A Roma dal 10 ottobre al 24 febbraio
Dal Whitney Museum al Vittoriano, Pollock e la Scuola di New York
Jackson Pollock, Untitled, 1950, Ink on paper, sheet, 56,2 x 44,5 cm Whitney Museum of American Art, New York © Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New York by SIAE 2018
Samantha De Martin
10/10/2018
Roma - Anticonformismo, introspezione psicologica, sperimentazione si avvicendano dentro gli schizzi di pittura che accolgono gli stati d’animo più reconditi degli “Irascibili”.
La loro arte graffiante irrompe a Roma con una mostra che porta al Complesso del Vittoriano fino al 24 febbraio 50 capolavori dei più autorevoli rappresentanti della Scuola di New York.
Da Jackson Pollock a Mark Rothko, da Willem de Kooning a Franz Kline, uno dei nuclei più preziosi del Whitney Museum approda nella capitale regalando al pubblico un viaggio in una sorta di universo parallelo, un percorso alla scoperta del frutto della famosa “rivoluzione” del maggio del 1950. In quell’anno il Metropolitan Museum di New York aveva organizzato un’importante mostra di arte contemporanea escludendo la cerchia degli action painter e scatenando la rivolta degli esponenti del movimento. Era stato proprio quel clima di insurrezione e stravolgimento sociale a gettare il seme dell’espressionismo astratto, divenuto un segno indelebile della cultura pop moderna, attraverso il particolare connubio tra espressività della forma e astrattismo stilistico.
Prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con The Whitney Museum of America Art, New York, a cura di David Breslin e Carrie Springer con Luca Beatrice, la mostra sfodera, tra i pezzi più rappresentativi, la grande Number 27, la tela lunga oltre tre metri resa iconica dal magistrale equilibrio raggiunto da Jackson Pollock fra le pennellate di nero e la fusione dei colori più chiari.
Il giovane Jackson, dal carattere ribelle, l’infanzia difficile, e il prematuro talento, è al centro della prima sezione del percorso, mentre la seconda tappa è dedicata agli artisti che hanno tracciato i presupposti della Scuola di New York. Buona parte di loro ha profonde radici nella cultura europea. Ci sono Arshile Gorky, nato nel 1905 in Armenia ed emigrato negli Stati Uniti nel 1920, primo punto di contattto tra la pittura astratta e il Surrealismo, e ancora il greco William Baziotes, Robert Motherwell, Clyfford Still, l’enigmatico Mark Tobey e ancora Bradley Walker Tomlin, tra i precursori del nascente Espressionismo astratto.
Action painting - uno stile di pittura nella quale il colore viene fatto gocciolare spontaneamente, lanciato o macchiato sulle tele - diventa sinonimo di innovazione, trasformazione, rottura dagli schemi e dal passato.
La terza sezione, dedicata a Franz Kline, lascia spazio al Color Field, alla compattezza generazionale degli artisti nati tutti nei primi decenni del Novecento, alle figure femminili, come l’elegante Helen Frankenthaler e Grace Hartigan.
Con Sam Francis si compie la “seconda rivoluzione”, con la nuova pittura ormai dentro la necessaria sintesi contemporanea che in breve condurrà al Minimalismo, ai puri “campi di colore” in un ripetersi di gesti quasi meccanici in cui la materia si diluisce.
Il viaggio attraverso la Scuola di New York si conclude con le pennellate violente e i colori acidi di Willem de Kooning e con i rettangoli luminosi e vibranti di Mark Rothko, la cui scelta cromatica restituisce un momento contemplativo, di assoluto silenzio dopo il caos gestuale e segnico dell’Espressionismo astratto.
E così alla forza scaturita dalle tele di Pollock a inizio percorso, si contrappone adesso la lentezza, la meditazione di Rothko. Una meditazione che logora quel velo costantemente attraversato dall’ombra della depressione, al punto da indurre l’artista alla drammatica decisione di togliersi la vita, il 25 febbraio 1970, nel suo studio di New York.
Leggi anche:
• Pollock e la Scuola di New York
• Geni a confronto: Pollock vs Michelangelo
La loro arte graffiante irrompe a Roma con una mostra che porta al Complesso del Vittoriano fino al 24 febbraio 50 capolavori dei più autorevoli rappresentanti della Scuola di New York.
Da Jackson Pollock a Mark Rothko, da Willem de Kooning a Franz Kline, uno dei nuclei più preziosi del Whitney Museum approda nella capitale regalando al pubblico un viaggio in una sorta di universo parallelo, un percorso alla scoperta del frutto della famosa “rivoluzione” del maggio del 1950. In quell’anno il Metropolitan Museum di New York aveva organizzato un’importante mostra di arte contemporanea escludendo la cerchia degli action painter e scatenando la rivolta degli esponenti del movimento. Era stato proprio quel clima di insurrezione e stravolgimento sociale a gettare il seme dell’espressionismo astratto, divenuto un segno indelebile della cultura pop moderna, attraverso il particolare connubio tra espressività della forma e astrattismo stilistico.
Prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con The Whitney Museum of America Art, New York, a cura di David Breslin e Carrie Springer con Luca Beatrice, la mostra sfodera, tra i pezzi più rappresentativi, la grande Number 27, la tela lunga oltre tre metri resa iconica dal magistrale equilibrio raggiunto da Jackson Pollock fra le pennellate di nero e la fusione dei colori più chiari.
Il giovane Jackson, dal carattere ribelle, l’infanzia difficile, e il prematuro talento, è al centro della prima sezione del percorso, mentre la seconda tappa è dedicata agli artisti che hanno tracciato i presupposti della Scuola di New York. Buona parte di loro ha profonde radici nella cultura europea. Ci sono Arshile Gorky, nato nel 1905 in Armenia ed emigrato negli Stati Uniti nel 1920, primo punto di contattto tra la pittura astratta e il Surrealismo, e ancora il greco William Baziotes, Robert Motherwell, Clyfford Still, l’enigmatico Mark Tobey e ancora Bradley Walker Tomlin, tra i precursori del nascente Espressionismo astratto.
Action painting - uno stile di pittura nella quale il colore viene fatto gocciolare spontaneamente, lanciato o macchiato sulle tele - diventa sinonimo di innovazione, trasformazione, rottura dagli schemi e dal passato.
La terza sezione, dedicata a Franz Kline, lascia spazio al Color Field, alla compattezza generazionale degli artisti nati tutti nei primi decenni del Novecento, alle figure femminili, come l’elegante Helen Frankenthaler e Grace Hartigan.
Con Sam Francis si compie la “seconda rivoluzione”, con la nuova pittura ormai dentro la necessaria sintesi contemporanea che in breve condurrà al Minimalismo, ai puri “campi di colore” in un ripetersi di gesti quasi meccanici in cui la materia si diluisce.
Il viaggio attraverso la Scuola di New York si conclude con le pennellate violente e i colori acidi di Willem de Kooning e con i rettangoli luminosi e vibranti di Mark Rothko, la cui scelta cromatica restituisce un momento contemplativo, di assoluto silenzio dopo il caos gestuale e segnico dell’Espressionismo astratto.
E così alla forza scaturita dalle tele di Pollock a inizio percorso, si contrappone adesso la lentezza, la meditazione di Rothko. Una meditazione che logora quel velo costantemente attraversato dall’ombra della depressione, al punto da indurre l’artista alla drammatica decisione di togliersi la vita, il 25 febbraio 1970, nel suo studio di New York.
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