TIMER 01
immagine matrimonio
24/04/2007
La mostra che in questi giorni anima la Triennale Bovisa ha un’ambizione comune a diversi eventi in città: quella di affermare Milano come uno dei riferimenti europei dell’arte dei nostri giorni.
Timer ha tutte le caratteristiche per soddisfarla, perché è un progetto triennale che raccoglie le opere di 80 artisti tra i più apprezzati a livello internazionale, tutte rigorosamente compiute dopo l’ 11 settembre 2001.
Alla prima edizione che indaga l’individuo in relazione a se stesso, seguiranno nel 2008 “Timer 02: l’individuo in relazione agli altri”, e per concludere l’anno successivo “Timer 03: l’individuo in relazione all’ambiente”: da qui le coordinate per mappare l’arte e il ruolo dell’artista nel nuovo millennio.
Cosa è cambiato dopo lo shock dell’attentato alle torri gemelle? Intimacy, il titolo di questa prima edizione, risponde che l’avanguardia è finita, e che l’artista si è ripiegato su se stesso in una posizione conservatrice a difesa del suo linguaggio.
Deformato e destabilizzato quando si riflette in Vertigo, l’enorme specchio convesso in acciaio (2 X 4 metri) di Anish Kapoor, turbato ed in qualche modo eccitato dai paesaggi carnali di Jenny Saville, in mostra con Atonement Studies: un trittico di corpi estatici, martoriati da flebo e aghi, da guizzi vitali e dalla mortificazione del corpo.
Si prosegue come immersi in un luna park di angosce e ansie, ammiccamenti alle grandi fobie che hanno attraversato il secolo scorso (l’AIDS, il nucleare, il post moderno ed il post tout court) e ci hanno accompagnato fino al crollo delle torri.
Soldatini impregnati di sangue, corpi umani quasi ameba: da cosa si difende l’arte?
Da un passato buio che ora ci balza davanti.
Se nel nostro occidente colto e democratico l’appello alla religione e al clash of civilizations fa presa sull’opinione pubblica come movente dei bombardamenti al barbaro nemico, allora è chiaro che barbari siamo noi.
Come è potuto accadere che l’uomo occidentale si rinchiudesse sempre più nel proprio guscio psichico, timoroso anche solo delle parole dell’altro?
Questa è la domanda posta dai due curatori, Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni.
E cosa ci ha spinto fuori dai luoghi di produzione di senso e di socialità, ci ha resi fedeli consumatori medi aderenti ai sondaggi, specchi inermi e affamati di benessere, propinato dalle riviste e da certa tv, e della sovraesposizione mediatica dell’intimità emotiva di un qualunque partecipante ad un reality show?
Joep Van Lieshout, visionario creatore dell’Atelier Van Lieshout Ville, città-stato autonoma insediata nel porto di Rotterdam nel 2001, presenta a Timer un ben più inquietante progetto: la Slave city, 50 kmq di vita organizzata per garantire i privilegi dell’elite attraverso lo sfruttamento del lavoro di migliaia di schiavi. Una lucida e dettagliata analisi costi/profitti prevede anche un mercato nero degli organi, in caso di necessità.
Un asino bianco di resina e piume si arrampica su una pertica di legno destinata a finire contro un muro: è l’installazione Feather donkey del cinese Zhang Huan.
Tra le figure più emblematiche in mostra, un uomo grasso come un pallone gonfiato: The artist who swallowed the world, di Erwin Wurm.
La crisi psichica e sociale dell’occidente che Timer vuole descrivere, investe anche l’arte, in una società talmente satura di provocazioni da decretare “la fine” dell’avanguardia. E il resto del mondo alle porte, che scuote le torri della paura.
Timer 01
Triennale Bovisa
Per info: http://www.triennalebovisa.it/
Via Lambruschini 31, Milano
30 marzo – 10 giugno
Timer ha tutte le caratteristiche per soddisfarla, perché è un progetto triennale che raccoglie le opere di 80 artisti tra i più apprezzati a livello internazionale, tutte rigorosamente compiute dopo l’ 11 settembre 2001.
Alla prima edizione che indaga l’individuo in relazione a se stesso, seguiranno nel 2008 “Timer 02: l’individuo in relazione agli altri”, e per concludere l’anno successivo “Timer 03: l’individuo in relazione all’ambiente”: da qui le coordinate per mappare l’arte e il ruolo dell’artista nel nuovo millennio.
Cosa è cambiato dopo lo shock dell’attentato alle torri gemelle? Intimacy, il titolo di questa prima edizione, risponde che l’avanguardia è finita, e che l’artista si è ripiegato su se stesso in una posizione conservatrice a difesa del suo linguaggio.
Deformato e destabilizzato quando si riflette in Vertigo, l’enorme specchio convesso in acciaio (2 X 4 metri) di Anish Kapoor, turbato ed in qualche modo eccitato dai paesaggi carnali di Jenny Saville, in mostra con Atonement Studies: un trittico di corpi estatici, martoriati da flebo e aghi, da guizzi vitali e dalla mortificazione del corpo.
Si prosegue come immersi in un luna park di angosce e ansie, ammiccamenti alle grandi fobie che hanno attraversato il secolo scorso (l’AIDS, il nucleare, il post moderno ed il post tout court) e ci hanno accompagnato fino al crollo delle torri.
Soldatini impregnati di sangue, corpi umani quasi ameba: da cosa si difende l’arte?
Da un passato buio che ora ci balza davanti.
Se nel nostro occidente colto e democratico l’appello alla religione e al clash of civilizations fa presa sull’opinione pubblica come movente dei bombardamenti al barbaro nemico, allora è chiaro che barbari siamo noi.
Come è potuto accadere che l’uomo occidentale si rinchiudesse sempre più nel proprio guscio psichico, timoroso anche solo delle parole dell’altro?
Questa è la domanda posta dai due curatori, Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni.
E cosa ci ha spinto fuori dai luoghi di produzione di senso e di socialità, ci ha resi fedeli consumatori medi aderenti ai sondaggi, specchi inermi e affamati di benessere, propinato dalle riviste e da certa tv, e della sovraesposizione mediatica dell’intimità emotiva di un qualunque partecipante ad un reality show?
Joep Van Lieshout, visionario creatore dell’Atelier Van Lieshout Ville, città-stato autonoma insediata nel porto di Rotterdam nel 2001, presenta a Timer un ben più inquietante progetto: la Slave city, 50 kmq di vita organizzata per garantire i privilegi dell’elite attraverso lo sfruttamento del lavoro di migliaia di schiavi. Una lucida e dettagliata analisi costi/profitti prevede anche un mercato nero degli organi, in caso di necessità.
Un asino bianco di resina e piume si arrampica su una pertica di legno destinata a finire contro un muro: è l’installazione Feather donkey del cinese Zhang Huan.
Tra le figure più emblematiche in mostra, un uomo grasso come un pallone gonfiato: The artist who swallowed the world, di Erwin Wurm.
La crisi psichica e sociale dell’occidente che Timer vuole descrivere, investe anche l’arte, in una società talmente satura di provocazioni da decretare “la fine” dell’avanguardia. E il resto del mondo alle porte, che scuote le torri della paura.
Timer 01
Triennale Bovisa
Per info: http://www.triennalebovisa.it/
Via Lambruschini 31, Milano
30 marzo – 10 giugno
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