Fate & Fortune. Richie Culver + David Hanes
Dal 19 Marzo 2022 al 23 Aprile 2022
Roma
Luogo: White Noise Gallery
Indirizzo: Via della Seggiola 9
Curatori: Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti
E-Mail info: info@whitenoisegallery.it
Sito ufficiale: http://whitenoisegallery.it
Sabato 19 marzo dalle ore 18:00 alle 21:00 verrà inaugurata “Fate & Fortune”, doppia personale di Richie Culver (Hull, UK, 1979 – vive e lavora fra Londra e Porto) e David Hanes (Toronto, CAN 1987 – vive e lavora a Berlino).
Il progetto verte da un lato sull'impossibilità di controllare il proprio destino, percepito come un giudice malevolo e irremovibile; dall’altro, per opporsi alla sorte, l’umanità non smette di avere un’incrollabile e irrazionale fede nella fortuna.
Nel corpus di lavori pittorici che spazia fra tele di grandi dimensioni ed una serie più intima e complessa, David Hanesutilizza un’iconografia legata ai simboli arcaici della fortuna ed il fato come il sole, la luna, le stelle e l’interpretazione del volo degli uccelli, rielaborati attraverso un tratto grezzo e volutamente infantile, come fossero preghiere laiche per un destino favorevole.
Richie Culver è l'altro lato della medaglia. Ha una poetica ruvida e scarna, i brevi testi graffiati su tela sono messaggi cinici e disillusi, qualsiasi cosa verrà desiderata il destino sceglierà comunque la propria strada.
“[…] il punto d’arrivo sarà inevitabilmente diverso da quello che pensavamo. Lo sarà perché non abbiamo mai realmente avuto una mappa da tracciare e soprattutto perché la forza delle correnti lavora semplicemente su una scala diversa dalla nostra. Fortuna, sfortuna, fato: tutte forze inventate per negare la nostra sostanziale impossibilità di dominare gli eventi attraverso il nostro libero arbitrio.”
Testo critico
Una volta inserita nel giusto sistema di riferimento, la nostra vita, che pure ci pare così densa di avvenimenti ed incredibili avventure, altro non è che un segmento minuscolo sulla retta infinita della storia. Noi nasciamo, lottiamo per rimanere vivi e ad un certo punto ci distraiamo e moriamo. La sorprendente forza della nostra mente ci convince di qualcosa di diverso: confondiamo la scala della nostra vita con quella della storia e ci convinciamo della centralità delle nostre esistenze nell’ordine naturale delle cose. La nostra mente, unica nel mondo animale, è dotata di immaginazione e riesce a concepire scenari che vanno infinitamente oltre alla piccolezza delle nostre possibilità empiriche. La nostra mente non solo si adatta agli scenari ma addirittura ne concepisce di nuovi, adeguando bisogni e dinamiche del corpo a queste nuove ipotetiche realtà.
Al raggiungimento dell’età senziente ognuno di noi costruisce un’idea di come dovrà andare la sua vita: quale lavoro, quanti figli, quanti gatti ed in quali case. Questa proiezione cinematografica del nostro futuro diventa un canovaccio più da seguire che non da perseguire, una visione di quello che è “giusto” che accada.
In questo delirio immaginifico nasce l’idea di destino, inteso come una sorta di mano nera che ci spinge lontano da quel percorso predefinito che abbiamo immaginato. Fortuna e sfortuna sono i due nomi che diamo a questa spinte, a seconda che ci allontanino o ci avvicinino a ciò che riteniamo giusto per noi. Una volta deciso il porto in cui attraccare stabiliamo una certa direzione e cominciamo a vogare come dei muli non curanti di essere in mare aperto; il destino è il nome delle nostre correnti.
È quello che ci ricorda che indipendentemente dalla forza delle nostre braccia o dalla lunghezza dei nostri remi, il punto d’arrivo sarà inevitabilmente diverso da quello che pensavamo. Lo sarà perché non abbiamo mai realmente avuto una mappa da tracciare e soprattutto perché la forza delle correnti lavora semplicemente su una scala diversa dalla nostra. Fortuna, sfortuna, fato: tutte forze inventate per negare la nostra sostanziale impossibilità di dominare gli eventi attraverso il nostro libero arbitrio.
In questo momento storico il concetto di destino è particolarmente attuale perché, forse per la prima volta nella storia personale delle ultime generazioni, le nostre rotte personali sono state tutte deviate da una tempesta imponderabile. Ci sentiamo tutti in credito come se quello che ci è accaduto fosse una gigantesca ingiustizia di cui il destino prima o poi sarà chiamato a rendere conto. Un tempo ci saremmo aspettati una giustizia nel mondo dei cieli mentre oggi ci lamentiamo come vecchi alla posta perché ci venga immediatamente restituito quello che ci spetta, come fosse il risarcimento per una giostra che ha smesso di funzionare.
Proprio l’osservazione del nostro rapporto con il destino, tanto viscerale quanto puerile, è al centro del progetto che ha unito Richie Culver e David Hanes per la mostra bi-personale alla White Noise Gallery. L’atteggiamento dell’essere umano che, persino dopo aver accettato l’esistenza di forze superiori, continua a credere di poterle in qualche modo leggere o influenzare. Ipotizziamo l’esistenza di un Dio per giustificare l’imponderabile immensità di quello che ci circonda e poi pretendiamo che quello stesso, immenso, architetto si fermi ad ascoltare delle preghierine sussurrate ai piedi di un letto.
Richie e David sono affascinati esattamente da questa dinamica che analizzano attraverso un corpus esclusivamente pittorico di lavori.
Le tele di Richie Culver seguono la sua poetica ruvida e spigolosa con brevi testi che parlano di fortuna e destino scritti con un segno quasi nichilista. Il confronto con i messaggi veicolati dal testo non si svolge più solo sul piano linguistico ma diventa un confronto fisico con una tela di grandi dimensioni: il segno sporco ed istintivo di Culver è il vero comunicatore ed il significante diventa significato. David Hanes concentra il suo lavoro sulla più profonda iconografia che l’uomo ha sviluppato nel tempo per rappresentare il suo rapporto con il fato. Icone trasversali e sostanzialmente archetipiche nella loro estrema semplicità. Figure immediate, fanciullesche, mutuate spesso dalle carte dei tarocchi e da simbologie arcaiche che diventano un sistema geroglifico che si compenetra perfettamente con i quadri di Culver andando a comporre una sorta di stele di rosetta sul tema del destino.
Il progetto verte da un lato sull'impossibilità di controllare il proprio destino, percepito come un giudice malevolo e irremovibile; dall’altro, per opporsi alla sorte, l’umanità non smette di avere un’incrollabile e irrazionale fede nella fortuna.
Nel corpus di lavori pittorici che spazia fra tele di grandi dimensioni ed una serie più intima e complessa, David Hanesutilizza un’iconografia legata ai simboli arcaici della fortuna ed il fato come il sole, la luna, le stelle e l’interpretazione del volo degli uccelli, rielaborati attraverso un tratto grezzo e volutamente infantile, come fossero preghiere laiche per un destino favorevole.
Richie Culver è l'altro lato della medaglia. Ha una poetica ruvida e scarna, i brevi testi graffiati su tela sono messaggi cinici e disillusi, qualsiasi cosa verrà desiderata il destino sceglierà comunque la propria strada.
“[…] il punto d’arrivo sarà inevitabilmente diverso da quello che pensavamo. Lo sarà perché non abbiamo mai realmente avuto una mappa da tracciare e soprattutto perché la forza delle correnti lavora semplicemente su una scala diversa dalla nostra. Fortuna, sfortuna, fato: tutte forze inventate per negare la nostra sostanziale impossibilità di dominare gli eventi attraverso il nostro libero arbitrio.”
Testo critico
Una volta inserita nel giusto sistema di riferimento, la nostra vita, che pure ci pare così densa di avvenimenti ed incredibili avventure, altro non è che un segmento minuscolo sulla retta infinita della storia. Noi nasciamo, lottiamo per rimanere vivi e ad un certo punto ci distraiamo e moriamo. La sorprendente forza della nostra mente ci convince di qualcosa di diverso: confondiamo la scala della nostra vita con quella della storia e ci convinciamo della centralità delle nostre esistenze nell’ordine naturale delle cose. La nostra mente, unica nel mondo animale, è dotata di immaginazione e riesce a concepire scenari che vanno infinitamente oltre alla piccolezza delle nostre possibilità empiriche. La nostra mente non solo si adatta agli scenari ma addirittura ne concepisce di nuovi, adeguando bisogni e dinamiche del corpo a queste nuove ipotetiche realtà.
Al raggiungimento dell’età senziente ognuno di noi costruisce un’idea di come dovrà andare la sua vita: quale lavoro, quanti figli, quanti gatti ed in quali case. Questa proiezione cinematografica del nostro futuro diventa un canovaccio più da seguire che non da perseguire, una visione di quello che è “giusto” che accada.
In questo delirio immaginifico nasce l’idea di destino, inteso come una sorta di mano nera che ci spinge lontano da quel percorso predefinito che abbiamo immaginato. Fortuna e sfortuna sono i due nomi che diamo a questa spinte, a seconda che ci allontanino o ci avvicinino a ciò che riteniamo giusto per noi. Una volta deciso il porto in cui attraccare stabiliamo una certa direzione e cominciamo a vogare come dei muli non curanti di essere in mare aperto; il destino è il nome delle nostre correnti.
È quello che ci ricorda che indipendentemente dalla forza delle nostre braccia o dalla lunghezza dei nostri remi, il punto d’arrivo sarà inevitabilmente diverso da quello che pensavamo. Lo sarà perché non abbiamo mai realmente avuto una mappa da tracciare e soprattutto perché la forza delle correnti lavora semplicemente su una scala diversa dalla nostra. Fortuna, sfortuna, fato: tutte forze inventate per negare la nostra sostanziale impossibilità di dominare gli eventi attraverso il nostro libero arbitrio.
In questo momento storico il concetto di destino è particolarmente attuale perché, forse per la prima volta nella storia personale delle ultime generazioni, le nostre rotte personali sono state tutte deviate da una tempesta imponderabile. Ci sentiamo tutti in credito come se quello che ci è accaduto fosse una gigantesca ingiustizia di cui il destino prima o poi sarà chiamato a rendere conto. Un tempo ci saremmo aspettati una giustizia nel mondo dei cieli mentre oggi ci lamentiamo come vecchi alla posta perché ci venga immediatamente restituito quello che ci spetta, come fosse il risarcimento per una giostra che ha smesso di funzionare.
Proprio l’osservazione del nostro rapporto con il destino, tanto viscerale quanto puerile, è al centro del progetto che ha unito Richie Culver e David Hanes per la mostra bi-personale alla White Noise Gallery. L’atteggiamento dell’essere umano che, persino dopo aver accettato l’esistenza di forze superiori, continua a credere di poterle in qualche modo leggere o influenzare. Ipotizziamo l’esistenza di un Dio per giustificare l’imponderabile immensità di quello che ci circonda e poi pretendiamo che quello stesso, immenso, architetto si fermi ad ascoltare delle preghierine sussurrate ai piedi di un letto.
Richie e David sono affascinati esattamente da questa dinamica che analizzano attraverso un corpus esclusivamente pittorico di lavori.
Le tele di Richie Culver seguono la sua poetica ruvida e spigolosa con brevi testi che parlano di fortuna e destino scritti con un segno quasi nichilista. Il confronto con i messaggi veicolati dal testo non si svolge più solo sul piano linguistico ma diventa un confronto fisico con una tela di grandi dimensioni: il segno sporco ed istintivo di Culver è il vero comunicatore ed il significante diventa significato. David Hanes concentra il suo lavoro sulla più profonda iconografia che l’uomo ha sviluppato nel tempo per rappresentare il suo rapporto con il fato. Icone trasversali e sostanzialmente archetipiche nella loro estrema semplicità. Figure immediate, fanciullesche, mutuate spesso dalle carte dei tarocchi e da simbologie arcaiche che diventano un sistema geroglifico che si compenetra perfettamente con i quadri di Culver andando a comporre una sorta di stele di rosetta sul tema del destino.
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