Galleria Campari, museo d'impresa a Milano
Oltre un secolo di comunicazione, tra arte e design
Fortunato Depero, Con un occhio vidi un Cordial con l'altro un Bitter, 1928, Galleria Campari, Sesto San Giovanni (MI)
Eleonora Zamparutti
09/04/2015
Milano - In oltre 150 anni di storia Campari ha lasciato un’impronta nel rito dell’aperitivo.
Merito di una ricetta che rimane tutt’oggi segreta, ma anche di una comunicazione moderna ed efficace che ha visto coinvolti in primo piano artisti d’avanguardia italiani e internazionali lungo tutto il Novecento e che ha contribuito a dissolvere le barriere tra arte creativa e arte commerciale. Addirittura Fellini accettò di girare per Campari “Che bel paesaggio”, uno dei rari spot televisivi del regista, perché si ricordava quando da piccolo accompagnava il padre la domenica a bere l’aperitivo.
FOTO: I POSTER CHE HANNO FATTO LA STORIA DELL'APERITIVO
Le collaborazioni con gli artisti sono davvero numerose e durature, ben documentate nella Galleria Campari, il museo d’impresa fondato nel 2010 a Milano presso la sede storica dell’azienda a Sesto San Giovanni edificata nel 1904. Era l’inizio di un nuovo secolo, gli affari andavano a gonfie vele e gli spazi del laboratorio in Piazza Duomo non bastavano più: Davide e Guido Campari, figli del fondatore Gaspare, decidono allora di rilevare una villa di campagna del ‘700 e di porre il primo nucleo della fabbrica proprio in prossimità della seconda linea ferroviaria italiana, la Milano – Monza.
Oggi la palazzina in stile Liberty-Déco che accoglieva lo stabilimento di produzione attivo fino al 2005, ospita i corridoi di un museo d’impresa che espone circa 150 opere. “Il pubblico che frequenta la Galleria è alquanto trasversale” afferma Paolo Cavallo, direttore e ideatore del Museo, fondato in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’azienda. “Abbiamo circa 10mila visitatori ogni anno, che si dividono tra appassionati ed estimatori del marchio provenienti da ogni dove, scolaresche, università anche straniere, appassionati d’arte, associazioni culturali e turisti”. Per i mesi che verranno sono numerose le iniziative che vedranno coinvolta la Galleria: un’esposizione temporanea, eventi e aperitivi a Milano in occasione di Expo, una mostra in Svizzera e una a Parigi.
All’ingresso dei quartieri generali della Campari, azienda che conta oltre 50 brand del settore beverage italiani e internazioni, campeggiano oggi due foto di Gerard Byrne presso il Campari Wall, un punto di esposizione di un ciclo di opere fotografiche a cura di Marina Mojana in collaborazione con la Lisson Gallery e ispirato al tema “Aspettando Godot”. E’ un’iniziativa che nasce per stimolare la sensibilità artistica dei visitatori del building e che in qualche modo esprime la cifra stilistica dell’impegno della Galleria Campari che non vuole essere un museo polveroso e autocelebrativo, ma un’esposizione di opere significative che hanno fatto la storia della comunicazione pubblicitaria. La Galleria Campari è un luogo ricco di multimedialità in cui il visitatore diventa protagonista. “Già all’ingresso il visitatore percepisce questa “atmosfera”, accolto da una slot machine che compone la parola Campari utilizzando i diversi lettering che furono creati dagli artisti incaricati di reclamizzare i prodotti della marca, fino al termine degli anni ’20,” prosegue Cavallo.
Per il padiglione “Arts & Food” alla Triennale il museo ha dato in prestito 4 chine e due sculture in legno di Fortunato Depero e 7 poster d’epoca, facenti parte dell’archivio di oltre 3.000 disegni e poster originali. Altre 5 andranno al Max Museo di Chiasso per una mostra che inaugurerà il prossimo autunno. Lo scorso anno invece una selezione di opere è stata esibita al Guggenheim di New York per una mostra dedicata a Fortunato Depero, artista futurista e pubblicitario che con la Campari ha lungamente collaborato dal 1926 al 1936 producendo oltre 100 bozzetti in china, di cui 60 sono conservati nell’archivio del museo, altri al Mart di Rovereto e in collezioni private.
Il primo poster risale al 1890 ma è all’inizio del Novecento che Davide Campari, figlio del fondatore, capisce l’importanza della comunicazione pubblicitaria per la crescita dell’azienda. Nel corso della Belle Époque si avviano le collaborazioni con Marcello Dudovich che ritrae donne e ufficiali dell’alta società alle prese con l’aperitivo, e altri padri del cartellonismo pubblicitario come Adolf Holenstein, Leonetto Cappiello ed Enrico Sacchetti. Negli anni ’20 è celebre la produzione di poster a cura di Marcello Nizzoli, designer tra l’altro di alcune macchine da scrivere Olivetti. Negli anni ’40 proseguono le collaborazioni con Carlo Fisanotti, e poi con Nino Nanni e Franz Marangolo.
Nel 1964 Bruno Munari inventa il poster “Declinazione grafica del nome Campari”, concepito in occasione dell’inaugurazione della prima linea della metropolitana milanese per l’affissione nelle stazioni, ideato per poter essere letto dai vagoni in corsa. Durante gli anni ’70 è l’epoca d’oro dei caroselli con grandi attori come David Niven, Humphrey Bogart, Nino Manfredi, Kelly le Brook, negli anni ’90 è il periodo della collaborazione con Ugo Nespolo. Il resto è storia recente.
Merito di una ricetta che rimane tutt’oggi segreta, ma anche di una comunicazione moderna ed efficace che ha visto coinvolti in primo piano artisti d’avanguardia italiani e internazionali lungo tutto il Novecento e che ha contribuito a dissolvere le barriere tra arte creativa e arte commerciale. Addirittura Fellini accettò di girare per Campari “Che bel paesaggio”, uno dei rari spot televisivi del regista, perché si ricordava quando da piccolo accompagnava il padre la domenica a bere l’aperitivo.
FOTO: I POSTER CHE HANNO FATTO LA STORIA DELL'APERITIVO
Le collaborazioni con gli artisti sono davvero numerose e durature, ben documentate nella Galleria Campari, il museo d’impresa fondato nel 2010 a Milano presso la sede storica dell’azienda a Sesto San Giovanni edificata nel 1904. Era l’inizio di un nuovo secolo, gli affari andavano a gonfie vele e gli spazi del laboratorio in Piazza Duomo non bastavano più: Davide e Guido Campari, figli del fondatore Gaspare, decidono allora di rilevare una villa di campagna del ‘700 e di porre il primo nucleo della fabbrica proprio in prossimità della seconda linea ferroviaria italiana, la Milano – Monza.
Oggi la palazzina in stile Liberty-Déco che accoglieva lo stabilimento di produzione attivo fino al 2005, ospita i corridoi di un museo d’impresa che espone circa 150 opere. “Il pubblico che frequenta la Galleria è alquanto trasversale” afferma Paolo Cavallo, direttore e ideatore del Museo, fondato in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’azienda. “Abbiamo circa 10mila visitatori ogni anno, che si dividono tra appassionati ed estimatori del marchio provenienti da ogni dove, scolaresche, università anche straniere, appassionati d’arte, associazioni culturali e turisti”. Per i mesi che verranno sono numerose le iniziative che vedranno coinvolta la Galleria: un’esposizione temporanea, eventi e aperitivi a Milano in occasione di Expo, una mostra in Svizzera e una a Parigi.
All’ingresso dei quartieri generali della Campari, azienda che conta oltre 50 brand del settore beverage italiani e internazioni, campeggiano oggi due foto di Gerard Byrne presso il Campari Wall, un punto di esposizione di un ciclo di opere fotografiche a cura di Marina Mojana in collaborazione con la Lisson Gallery e ispirato al tema “Aspettando Godot”. E’ un’iniziativa che nasce per stimolare la sensibilità artistica dei visitatori del building e che in qualche modo esprime la cifra stilistica dell’impegno della Galleria Campari che non vuole essere un museo polveroso e autocelebrativo, ma un’esposizione di opere significative che hanno fatto la storia della comunicazione pubblicitaria. La Galleria Campari è un luogo ricco di multimedialità in cui il visitatore diventa protagonista. “Già all’ingresso il visitatore percepisce questa “atmosfera”, accolto da una slot machine che compone la parola Campari utilizzando i diversi lettering che furono creati dagli artisti incaricati di reclamizzare i prodotti della marca, fino al termine degli anni ’20,” prosegue Cavallo.
Per il padiglione “Arts & Food” alla Triennale il museo ha dato in prestito 4 chine e due sculture in legno di Fortunato Depero e 7 poster d’epoca, facenti parte dell’archivio di oltre 3.000 disegni e poster originali. Altre 5 andranno al Max Museo di Chiasso per una mostra che inaugurerà il prossimo autunno. Lo scorso anno invece una selezione di opere è stata esibita al Guggenheim di New York per una mostra dedicata a Fortunato Depero, artista futurista e pubblicitario che con la Campari ha lungamente collaborato dal 1926 al 1936 producendo oltre 100 bozzetti in china, di cui 60 sono conservati nell’archivio del museo, altri al Mart di Rovereto e in collezioni private.
Il primo poster risale al 1890 ma è all’inizio del Novecento che Davide Campari, figlio del fondatore, capisce l’importanza della comunicazione pubblicitaria per la crescita dell’azienda. Nel corso della Belle Époque si avviano le collaborazioni con Marcello Dudovich che ritrae donne e ufficiali dell’alta società alle prese con l’aperitivo, e altri padri del cartellonismo pubblicitario come Adolf Holenstein, Leonetto Cappiello ed Enrico Sacchetti. Negli anni ’20 è celebre la produzione di poster a cura di Marcello Nizzoli, designer tra l’altro di alcune macchine da scrivere Olivetti. Negli anni ’40 proseguono le collaborazioni con Carlo Fisanotti, e poi con Nino Nanni e Franz Marangolo.
Nel 1964 Bruno Munari inventa il poster “Declinazione grafica del nome Campari”, concepito in occasione dell’inaugurazione della prima linea della metropolitana milanese per l’affissione nelle stazioni, ideato per poter essere letto dai vagoni in corsa. Durante gli anni ’70 è l’epoca d’oro dei caroselli con grandi attori come David Niven, Humphrey Bogart, Nino Manfredi, Kelly le Brook, negli anni ’90 è il periodo della collaborazione con Ugo Nespolo. Il resto è storia recente.
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