Walter Materassi. Un mondo con molta illuminazione e poca luce
Dal 23 Gennaio 2014 al 02 Febbraio 2014
Bologna
Luogo: Un altro Studio/ Museo Geologico Giovanni Capellini
Indirizzo: via Capo di Lucca 12/a / via Zamboni 63
Telefono per informazioni: +39 339 4751917
E-Mail info: info@waltermaterassi.it
L’idea alla base della mostra è riuscire a creare un intervento espositivo leggero ma che allo stesso tempo sia incisivo, e forse ancora più incisivo proprio grazie alla sua “non presenza”. Come se si cercasse di camminare sulla superficie ghiacciata di un lago, in punta di piedi cercando di attraversarne tutta la lunghezza senza sprofondarci dentro.
Il museo di geologia è un luogo fortemente suggestivo, c’è tutta la storia del mondo lì dentro, e a volte,
i reperti, i fossili, presi in valore estetico assoluto, sono paragonabili ad opere d’arte di gran lunga più interessanti dell’arte intesa in senso stretto, quasi sempre molto più suggestive, spesso più belle. Da qui l’idea di utilizzare supporti trasparenti per le opere in esposizione, cosi che si confondano quasi all’ambiente museale, anzi al vuoto dell’ambiente museale, cioè a quello spazio d’aria che sospende una meraviglia morta dall’altra carbonizzata. Attraverso questo nuovo vuoto, una specie di etere modificato, si potranno scorgere le reliquie in mostra, e la mia opera farà da lieve corto circuito, diventerà una specie di lente strabica con la quale visualizzare in modo nuovo ciò che di consueto c’è nel museo. Trasparenza significa “non esserci”, ma io ci sono lì dentro, ci sono con un enorme rispetto del luogo, mi farò trasparente per affermare la mia piccolezza di fronte a tanta bellezza, di fronte alla bellezza dormiente, carbonizzata, fossilizzata esposta nel museo. La bellezza della nostra storia. Le opere parleranno mute di accenti, al loro alfabeto verranno tolte la ò, la à, la è e la ù, la ì e tutte quelle lettere troppo appariscenti come la x, o la y, o la w, ma questo non toglierà loro la voce; cosi quelle stesse opere urleranno ancora meglio l’idea che l’arte contemporanea, l’uomo contemporaneo, vive pieno
di quel passato fossilizzato, nwnvolto e anche inconsapevolmente disturbato. Il museo conserverà esattamente la sua forma, l’arte entrerà sui pattini per volteggiare tra le teche di legno secolare, facendo la maggior attenzione possibile a non fare crollare una qualche gamba di un qualche animale estinto, ma anzi divenendone un’ulteriore stampella trasparente.
Al contrario di quel che succede solitamente nelle mostre museali, l’artista si farà ombra, cercherà di scomparire, come nascondendosi di fronte ad una nuova era glaciale. Si rintanerà nel vuoto di una trasparenza sottraendosi all’oblio del suo tempo, fatto di quarti d’ora di fulminante celebrità (o morte).
Un altro Studio
E' un’opera complessiva di 3x2 metri, in tessere di 50x50 centimetri, ognuna delle quali indipendenti, ma allo stesso tempo identitarie nel complesso di quella sola opera, come accade ad ogni individuo sociale all’interno della propria comunità.
L’armatura tenta di rappresentare qualcosa di figurativo che allo stesso tempo è interpretabile come opera astratta. L’dea è quella di un’opera collettiva in cui tutto appaia legato, in cui l’armatura stessa leghi a se i potenziali collezionisti, li leghi tra loro, e li leghi all’artista. L’opera in tessere rappresenta la volontà di non lasciare fuggire via l’esistenza dell’artista, legandola a doppio filo con la memoria rappresentata da ogni singola tessera.
In questo caso le tessere sono proprio tasselli di memoria; ogni tessera tesse un legame e l’opera tesse legami multipli tra il suo artefice e i collezionisti, tra i collezionisti stessi e la memoria che essi non acquistano ma donano, diventando parte stessa dell’opera. Come spesso accade nell’arte ci sono più piani di lettura: uno materiale legato all’estetica dell’opera e alla sua comprensione, l’altro più sotterraneo, ma non per questo meno interessante e importante, quello di incatenare all’opera se stessi, io come artista, il collezionista come custode di memoria. Intessere appunto un legame nuovo tra chi crea l’opera e i suoi custodi, e tra i custodi stessi uniti e legati dall’idea del preservare intatta la memoria. L’opera visiva si polarizza concettualmente all’idea di legame.
Il museo di geologia è un luogo fortemente suggestivo, c’è tutta la storia del mondo lì dentro, e a volte,
i reperti, i fossili, presi in valore estetico assoluto, sono paragonabili ad opere d’arte di gran lunga più interessanti dell’arte intesa in senso stretto, quasi sempre molto più suggestive, spesso più belle. Da qui l’idea di utilizzare supporti trasparenti per le opere in esposizione, cosi che si confondano quasi all’ambiente museale, anzi al vuoto dell’ambiente museale, cioè a quello spazio d’aria che sospende una meraviglia morta dall’altra carbonizzata. Attraverso questo nuovo vuoto, una specie di etere modificato, si potranno scorgere le reliquie in mostra, e la mia opera farà da lieve corto circuito, diventerà una specie di lente strabica con la quale visualizzare in modo nuovo ciò che di consueto c’è nel museo. Trasparenza significa “non esserci”, ma io ci sono lì dentro, ci sono con un enorme rispetto del luogo, mi farò trasparente per affermare la mia piccolezza di fronte a tanta bellezza, di fronte alla bellezza dormiente, carbonizzata, fossilizzata esposta nel museo. La bellezza della nostra storia. Le opere parleranno mute di accenti, al loro alfabeto verranno tolte la ò, la à, la è e la ù, la ì e tutte quelle lettere troppo appariscenti come la x, o la y, o la w, ma questo non toglierà loro la voce; cosi quelle stesse opere urleranno ancora meglio l’idea che l’arte contemporanea, l’uomo contemporaneo, vive pieno
di quel passato fossilizzato, nwnvolto e anche inconsapevolmente disturbato. Il museo conserverà esattamente la sua forma, l’arte entrerà sui pattini per volteggiare tra le teche di legno secolare, facendo la maggior attenzione possibile a non fare crollare una qualche gamba di un qualche animale estinto, ma anzi divenendone un’ulteriore stampella trasparente.
Al contrario di quel che succede solitamente nelle mostre museali, l’artista si farà ombra, cercherà di scomparire, come nascondendosi di fronte ad una nuova era glaciale. Si rintanerà nel vuoto di una trasparenza sottraendosi all’oblio del suo tempo, fatto di quarti d’ora di fulminante celebrità (o morte).
Un altro Studio
E' un’opera complessiva di 3x2 metri, in tessere di 50x50 centimetri, ognuna delle quali indipendenti, ma allo stesso tempo identitarie nel complesso di quella sola opera, come accade ad ogni individuo sociale all’interno della propria comunità.
L’armatura tenta di rappresentare qualcosa di figurativo che allo stesso tempo è interpretabile come opera astratta. L’dea è quella di un’opera collettiva in cui tutto appaia legato, in cui l’armatura stessa leghi a se i potenziali collezionisti, li leghi tra loro, e li leghi all’artista. L’opera in tessere rappresenta la volontà di non lasciare fuggire via l’esistenza dell’artista, legandola a doppio filo con la memoria rappresentata da ogni singola tessera.
In questo caso le tessere sono proprio tasselli di memoria; ogni tessera tesse un legame e l’opera tesse legami multipli tra il suo artefice e i collezionisti, tra i collezionisti stessi e la memoria che essi non acquistano ma donano, diventando parte stessa dell’opera. Come spesso accade nell’arte ci sono più piani di lettura: uno materiale legato all’estetica dell’opera e alla sua comprensione, l’altro più sotterraneo, ma non per questo meno interessante e importante, quello di incatenare all’opera se stessi, io come artista, il collezionista come custode di memoria. Intessere appunto un legame nuovo tra chi crea l’opera e i suoi custodi, e tra i custodi stessi uniti e legati dall’idea del preservare intatta la memoria. L’opera visiva si polarizza concettualmente all’idea di legame.
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