Aspettando la grande mostra al Museo di Santa Giulia

Rinascimento a Brescia. In viaggio nel tempo con il curatore Enrico Valseriati

Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto di gentildonna come Salomè, 1537 circa. Olio su tavola, 58,5 x 38 cm. Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
 

Francesca Grego

13/10/2024

Brescia - Lavoro, industria e Risorgimento? Non solo. Da qualche anno abbiamo imparato a guardare Brescia sotto una nuova luce: il 2023 da Capitale della Cultura, un calendario di mostre sempre più ricco e stimolante, la sperimentazione di pratiche museali innovative hanno portato alla ribalta la vocazione culturale della Leonessa d’Italia, che punta alla valorizzazione del proprio patrimonio con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Dopo la riscoperta dei tesori di Brixia romana, Brescia svela un nuovo volto del suo passato: dal prossimo 18 ottobre al Museo di Santa Giulia la mostra Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino e Savoldo 1512-1552 racconterà la fioritura delle arti nella città cinquecentesca sotto la bandiera di tre maestri di chiara fama. Ma com’era Brescia nel Cinquecento? Che cos’ha di speciale il suo Rinascimento? Perché la città lombarda divenne una fucina d’arte? L’abbiamo chiesto a Enrico Valseriati, storico e co-curatore della mostra in arrivo, e le sorprese non sono mancate. 

“All’inizio del Cinquecento Brescia è una delle città più popolate d’Europa, ha più abitanti di Roma, di Madrid e di altre capitali”, racconta Valseriati. “È la conseguenza di un processo di urbanizzazione fortissimo avvenuto nei cinquant’anni precedenti. Che cosa la rende così attraente? Oltre a essere una città vocata alle manifatture e un grande emporio mercantile, Brescia è diventata l’anima della filiera del ferro, legata in primo luogo alla produzione di armi. Moretto, Savoldo e Romanino non vengono fuori dal nulla, ma da un tessuto sociale che favorisce lo sviluppo delle arti: accanto al mondo dei commerci, c’è una nobiltà desiderosa di autorappresentarsi attraverso l’opera di grandi artisti”. 


Alessandro Bonvicino il Moretto, Fortunato Martinengo, 1540-1545 circa. Olio su tela, 114 × 94.4 cm. Londra, National Gallery

Com’è la vita a Brescia nel Cinquecento?
“Simile a come immagineremmo oggi una città magrebina: chiassosa, caotica, brulicante di persone e di attività, in un centro urbanisticamente raccolto, dalle strade strette. Abbiamo forse un’idea un po’ edulcorata delle città del passato, pensiamo che si vivesse nella mestizia e nella mediocrità per non dare adito a maldicenze… In realtà, oltre a pregare si stava in piazza, si rideva, si giocava. Brescia è una città di giostre: nel 1548 se ne tiene una famosissima a cui partecipa anche Fortunato Martinengo, esponente di primo piano della nobiltà cittadina. C’è spazio anche per lo sport: proprio in quegli anni, infatti, viene introdotto il gioco del calcio nella pubblica piazza. Ci sono gli svaghi più vari, come l’ascolto e l’esecuzione della musica. Brescia è un importante centro musicale e contende a Cremona la paternità di uno strumento fondamentale: il violino. In città si producono moltissimi strumenti, ci sono liutai, organari… Insomma, nel Cinquecento la vita quotidiana era probabilmente molto più divertente di quanto potremmo aspettarci”. 

Chi comanda in città?
“Dal 1426 Brescia è soggetta a Venezia. È il centro più importante della Repubblica insieme a Verona: non per niente nelle parole degli stessi veneziani queste due città ‘facevano Venezia’ anche nel numero di abitanti. Protagonista della stagione culturale del Rinascimento, tuttavia, non è tanto l’aristocrazia veneziana, quanto la nobiltà bresciana: le grandi famiglie di tradizione feudale come i Martinengo, gli Avogadro, i Gambara, e poi una vasta classe di patrizi di città che animano le istituzioni. I bresciani, d’altra parte, sono sudditi molto orgogliosi e questo rende i rapporti con Venezia altalenanti”. 


Paris Bordon, Madonna con il Bambino, San Giorgio e San Cristoforo (Pala Manfron), 1526-1527. Olio su tela, 217 x 164 cm. Lovere, Accademia Tadini

L’ambivalenza nelle relazioni con la Serenissima è all’origine del Sacco di Brescia del 1512, uno spartiacque nella storia della città…
“L’aristocrazia bresciana è sempre stata bramosa di accrescere la propria autonomia e i propri privilegi. Per farlo non esiterà a rivolgersi a sovrani stranieri. Nel 1509 Brescia passa sotto il dominio francese, ma presto ci si accorge che i veneziani non erano stati poi così male. Un gruppo di aristocratici organizza perciò una congiura anti-francese, che sarà punita esemplarmente. Il re ordina al comandante dell’esercito Gaston de Foix di raggiungere Brescia di corsa con 6.500 soldati e di devastarla. La mattina del 19 febbraio 1512, giorno di Martedì Grasso, la città viene messa a ferro e fuoco da truppe composte soprattutto da lanzichenecchi e guasconi: il bilancio è di circa 10 mila morti, case, chiese e palazzi distrutti, violenze di ogni genere. La notizia è sulla bocca di tutti, riempie le pagine di Machiavelli, Guicciardini, Paolo Giovio: non succedeva da secoli che una città italiana venisse dilaniata da un esercito straniero. Mancavano ancora 15 anni al Sacco di Roma”. 

Quali furono le conseguenze per il patrimonio artistico?
“I danni furono ingentissimi. Furono cancellati tutti i simboli della sovranità, per esempio le sculture che rappresentavano San Marco in forma di leone, l’emblema di Venezia. Il leone di Piazza Grande (Piazza della Loggia) fu portato a Milano come trofeo di guerra per volere del re. Moltissime opere d’arte furono distrutte e importanti cantieri furono interrotti per molto tempo. È il caso della costruzione della Loggia, iniziata alla fine del Quattrocento. Riprenderà solo trent’anni dopo grazie a una nuova generazione di architetti, Sansovino e Palladio in particolare. La vita artistica della città sembra ferma, ma sotto sotto ribolle: esploderà nella grande stagione dell’arte bresciana, quella di Savoldo, Moretto e Romanino”. 


Giovanni Girolamo Savoldo, Pastore con flauto, 1540 circa. Olio su tela, 97 x 78 cm. Los Angeles, J. Paul Getty Museum

Come avverrà la rinascita delle arti?
“Per Brescia il Sacco è trauma fortissimo, ma anche un terreno fertile per il pensiero. Da un evento tragico e terribile scaturiscono riflessioni che toccheranno anche l’arte e la letteratura. Un fenomeno simile a quanto accaduto recentemente con la pandemia, che ci ha dato occasione di ripensare i nostri stili di vita, le nostre esigenze, i nostri valori. Dopo il 1512 a Brescia si riflette, per esempio, sui simboli intorno a cuiraccogliersi: vengono ripristinati antichissimi simboli di reliquie civiche, dei santi patroni, capaci di confortare dopo il disastro del saccheggio. Ci sono anche inquietudini che arrivano da lontano, portate dalle truppe d’Oltralpe: al di là della sua immagine di ‘cittadella cattolica’, Brescia si rivela permeabile alle idee protestanti, soprattutto nel pensiero di Erasmo da Rotterdam. Mentre la Chiesa tenta faticosamente di mantenere il controllo, in città si discute molto attorno al tema dell’esteriorità dei culti. In mostra scopriremo i retroscena della storia cinquecentesca attraverso personaggi ed episodi significativi”.  

Quali sono i personaggi più interessanti in questa fase?
“A Brescia ci sono figure femminili talmente carismatiche che segnano un’intera stagione. Su tutte Angela Merici, una mistica nata a Desenzano che inventa una modalità di riunione delle donne allora inedita: donne laiche che non prendono i voti e vivono in società da single, facendo opere di bene e ispirandosi ai valori cattolici. Attorno ad Angela Merici, fondatrice della Compagnia di Sant’Orsola, si radunano molti celebri personaggi di quest’epoca, Moretto stesso è suo amico, come pure il famoso agronomo Agostino Gallo. Quella di Angela è una figura talmente potente nei suoi messaggi di bene e di cura verso il prossimo che già in vita è venerata come una santa. In mostra lo stendardo di Moretto che raffigura la fondazione della Compagnia di Sant’Orsola rappresenta in maniera molto chiara questo momento e la cosiddetta querelle des femmes, il ‘discorso sulla donne’ stimolato in città dall’azione di Angela Merici”. 


Alessandro Bonvicino il Moretto, Dama in bianco, 1540-1545 ca. Olio su tela, 106,4 x 87,6 cm. Washington, National Gallery of Art

La mostra a Santa Giulia racconterà piccole e grandi storie del Rinascimento bresciano. Può darne un esempio?

“Un matrimonio straordinario tra un gentiluomo e una gentildonna di altissimo livello: Girolamo Martinengo di Padernello ed Eleonora Gonzaga di Sabbioneta che, come raccontano le fonti, negli anni Quaranta del Cinquecento si unirono nelle nozze più fastose della storia di Brescia. In mostra vedremo gli sposi effigiati da Moretto, probabilmente proprio nel momento del matrimonio. I due ritratti saranno riuniti per la prima volta dopo secoli: Il ritratto di Girolamo Martinengo è conservato al Museo Lechi di Montichiari, quello di Eleonora Gonzaga arriva invece dalla National Gallery of Art di Washington. I due sposi si ritroveranno nelle loro lussuosissime vesti, nella loro splendida giovinezza, finalmente nella loro città”. 

Chi sono invece i grandi mecenati di quest’epoca?
“Gli enti ecclesiastici, come illustreranno in mostra le pale d’altare commissionate per chiese e monasteri, ma soprattutto la nobiltà bresciana, che detta gusti, ritmi, modalità di esecuzione delle opere d’arte. In questo senso un personaggio chiave è Fortunato Martinengo, non a caso il simbolo dell’esposizione, che commissionerà a Moretto l’incredibile ritratto della National Gallery: un protagonista di primo piano della vita intellettuale e filosofica della città”. 


Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Ritratto Martinengo, 1540 ca., Olio su tela, 67,8 x 83,8 cm. Montichiari, Museo Lechi

Come nasce la pittura di Savoldo, Moretto e Romanino? Quali tradizioni ha alle spalle? Quali scambi e influenze le danno forma?
“Quasi tutti i maestri bresciani del Rinascimento transitano per Venezia o ci vivono stabilmente. È il caso di Savoldo, il più veneziano in assoluto: trascorre praticamente tutta la vita in Laguna. Moretto e Romanino transitano per le province più orientali della Repubblica, Venezia compresa.  Tuttavia la peculiarità della pittura bresciana è una forte vocazione naturalistica: è stata definita forse con una categoria forse un po’ desueta ‘pittura di realtà’, una caratteristica tipicamente lombarda. Inoltre risente delle influenze del Centro Italia, in primo luogo di Bologna. A dispetto della sua posizione un po’ periferica, insomma, Brescia accoglie influssi provenienti da tutti i punti cardinali - dall’area germanica, da Milano, da Bologna, da Venezia - elaborando una cultura pittorica nuova e originale, che è quella dei tre artisti al centro della mostra”. 

C’è un’opera emblematica che a suo parere potrebbe da sola rappresentare il Rinascimento a Brescia?
“È una scultura, la formella raffigurante l’episodio del Sacco di Brescia proveniente dalla tomba di Gaston de Foix, realizzata da Agostino Busti detto il Bambaia. Un’opera unica, inimitabile, capolavoro della scultura lombarda del Cinquecento. Questa formella non racconta il Sacco di Brescia in maniera realistica: è l’apologia dell’opera militare di Gaston de Fois, elogio del condottiero e della sua potenza. La rappresentazione è giocata su più piani - bassissimo, basso e altorilievo - con al centro il cavallo impennato su cui Gaston si erge e guarda compiaciuto la devastazione della città. È l’opera che aprirà l’esposizione e prelude alle riflessioni sviluppate lungo il percorso”. 

Il racconto del Rinascimento bresciano non si esaurirà nelle sale del Museo di Santa Giulia. In occasione della mostra, anticipa infatti Valseriati, “grazie a un accordo con la Diocesi di Brescia, in città riapriranno molte chiese solitamente inaccessibili, promuovendo un turismo sano e sostenibile. Un’opportunità per guardare con occhi diversi a una realtà immaginata da molti come fredda e algida, che invece è piena di vita e di bellezza”. 


Nicola da Urbino, Punizione di Marsia, 1525 circa. Ceramica, 42 cm. Los Angeles, J. Paul Getty Museum





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