" che il duca progettava di costruire.
Il Festino degli dei fu dunque il primo dei quadri ordinati da Alfonso per lo scopo anzidetto: dopo aver invano atteso dipinti da Fra' Bartolomeo e da Raffaello, e aver ottenuto invece un dipinto da Dosso Dossi, pittore di corte a Ferrara, si rivolse a Tiziano che dipingerà per lui la Festa di Venere], il Bacco e Arianna e infine il Baccanale degli Andrii.
Lo stesso Tiziano interverrà successivamente sul dipinto del Giambellino, in particolare sul paesaggio, per adeguarlo alle sue opere che si trovavano nello stesso ambiente.
Passata Ferrara sotto il dominio dello Stato Pontificio, il legato di Papa Clemente VIII, il cardinale Aldobrandini, si impadronì delle opere del "camerino", fra cui il Festino. Il dipinto rimase proprietà degli Aldobrandini fino al 1796, quando fu venduto a Vincenzo Camuccini, che a sua volta lo vendette all'estero. Nel 1925 il magnate americano Peter A. B. Widener acquistò il dipinto dal duca di Northumberland; successivamente la tela entrò nella collezione della National Gallery of Art di Washington, dove si trova tuttora.
L'episodio è tratto da Ovidio e narra "un'impresa" del deforme Priapo: dopo un festino degli dei, il semidio cerca di possedere nel sonno la ninfa Lotide, che però viene svegliata dal raglio dell'asino di Sileno. Grande scorno del farabutto e risate degli dei.
La scena dovrebbe avere un carattere lascivo ed erotico, ma invece il tutto appare un po' rigido e freddo. Non che il dipinto non sia di qualità, anzi la tecnica è perfetta, la raffinatezza dei particolari altissima, ma il risultato complessivo non soddisfaceva nemmeno lo stesso artista, visto che intervenne più volte ad opera finita sul dipinto.
Il pittore si recò infatti di persona a Ferrara per seguire da vicino la sistemazione del quadro e lì apportò alcune modifiche, scoprendo il seno ad alcune figure femminili a destra e poi, sempre nell'intento di rendere più "tizianamente orgiastico" il quadro, aggiunse alcuni particolari. In occasione di questo viaggio, infatti, Bellini probabilmente vide l'affresco del Mese di Aprile di Francesco del Cossa nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia: il gesto di Nettuno che insinua una mano fra le cosce di Cibele è un'esplicita citazione dell'affresco ferrarese.
Il tentativo dell'artista, tuttavia, non riuscì a movimentare questa scampagnata dei superi, tantomeno a renderla fascinosamente erotica: lo scarto di cultura e di mentalità col secolo che entrava - e con i suoi nuovi astri nascenti - era evidentemente troppo abbondante. Bellini risistemò anche il paesaggio, che fu poi successivamente completamente rifatto, come già detto, da Tiziano.
«Eppure, anche per le mani di altri, resta non sfiorata la purezza della poesia di Giovanni, che era quella di uomo che meditava senza che la mente si raggricciasse mai in una ruga. Meditava sulla bellezza dell'esserci dell'uomo al mondo, sull'aria intatta che trasfigura i coltivi in un tappeto armonioso, sui rapporti insomma di intimità e distacco che corrono fra Natura e Storia.»
Così, a ben vedere, il dipinto è attraversato da una sorridente e blanda ironia, che evita di fermarsi sui particolari più crudi del racconto del porta latino, per meditare invece nel considerare amabilmente le divine debolezze degli dei.
Così ci rilassiamo e sorridiamo: anche perché sappiamo, al contrario degli dei, che tra poco quel raglio lacererà l'aria e darà inizio alla baraonda che interromperà la sonnecchiosa tranquillità del momento. È un istante di sospensione, una raffinata istantanea scattata prima della tempesta. E in questa meditativa e sorridente sospensione, ci sorprendiamo a considerare i particolari: notiamo per esempio che la postura del Mercurio ci ricorda qualcosa che verrà dopo, per mano dell'allievo: sì, sembra proprio la Danae. Ma questa è un'altra storia.