Francesco Tabusso. Paesaggio con fiabe
Dal 07 Giugno 2024 al 05 Luglio 2024
Milano
Luogo: Spazio Ersel Milano
Indirizzo: Via Caradosso 16
Curatori: Marco Sobrero e Archivio Francesco Tabusso
Sito ufficiale: http://www.ersel.it
Ersel ospita negli spazi espositivi di Milano la mostra Francesco Tabusso. Paesaggio con fiabe a cura di Marco Sobrero e Archivio Francesco Tabusso con il testo critico di Elena Pontiggia. La mostra apre al pubblico dal 7 giugno al 5 luglio 2024 presso la sede di Ersel di via Caradosso 16 a Milano.
Sono 25 le opere esposte: un’esaustiva selezione della produzione dell’artista a partire dalla metà degli anni Cinquanta, subito dopo il suo esordio espositivo alla Biennale di Venezia, fino alla fine degli anni Novanta.
Già nel 2019 scriveva Elena Pontiggia: «Francesco Tabusso è stato uno dei più intensi paesaggisti del secondo Novecento. È stato, anzi, uno dei pittori che ha maggiormente tenuto vivo il tema del paesaggio, che l'arte moderna ha spesso considerato ottocentesco e superato». Ed è proprio il paesaggio, che per Tabusso è lo sfondo dei suoi racconti pittorici, la scenografia del suo teatro colorato, il grande protagonista di questa esposizione.
Aprono la mostra “l’informale” Paesaggio verde del 1956 e I sei cacciatori, una grande composizione ispirata ai Cacciatori nella neve del pittore fiammingo Bruegel. Il percorso prosegue negli anni Sessanta e Settanta, contraddistinto dall’appassionato dialogo dell’artista con i maestri del passato, esplicitato, oltre che in alcune opere-omaggio, in veri e propri cicli pittorici. Sono esposti qui, ad esempio, Grünewald in viaggio per Isenheim, uno dei circa 35 dipinti dedicati al grande maestro del Cinquecento tedesco Matthias Grünewald; l’Omaggio a Baschenis, il maestro bergamasco inventore della natura morta a soggetto musicale, e ancora Il Popolano da Giacomo Ceruti, anch’esso parte di un altro consistente ciclo pittorico dedicato al maestro del Settecento lombardo.
La pittura di Tabusso è immersa nell’ambiente naturale: le cime innevate dell’amata Val di Susa, le colline toscane percorse dalle curve delle strade segnate dai cipressi, la luce primaverile su un prato di fiori spontanei. Raccontava in un’intervista degli anni Ottanta: «Devo conoscere con precisione i vari tipi d’erba che dipingo, sapere la composizione delle pietre che riporto sulla tela. […] Da tanto tempo salgo in studio a documentarmi sui minerali, piante, fiori e fossili. Leggo trattati di botanica e tento di ricostruire qui l’habitat di alcune alghe che mi affascinano. Ho bisogno di conoscere profondamente ciò che dovrò dipingere. Prima di dare il primo colpo di pennello, passano a volte anche dei mesi».
Non manca in mostra il richiamo alla più intensa opera d’arte sacra realizzata da Tabusso, custodita proprio a Milano nella Chiesa di San Francesco al Fopponino, progettata da Gio Ponti alla fine degli anni Sessanta: si tratta del ciclo pittorico il Cantico delle creature, composto dalla monumentale pala d'altare realizzata nel 1975, alta 12 metri per 8 – la più grande tela a tema religioso realizzata in Italia – e dagli 8 trittici che ornano la navata centrale e illustrano la Preghiera semplice del Santo di Assisi.
Il percorso espositivo antologico ha privilegiato le opere provenienti da collezioni private rintracciate durante il lavoro di catalogazione dei dipinti, acquisite cinquanta, sessant’anni fa e rimaste proprietà delle stesse famiglie, proprio in virtù di un loro particolare valore non solo artistico e di mercato, ma affettivo e umano.
Come sottolinea Elena Pontiggia nel testo critico: «C’è qualcosa, negli esiti migliori di Tabusso, che non si trova facilmente nel mondo dell’arte contemporanea: un accento irenico, fanciullesco, in cui il male non fa paura, il presente non genera ansia e le cose più piccole sembrano diventate improvvisamente importanti. Come accade, appunto, nelle fiabe. Nelle mollette posate sul filo per stendere la biancheria come note sulla riga di un pentagramma; nelle figure che sembrano frutti fra gli alberi; nelle terre, nelle colline, nelle case che galleggiano in un mare di nebbia, come le rondini volano fra le nuvole, c’è una vita che non esiste, che non è mai esistita. Ma che vive, per sempre, nella pittura di Tabusso».
Francesco Tabusso, classe 1930, torinese per ascendenza e per tutta la vita, nasce alle porte di Milano, a Sesto San Giovanni, dove all’epoca la famiglia si trasferisce al seguito del padre ingegnere.
Manifestata precocemente la passione per la pittura, consegue la maturità classica prima di intraprendere un rigoroso apprendistato sotto la guida di Felice Casorati. Lontano dall’essere un epigono, a scuola dal celebre insegnante Tabusso coltiva l’amore per il mestiere e il ragionamento sui maestri antichi, ereditando da Casorati la capacità di trasfigurare il reale, di restituirne la dimensione incantata, fuori dal tempo, in una sorta di “realismo magico” dai toni di fiaba del tutto personale. Eleggendo soprattutto a soggetto un mondo agreste d’ispirazione anche popolare, egli manifesta fin dall’inizio un’autentica “vocazione al racconto”, che lo porterà a felici collaborazioni con alcune delle firme più note della letteratura italiana del Novecento, quali Piero Chiara, Dino Buzzati, Mario Soldati, Mario Rigoni Stern.
Il 1954 è l’anno dell’esordio espositivo e della prima partecipazione alla Biennale di Venezia. In breve, l’artista è invitato alle principali rassegne nazionali e internazionali, riscuotendo numerosi premi-acquisto nell’ambito delle mostre a concorso che si moltiplicano nel secondo dopoguerra, per incrementare le raccolte civiche d’arte contemporanea. Dal 1963 al 1984 egli affianca alla pittura l’attività didattica: insegna ornato al Liceo Artistico di Bergamo, quindi figura al Liceo dell’Accademia Albertina di Torino.
Proprio il 1963 rappresenta un punto di svolta nella carriera del pittore all’epoca trentatreenne: la personale dedicatagli nel mese di marzo da Ettore Gian Ferrari costituisce l’inizio di un fortunato sodalizio. Tabusso firma un contratto di esclusiva con la prestigiosa galleria milanese, che ne cura per circa un trentennio l’attività in esclusiva, organizzando in quegli anni più di sessanta personali dell’autore in Italia e all’estero. E ancora nel 1963 inaugura l’attività didattica: insegna ornato disegnato al Liceo artistico di Bergamo, ottenendo dopo quattro anni il trasferimento a Torino con la cattedra di figura disegnata al Liceo dell’Accademia Albertina.
Punto più alto all’interno della produzione, opera della piena maturità, è il ciclo pittorico eseguito per la chiesa di San Francesco al Fopponino di Milano, progettata da Gio Ponti: in virtù di un’arte che ha da sempre celebrato l’uomo e la natura con immediatezza e forza espressiva – con il dono della “semplicità” –, Tabusso è chiamato a realizzare nel 1975 la monumentale pala d’altare Il Cantico delle Creature (96 m2 di pittura), e successivamente gli otto trittici con le storie del Santo.
Rimarrà costante il successo di critica e di pubblico riscosso in occasione delle numerose personali, dedicate, oltreché al felice dialogo con l’arte del passato, allo sviluppo di suggestioni dalla letteratura popolare e colta.
Tabusso muore a Torino nel 2012 dopo circa sessant’anni di infaticabile attività artistica.
Sono 25 le opere esposte: un’esaustiva selezione della produzione dell’artista a partire dalla metà degli anni Cinquanta, subito dopo il suo esordio espositivo alla Biennale di Venezia, fino alla fine degli anni Novanta.
Già nel 2019 scriveva Elena Pontiggia: «Francesco Tabusso è stato uno dei più intensi paesaggisti del secondo Novecento. È stato, anzi, uno dei pittori che ha maggiormente tenuto vivo il tema del paesaggio, che l'arte moderna ha spesso considerato ottocentesco e superato». Ed è proprio il paesaggio, che per Tabusso è lo sfondo dei suoi racconti pittorici, la scenografia del suo teatro colorato, il grande protagonista di questa esposizione.
Aprono la mostra “l’informale” Paesaggio verde del 1956 e I sei cacciatori, una grande composizione ispirata ai Cacciatori nella neve del pittore fiammingo Bruegel. Il percorso prosegue negli anni Sessanta e Settanta, contraddistinto dall’appassionato dialogo dell’artista con i maestri del passato, esplicitato, oltre che in alcune opere-omaggio, in veri e propri cicli pittorici. Sono esposti qui, ad esempio, Grünewald in viaggio per Isenheim, uno dei circa 35 dipinti dedicati al grande maestro del Cinquecento tedesco Matthias Grünewald; l’Omaggio a Baschenis, il maestro bergamasco inventore della natura morta a soggetto musicale, e ancora Il Popolano da Giacomo Ceruti, anch’esso parte di un altro consistente ciclo pittorico dedicato al maestro del Settecento lombardo.
La pittura di Tabusso è immersa nell’ambiente naturale: le cime innevate dell’amata Val di Susa, le colline toscane percorse dalle curve delle strade segnate dai cipressi, la luce primaverile su un prato di fiori spontanei. Raccontava in un’intervista degli anni Ottanta: «Devo conoscere con precisione i vari tipi d’erba che dipingo, sapere la composizione delle pietre che riporto sulla tela. […] Da tanto tempo salgo in studio a documentarmi sui minerali, piante, fiori e fossili. Leggo trattati di botanica e tento di ricostruire qui l’habitat di alcune alghe che mi affascinano. Ho bisogno di conoscere profondamente ciò che dovrò dipingere. Prima di dare il primo colpo di pennello, passano a volte anche dei mesi».
Non manca in mostra il richiamo alla più intensa opera d’arte sacra realizzata da Tabusso, custodita proprio a Milano nella Chiesa di San Francesco al Fopponino, progettata da Gio Ponti alla fine degli anni Sessanta: si tratta del ciclo pittorico il Cantico delle creature, composto dalla monumentale pala d'altare realizzata nel 1975, alta 12 metri per 8 – la più grande tela a tema religioso realizzata in Italia – e dagli 8 trittici che ornano la navata centrale e illustrano la Preghiera semplice del Santo di Assisi.
Il percorso espositivo antologico ha privilegiato le opere provenienti da collezioni private rintracciate durante il lavoro di catalogazione dei dipinti, acquisite cinquanta, sessant’anni fa e rimaste proprietà delle stesse famiglie, proprio in virtù di un loro particolare valore non solo artistico e di mercato, ma affettivo e umano.
Come sottolinea Elena Pontiggia nel testo critico: «C’è qualcosa, negli esiti migliori di Tabusso, che non si trova facilmente nel mondo dell’arte contemporanea: un accento irenico, fanciullesco, in cui il male non fa paura, il presente non genera ansia e le cose più piccole sembrano diventate improvvisamente importanti. Come accade, appunto, nelle fiabe. Nelle mollette posate sul filo per stendere la biancheria come note sulla riga di un pentagramma; nelle figure che sembrano frutti fra gli alberi; nelle terre, nelle colline, nelle case che galleggiano in un mare di nebbia, come le rondini volano fra le nuvole, c’è una vita che non esiste, che non è mai esistita. Ma che vive, per sempre, nella pittura di Tabusso».
Francesco Tabusso, classe 1930, torinese per ascendenza e per tutta la vita, nasce alle porte di Milano, a Sesto San Giovanni, dove all’epoca la famiglia si trasferisce al seguito del padre ingegnere.
Manifestata precocemente la passione per la pittura, consegue la maturità classica prima di intraprendere un rigoroso apprendistato sotto la guida di Felice Casorati. Lontano dall’essere un epigono, a scuola dal celebre insegnante Tabusso coltiva l’amore per il mestiere e il ragionamento sui maestri antichi, ereditando da Casorati la capacità di trasfigurare il reale, di restituirne la dimensione incantata, fuori dal tempo, in una sorta di “realismo magico” dai toni di fiaba del tutto personale. Eleggendo soprattutto a soggetto un mondo agreste d’ispirazione anche popolare, egli manifesta fin dall’inizio un’autentica “vocazione al racconto”, che lo porterà a felici collaborazioni con alcune delle firme più note della letteratura italiana del Novecento, quali Piero Chiara, Dino Buzzati, Mario Soldati, Mario Rigoni Stern.
Il 1954 è l’anno dell’esordio espositivo e della prima partecipazione alla Biennale di Venezia. In breve, l’artista è invitato alle principali rassegne nazionali e internazionali, riscuotendo numerosi premi-acquisto nell’ambito delle mostre a concorso che si moltiplicano nel secondo dopoguerra, per incrementare le raccolte civiche d’arte contemporanea. Dal 1963 al 1984 egli affianca alla pittura l’attività didattica: insegna ornato al Liceo Artistico di Bergamo, quindi figura al Liceo dell’Accademia Albertina di Torino.
Proprio il 1963 rappresenta un punto di svolta nella carriera del pittore all’epoca trentatreenne: la personale dedicatagli nel mese di marzo da Ettore Gian Ferrari costituisce l’inizio di un fortunato sodalizio. Tabusso firma un contratto di esclusiva con la prestigiosa galleria milanese, che ne cura per circa un trentennio l’attività in esclusiva, organizzando in quegli anni più di sessanta personali dell’autore in Italia e all’estero. E ancora nel 1963 inaugura l’attività didattica: insegna ornato disegnato al Liceo artistico di Bergamo, ottenendo dopo quattro anni il trasferimento a Torino con la cattedra di figura disegnata al Liceo dell’Accademia Albertina.
Punto più alto all’interno della produzione, opera della piena maturità, è il ciclo pittorico eseguito per la chiesa di San Francesco al Fopponino di Milano, progettata da Gio Ponti: in virtù di un’arte che ha da sempre celebrato l’uomo e la natura con immediatezza e forza espressiva – con il dono della “semplicità” –, Tabusso è chiamato a realizzare nel 1975 la monumentale pala d’altare Il Cantico delle Creature (96 m2 di pittura), e successivamente gli otto trittici con le storie del Santo.
Rimarrà costante il successo di critica e di pubblico riscosso in occasione delle numerose personali, dedicate, oltreché al felice dialogo con l’arte del passato, allo sviluppo di suggestioni dalla letteratura popolare e colta.
Tabusso muore a Torino nel 2012 dopo circa sessant’anni di infaticabile attività artistica.
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