Contemporaneamente nello spazio. Frammenti
Dal 15 Novembre 2013 al 29 Novembre 2013
Ascoli Piceno
Luogo: Palazzo dei Capitani del Popolo
Indirizzo: piazza del Popolo
Orari: feriali 10-12/ 16-19
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0736 244975/ 0736 244978
E-Mail info: serv.cultura@comune.ascolipiceno.it
Sito ufficiale: http://www.comuneap.gov.it
La mostra comprende alcune opere già esposte nel 1966 al Palazzo dei Capitani, dedicate alle prime esplorazioni spaziali. Sarà visibile inoltre una scelta di documenti relativi a quella mostra e agli anni successivi cui si riferisce. L’esposizione comprende inoltre opere di vari periodi scelti dall’artista stesso con l’intento di individuare il motivo conduttore, il Leitmotiv che gli permetta di evidenziare e rendere visibili per quanto possibile i temi fondamentali originari del suo lavoro. Il catalogo cerca di mostrare tale possibilità attraverso frammenti, dettagli pittorici e brani di autori, utilizzando diversi punti di vista.
Si avvale anche a tal fine di uno scritto di Maurizio Guerri dove si dice: il viaggio all’interno di questa mostra è un viaggio fatto di frammenti di immagini e parole. Frammenti di esistenze, frammenti di vite, perché forse più che al frammento non possiamo aspirare. Ma questo limitarsi al frammento per l’arte di Roberto Roberti non equivale a una rinuncia. Da molto tempo, le immagini dell’arte ci hanno mostrato come il frammento non corrisponda necessariamente a un tracollo della forma o del senso, ma come anzi proprio dal frammento sia possibile ogni volta arrivare alla trasfigurazione del Tutto.
Tra gli scritti che Roberti riporta per cercare di orientarsi nel suo viaggio si può citare la domanda che egli si pone attraverso Didi-Huberman: come orientarsi in un nodo di problemi? Infatti trasformazioni e sostituzioni possono continuare all’infinito; una medesima idea può rivestirsi di forme differenti e rimanere in fondo la stessa: una medesima forma può rivestire idee differenti (A. Pinotti). Questi spazi non si quadrettano: occorre allora immergersi in essi assumendosene il rischio. Con un atteggiamento che potremmo per certi versi considerare warburghiano Roberti interroga i dettagli ed i frammenti come perle da estrarre per illuminare il suo lavoro.
Un viaggio nelle forme della pittura
di Roberto Roberti
Il titolo molto felice di questa mostra di Roberto Roberti è Contemporaneamente nello spazio. Frammenti. Dunque, tempo, spazio e frammenti sono le parole che come punti di orientamento guidano il nostro cammino in questo viaggio nella pittura di Roberti. Un viaggio che nasce da una scelta di Roberti stesso tra i suoi dipinti, rispetto ai quali questa raccolta costituisce anche probabilmente uno dei migliori punti vista da cui contemplare l’intera sua opera. Perché queste parole tempo, spazio, frammenti rappresentano un filo conduttore all’interno dei suoi lavori?
Iniziamo dalla parola spazio. Nei quadri di Roberti lo spazio dipinto è lo spazio in cui viviamo, non uno spazio vagheggiato frutto di una poetica elaborata a tavolino o l’esito nostalgico di chi guarda ad armonie perdute. Quello che emerge dai suoi quadri, infatti, è uno spazio infinito, caotico, in continuo divenire, in cui gli esseri che riconosciamo, vi si muovono lottando con grazia e tenacia nella materia – e quindi anche con se stessi – per prendere forma, per vivere. Tutto è in movimento in questo spazio e noi emergiamo dalla materia caotica più per caso che per necessità, rimanendo in precario e momentaneo equilibrio tra una capacità di resistere al vortice materiale da cui siamo affiorati e lo stesso vortice verso il quale ci muoviamo per farvi ritorno. Credo che le forme viventi di Roberti rinviino sempre a questa condizione della Vita, in tensione tra il venire alla visibilità e il rifluire nel magma spaziale da cui sono emerse. Una sapienza morfologica di radice goetheana anima le forme che vivono nei dipinti di Roberti; ogni forma così sembra dirci: «Noi siamo forme luminose che resistono alla forza centrifuga del fluido ctonio della Vita. Proprio per questo noi siamo proiezioni estetiche, punti singolari entro cui però si cela ancora una volta l’infinito della Vita». Ogni forma che ha il sopravvento sul turbinio materiale ci appella con un de te fabula narratur.
La Vita nelle opere di Roberti è tensione dialettica incessante tra una vis centripeta che ci porta alla luce dotati di una coriacea capacità di resistere al tempo e una vis centrifuga che mostra che anche l’esistenza più solida è in fondo niente più che increspatura del mare da cui ogni singola vita trae forma e verso cui inesorabilmente rifluisce. Ma che cosa dobbiamo ritenere come essenziale o vero nei dipinti di Roberti? Il caos primigenio, lo sfondo ribollente della materia o le singole forme viventi, la luminosa solidità delle esistenze formali? Né l’uno, né l’altro, o meglio l’uno e l’altro, il necessario trapassare di questo in quello, contemporaneamente.
Dentro questo flusso incessante della natura, l’uomo prende forma con la sua storia, i suoi amori, le sue passioni, cioè con il suo tempo. Il tempo è ciò a cui resistiamo, la forza disgregatrice, ma anche ciò mediante cui diamo sostanza alla nostra esistenza. Per un attimo la persistenza della forma è in primo piano, con luminosa forza apollinea, ma appunto per un attimo. Le forme di Roberti tendono sempre a mostrare l’istantaneità, la loro provenienza e appartenenza a un fondo dionisiaco che sfugge a ogni sistema conoscitivo che pretenda di strappare, una volta per sempre, l’essere al divenire. Volti, mani, cosce, seni, alberi, fiori, cappelli, guanti nei dipinti di Roberti esprimono l’esigenza di mostrarsi come esistenze, ma ci ricordano contemporaneamente di essere semplici proiezioni estetiche; l’esteticità di tutte le forme che, per un attimo, si ritagliano un profilo entro l’infinito divenire della vita: dentro a ciò che vediamo come individuale possiamo scorgere una moltitudine di forme, quello che crediamo essere un punto ci appare poi come la descrizione di una linea.
L’avventura umana più luminosa ed eroica che attraversa questa raccolta di opere di Roberti è quella del volo, del viaggio spaziale. Un uomo ellenico, come tutti quelli appartenenti alle civiltà del passato, avrebbero visto nella ricerca di questo allontanamento dalla Terra una forma di hybris, un tracotante tentativo di abbandono del luogo giusto che si confà all’esistenza umana. Nei quadri, nei frammenti di immagini, nei brani di autori che sono raccolti nella mostra, Roberti guarda con felice meraviglia anche a questo progetto umano, al desiderio di staccarsi dalla Terra, a questo salto che per la prima volta ha fatto volare il corpo dell’uomo al di là dell’atmosfera, per portarlo infine a camminare su ciò che fino ad allora era stata solo la compagna silenziosa dei viandanti notturni. Nelle figure astronautiche di Roberti e negli stralci di documenti che le accompagnano nella mostra, il viaggio nello spazio infinito non è tanto la ripresa del mito novecentesco del Progresso, quanto una delle espressioni in cui l’uomo contemporaneo ha dato forma alla propria conoscenza, alla propria forza immaginativa, uno dei modi in cui ha preso possesso dello spazio. Le figure astronautiche – spesso solo sotto forma di particolari o di tracce da ricercare con attenzione nei vortici di colori – ci portano vedere il viaggio spaziale come quando ci intratteniamo a pensare al destino di un minuscolo insetto che si muove tra i fili d’erba; l’insetto procede tra i tenui fili come fossero giganteschi alberi tropicali: il suo breve cammino ci appare miracoloso, circondato com’è da denti e da chele pronte in ogni istante a richiudersi. Il viaggio nello spazio dell’astronauta non è che un’immagine di questo piccolo essere che cammina, in cui si riflette anche il nostro.
Il viaggio all’interno di questa mostra è un viaggio fatto di frammenti di immagini e parole. Frammenti di esistenze, frammenti di vite, perché forse più che al frammento non possiamo aspirare. Ma questo limitarsi al frammento per l’arte di Roberto Roberti non equivale a una rinuncia. Da molto tempo, le immagini dell’arte ci hanno mostrato come il frammento non corrisponda necessariamente a un tracollo della forma o del senso, ma come anzi proprio dal frammento sia possibile ogni volta arrivare alla trasfigurazione del Tutto. Così, un’immagine di Leibniz mi pare sia la più propizia per avvicinarci ai dipinti di Roberto Roberti: «Ogni porzione di materia può essere concepita come un giardino pieno di piante, o come uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo delle piante, ciascun membro dell’animale, ciascuna goccia dei loro umori, è a sua volta un tale giardino o un tale stagno». (G.W.F. Leibniz, Monadologia, § 67).
Si avvale anche a tal fine di uno scritto di Maurizio Guerri dove si dice: il viaggio all’interno di questa mostra è un viaggio fatto di frammenti di immagini e parole. Frammenti di esistenze, frammenti di vite, perché forse più che al frammento non possiamo aspirare. Ma questo limitarsi al frammento per l’arte di Roberto Roberti non equivale a una rinuncia. Da molto tempo, le immagini dell’arte ci hanno mostrato come il frammento non corrisponda necessariamente a un tracollo della forma o del senso, ma come anzi proprio dal frammento sia possibile ogni volta arrivare alla trasfigurazione del Tutto.
Tra gli scritti che Roberti riporta per cercare di orientarsi nel suo viaggio si può citare la domanda che egli si pone attraverso Didi-Huberman: come orientarsi in un nodo di problemi? Infatti trasformazioni e sostituzioni possono continuare all’infinito; una medesima idea può rivestirsi di forme differenti e rimanere in fondo la stessa: una medesima forma può rivestire idee differenti (A. Pinotti). Questi spazi non si quadrettano: occorre allora immergersi in essi assumendosene il rischio. Con un atteggiamento che potremmo per certi versi considerare warburghiano Roberti interroga i dettagli ed i frammenti come perle da estrarre per illuminare il suo lavoro.
Un viaggio nelle forme della pittura
di Roberto Roberti
Il titolo molto felice di questa mostra di Roberto Roberti è Contemporaneamente nello spazio. Frammenti. Dunque, tempo, spazio e frammenti sono le parole che come punti di orientamento guidano il nostro cammino in questo viaggio nella pittura di Roberti. Un viaggio che nasce da una scelta di Roberti stesso tra i suoi dipinti, rispetto ai quali questa raccolta costituisce anche probabilmente uno dei migliori punti vista da cui contemplare l’intera sua opera. Perché queste parole tempo, spazio, frammenti rappresentano un filo conduttore all’interno dei suoi lavori?
Iniziamo dalla parola spazio. Nei quadri di Roberti lo spazio dipinto è lo spazio in cui viviamo, non uno spazio vagheggiato frutto di una poetica elaborata a tavolino o l’esito nostalgico di chi guarda ad armonie perdute. Quello che emerge dai suoi quadri, infatti, è uno spazio infinito, caotico, in continuo divenire, in cui gli esseri che riconosciamo, vi si muovono lottando con grazia e tenacia nella materia – e quindi anche con se stessi – per prendere forma, per vivere. Tutto è in movimento in questo spazio e noi emergiamo dalla materia caotica più per caso che per necessità, rimanendo in precario e momentaneo equilibrio tra una capacità di resistere al vortice materiale da cui siamo affiorati e lo stesso vortice verso il quale ci muoviamo per farvi ritorno. Credo che le forme viventi di Roberti rinviino sempre a questa condizione della Vita, in tensione tra il venire alla visibilità e il rifluire nel magma spaziale da cui sono emerse. Una sapienza morfologica di radice goetheana anima le forme che vivono nei dipinti di Roberti; ogni forma così sembra dirci: «Noi siamo forme luminose che resistono alla forza centrifuga del fluido ctonio della Vita. Proprio per questo noi siamo proiezioni estetiche, punti singolari entro cui però si cela ancora una volta l’infinito della Vita». Ogni forma che ha il sopravvento sul turbinio materiale ci appella con un de te fabula narratur.
La Vita nelle opere di Roberti è tensione dialettica incessante tra una vis centripeta che ci porta alla luce dotati di una coriacea capacità di resistere al tempo e una vis centrifuga che mostra che anche l’esistenza più solida è in fondo niente più che increspatura del mare da cui ogni singola vita trae forma e verso cui inesorabilmente rifluisce. Ma che cosa dobbiamo ritenere come essenziale o vero nei dipinti di Roberti? Il caos primigenio, lo sfondo ribollente della materia o le singole forme viventi, la luminosa solidità delle esistenze formali? Né l’uno, né l’altro, o meglio l’uno e l’altro, il necessario trapassare di questo in quello, contemporaneamente.
Dentro questo flusso incessante della natura, l’uomo prende forma con la sua storia, i suoi amori, le sue passioni, cioè con il suo tempo. Il tempo è ciò a cui resistiamo, la forza disgregatrice, ma anche ciò mediante cui diamo sostanza alla nostra esistenza. Per un attimo la persistenza della forma è in primo piano, con luminosa forza apollinea, ma appunto per un attimo. Le forme di Roberti tendono sempre a mostrare l’istantaneità, la loro provenienza e appartenenza a un fondo dionisiaco che sfugge a ogni sistema conoscitivo che pretenda di strappare, una volta per sempre, l’essere al divenire. Volti, mani, cosce, seni, alberi, fiori, cappelli, guanti nei dipinti di Roberti esprimono l’esigenza di mostrarsi come esistenze, ma ci ricordano contemporaneamente di essere semplici proiezioni estetiche; l’esteticità di tutte le forme che, per un attimo, si ritagliano un profilo entro l’infinito divenire della vita: dentro a ciò che vediamo come individuale possiamo scorgere una moltitudine di forme, quello che crediamo essere un punto ci appare poi come la descrizione di una linea.
L’avventura umana più luminosa ed eroica che attraversa questa raccolta di opere di Roberti è quella del volo, del viaggio spaziale. Un uomo ellenico, come tutti quelli appartenenti alle civiltà del passato, avrebbero visto nella ricerca di questo allontanamento dalla Terra una forma di hybris, un tracotante tentativo di abbandono del luogo giusto che si confà all’esistenza umana. Nei quadri, nei frammenti di immagini, nei brani di autori che sono raccolti nella mostra, Roberti guarda con felice meraviglia anche a questo progetto umano, al desiderio di staccarsi dalla Terra, a questo salto che per la prima volta ha fatto volare il corpo dell’uomo al di là dell’atmosfera, per portarlo infine a camminare su ciò che fino ad allora era stata solo la compagna silenziosa dei viandanti notturni. Nelle figure astronautiche di Roberti e negli stralci di documenti che le accompagnano nella mostra, il viaggio nello spazio infinito non è tanto la ripresa del mito novecentesco del Progresso, quanto una delle espressioni in cui l’uomo contemporaneo ha dato forma alla propria conoscenza, alla propria forza immaginativa, uno dei modi in cui ha preso possesso dello spazio. Le figure astronautiche – spesso solo sotto forma di particolari o di tracce da ricercare con attenzione nei vortici di colori – ci portano vedere il viaggio spaziale come quando ci intratteniamo a pensare al destino di un minuscolo insetto che si muove tra i fili d’erba; l’insetto procede tra i tenui fili come fossero giganteschi alberi tropicali: il suo breve cammino ci appare miracoloso, circondato com’è da denti e da chele pronte in ogni istante a richiudersi. Il viaggio nello spazio dell’astronauta non è che un’immagine di questo piccolo essere che cammina, in cui si riflette anche il nostro.
Il viaggio all’interno di questa mostra è un viaggio fatto di frammenti di immagini e parole. Frammenti di esistenze, frammenti di vite, perché forse più che al frammento non possiamo aspirare. Ma questo limitarsi al frammento per l’arte di Roberto Roberti non equivale a una rinuncia. Da molto tempo, le immagini dell’arte ci hanno mostrato come il frammento non corrisponda necessariamente a un tracollo della forma o del senso, ma come anzi proprio dal frammento sia possibile ogni volta arrivare alla trasfigurazione del Tutto. Così, un’immagine di Leibniz mi pare sia la più propizia per avvicinarci ai dipinti di Roberto Roberti: «Ogni porzione di materia può essere concepita come un giardino pieno di piante, o come uno stagno pieno di pesci. Ma ciascun ramo delle piante, ciascun membro dell’animale, ciascuna goccia dei loro umori, è a sua volta un tale giardino o un tale stagno». (G.W.F. Leibniz, Monadologia, § 67).
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