Fino al 29 giugno al Museo del Novecento
Rauschenberg e il Novecento: l’arte del dialogo in mostra a Milano

Robert Rauschenberg, Able Was I Ere I Saw Elba, 1983. Installation view at Galleria Gesti e Processi, Museo del Novecento ph. Marco Bertoli
Francesca Grego
07/04/2025
Milano - A 100 anni dalla nascita di Robert Rauschenberg, il Museo del Novecento gli rende omaggio con una mostra speciale, pensata per l’Art Week e destinata ad animare la scena milanese fino al prossimo 29 giugno. Noto per la vivace curiosità, per l’attitudine alla contaminazione e allo scambio di idee, a Milano l’artista americano dialoga con i grandi maestri di casa nostra attraverso opere giunte da musei di mezza Europa: da Giacomo Balla a Carlo Carrà, da Alberto Burri a Mario Schifano, fino a Maurizio Cattelan, ogni incontro ha qualcosa di nuovo da rivelare. Come ospiti inattesi, i lavori di Rauschenberg fanno capolino nel percorso del Museo del Novecento instaurando confronti e risonanze sulla base di visioni, materiali e intenzioni artistiche comuni, in un viaggio che abbraccia le principali tendenze dell’arte italiana nel XX secolo.
A cura di Gianfranco Maraniello, direttore dell'Area Musei d'Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano, e del direttore artistico di miart Nicola Ricciardi con Viviana Bertanzetti, il progetto si avvale della collaborazione della Robert Rauschenberg Foundation.
Punto di partenza di Rauschenberg e il Novecento è la Galleria del Futurismo, dove è esposta la più importante collezione dedicata alla storica avanguardia italiana. Allo sfrenato entusiasmo di Balla per l'automobile e la velocità Rauschenberg risponde con uno dei suoi Gluts, la serie in cui fuse rottami automobilistici e residui di stazioni di servizio per una critica all'eccesso di offerta di petrolio che a metà degli anni Ottanta portò al crollo del prezzo al barile e alla conseguente crisi economica.
Al piano superiore la storia è protagonista. Rauschenberg reinterpreta il dipinto ottocentesco di Jacques-Louis David Bonaparte valica il Gran San Bernardo nell’opera Able Was I Ere I Saw Elba, citazione del leggendario palindromo pronunciato da Napoleone prima di attraversare le Alpi. Partecipano al dialogo dipinti di Carrà e Sironi, ma anche la grande scultura di Arturo Martini I morti di Bligny trasalirebbero, il cui titolo evoca un discorso di Mussolini sulle complicate relazioni tra Italia e Francia a metà degli anni Trenta.
Proseguendo lungo l’itinerario di visita, voliamo negli anni Cinquanta per incontrare il primo degli artisti che Rauschenberg conobbe personalmente. Si tratta di Alberto Burri, pioniere delle sperimentazioni con materiali come plastica, sabbia, ferro, cemento, che fu per Rauschenberg una significativa fonte di ispirazione. A raccontarlo è uno dei suoi Cardboards, la serie in cui agli inizi degli anni Settanta l'artista introduce pezzi di cartone non più come supporto, ma come materiale mostrato nella sua immediata valenza di elemento di scarto.
Riallestito di recente è il percorso del Museo del Novecento dedicato all’arte tra gli anni Sessanta e i Novanta. Qui la Scultura d’ombra di Claudio Parmeggiani dialoga in nome del binomio presenza/assenza con uno dei Phantom di Rauschenberg, una serie del 1991 con immagini serigrafate su alluminio specchiato: due immagini oniriche che appaiono e scompaiono din rapporto alle variazioni della luce, delle ombre e dei riflessi sulle rispettive superfici.
L'influenza dei combine-paintings di Rauschenberg sul movimento del Nouveau Réalism è al centro della sezione successiva, dove uno dei suoi Spread incontra i lavori di Christo, Arman e Daniel Spoerri, mentre nell’iconica sala con vista su Piazza Duomo le opere Posa bianca e Posa vera di Jannis Kounellis e l'imponente Festa cinese del maestro della Pop Art italiana Mario Schifano si confrontano con Summer Glut Fence, tra i lavori più pop di Rauschenberg. Qui l'arte si integra con il caos della vita: gli assemblaggi di oggetti di scarto esplorano le potenzialità del metallo e - come i Turisti di Maurizio Cattelan che fanno capolino da un architrave - invitano a guardare le molteplici possibilità insite nelle cose.
Dopo l’incontro tra l’onirico Hoarfrost e le opere concettuali di Giulio Paolini, a chiudere il percorso è una conversazione a tre con Eliseo Mattiacci e Gilberto Zorio incentrata sul concetto di trasformazione: cuore dell’allestimento è l’ambizioso progetto Onoto Snare / ROCI Venezuela di Rauschenberg (1985-91), sintesi della sua vorace curiosità e del suo indomito spirito di condivisione e collaborazione.
A cura di Gianfranco Maraniello, direttore dell'Area Musei d'Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano, e del direttore artistico di miart Nicola Ricciardi con Viviana Bertanzetti, il progetto si avvale della collaborazione della Robert Rauschenberg Foundation.
Punto di partenza di Rauschenberg e il Novecento è la Galleria del Futurismo, dove è esposta la più importante collezione dedicata alla storica avanguardia italiana. Allo sfrenato entusiasmo di Balla per l'automobile e la velocità Rauschenberg risponde con uno dei suoi Gluts, la serie in cui fuse rottami automobilistici e residui di stazioni di servizio per una critica all'eccesso di offerta di petrolio che a metà degli anni Ottanta portò al crollo del prezzo al barile e alla conseguente crisi economica.
Al piano superiore la storia è protagonista. Rauschenberg reinterpreta il dipinto ottocentesco di Jacques-Louis David Bonaparte valica il Gran San Bernardo nell’opera Able Was I Ere I Saw Elba, citazione del leggendario palindromo pronunciato da Napoleone prima di attraversare le Alpi. Partecipano al dialogo dipinti di Carrà e Sironi, ma anche la grande scultura di Arturo Martini I morti di Bligny trasalirebbero, il cui titolo evoca un discorso di Mussolini sulle complicate relazioni tra Italia e Francia a metà degli anni Trenta.
Proseguendo lungo l’itinerario di visita, voliamo negli anni Cinquanta per incontrare il primo degli artisti che Rauschenberg conobbe personalmente. Si tratta di Alberto Burri, pioniere delle sperimentazioni con materiali come plastica, sabbia, ferro, cemento, che fu per Rauschenberg una significativa fonte di ispirazione. A raccontarlo è uno dei suoi Cardboards, la serie in cui agli inizi degli anni Settanta l'artista introduce pezzi di cartone non più come supporto, ma come materiale mostrato nella sua immediata valenza di elemento di scarto.
Riallestito di recente è il percorso del Museo del Novecento dedicato all’arte tra gli anni Sessanta e i Novanta. Qui la Scultura d’ombra di Claudio Parmeggiani dialoga in nome del binomio presenza/assenza con uno dei Phantom di Rauschenberg, una serie del 1991 con immagini serigrafate su alluminio specchiato: due immagini oniriche che appaiono e scompaiono din rapporto alle variazioni della luce, delle ombre e dei riflessi sulle rispettive superfici.
L'influenza dei combine-paintings di Rauschenberg sul movimento del Nouveau Réalism è al centro della sezione successiva, dove uno dei suoi Spread incontra i lavori di Christo, Arman e Daniel Spoerri, mentre nell’iconica sala con vista su Piazza Duomo le opere Posa bianca e Posa vera di Jannis Kounellis e l'imponente Festa cinese del maestro della Pop Art italiana Mario Schifano si confrontano con Summer Glut Fence, tra i lavori più pop di Rauschenberg. Qui l'arte si integra con il caos della vita: gli assemblaggi di oggetti di scarto esplorano le potenzialità del metallo e - come i Turisti di Maurizio Cattelan che fanno capolino da un architrave - invitano a guardare le molteplici possibilità insite nelle cose.
Dopo l’incontro tra l’onirico Hoarfrost e le opere concettuali di Giulio Paolini, a chiudere il percorso è una conversazione a tre con Eliseo Mattiacci e Gilberto Zorio incentrata sul concetto di trasformazione: cuore dell’allestimento è l’ambizioso progetto Onoto Snare / ROCI Venezuela di Rauschenberg (1985-91), sintesi della sua vorace curiosità e del suo indomito spirito di condivisione e collaborazione.
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