Reading people: oltre la figura
Dal 10 Gennaio 2015 al 31 Gennaio 2015
Pozzuoli | Napoli
Luogo: Atelier Controsegno
Indirizzo: via Napoli 201
Orari: da martedì a sabato 16-19.30
Curatori: Rosalba Volpe
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 333 2191113
E-Mail info: controsegno@libero.it
Sabato 10 gennaio 2015, alle ore 18.00, si inaugura la mostra di Veronica Longo, Peppe Rapicano, Lucio Statti e Francesco Verio, a cura di Rosalba Volpe, all’Atelier Controsegno, in Via Napoli 201, Pozzuoli, Napoli (nei pressi della stazione della Cumana Dazio).
Per l’occasione, dalle 18.30 l’Associazione LUX in FABULA presenta la performance Respira in me e rendimi viva, della danzatrice Rossella Caso.
Quattro artisti, provenienti da esperienze diverse, hanno deciso di riunire in un’unica esposizione una parte dei loro lavori per mostrare a tutti una linea comune: la ricerca della rappresentazione della figura umana con stili e significati differenti.
Nel corso del ‘900 l’istanza figurativa ha “riportato”, almeno in due momenti storici fondamentali, il destino dell’arte verso il recupero della rappresentazione della figura. Gli anni della Grande Guerra avevano segnato una frattura non solo nella storia politica, economica e sociale dell’Europa, ma anche in quella dei movimenti artistici d’avanguardia. Nel primo dopoguerra c’era stata una reazione ai linguaggi dell’astrazione che mirava a riprendere l’integrità della forma figurativa che le avanguardie avevano disintegrato; tuttavia questo orientamento non ha realizzato un semplice ritorno al naturalismo o al realismo ottocentesco, ma la forma risultava sempre l’esito di un processo mentale ed estetico che prescindeva dall’immediatezza percettiva. L’arte aveva ritrovato le figure, ma senza perdere quella componente di costruttività formale acquisita con il simbolismo. Si trattò di un orientamento diversificato che, attraversando l’Europa, si sviluppò ulteriormente negli anni ’30: il cosiddetto “ritorno all’ordine”.
Alla metà del “secolo breve”, dopo le esperienze informali e concettuali (anni ’40 – ’60) che avevano perseguito una linea e una poetica artistica decisamente astratta, portando nuovamente alla “disgregazione” della rappresentazione figurativa, alcuni artisti sono tornati a rappresentare figure ben riconoscibili, piuttosto che oggetti indefiniti e intangibili. Alla fine degli anni ’70 si è delineato in maniera chiara un clima di “ritorno alla pittura” di matrice espressionista e alla valorizzazione della sensibilità individuale. Il critico Achille Bonito Oliva ha coniato, per alcuni di essi, la definizione di Transavanguardia, affermando con ciò l’idea di un “attraversamento” che riguardava sia il futuro che il passato: si esprimeva la libertà di tornare alla “tradizione” artistica, così come di potenziare i valori inediti dell’immagine e della figurazione. Certi movimenti, come ad esempio quello degli Anacronisti, si sono orientati verso un ritorno alla pittura e alla scultura sottoposto all’istanza figurativa: una specie di “nomadismo linguistico” che si inserisce nel contesto generale della condizione post-moderna della cultura.
Ancora oggi, sull’onda lunga di tali esperienze, i quattro artisti napoletani coinvolti nella mostra Reading people: oltre la figura tentano di scandagliare la propria e la nostra interiorità, attraverso il figurativismo; questa ricerca può essere considerata come un tentativo di introspezione attraverso le figure.
I personaggi di Veronica Longo mostrano una visione intimistica dell’uomo, rappresentato nella sua sfera quotidiana dove lo sguardo del protagonista spesso intercede con quello dello spettatore, quasi a invitarlo alla sua lettura. L’artista si distingue per una realizzazione prevalentemente grafica, predilige una linea fluida, tratti chiaroscurali complementari a figure sognanti e a sguardi “persi” di persone emarginate della metropoli. In quei volti, in quegli occhi, c’è una profonda malinconia, nostalgia e ricerca dell’oltre, di un ineffabile mondo interiore.
Le figure di Peppe Rapicano si costruiscono attraverso un marcato segno grafico, che ne delimita spigolosamente gli angoli dei corpi dai colori freddi, così come gelidi sono gli sguardi, persi nel vuoto, forse scoperti nel momento in cui riflettono su loro stessi, quasi costringendo l’osservatore a guardarsi dentro. L’uomo diviene presenza inquietante: algide figure, corpi come sculture tese e nervose. Le pupille sembrano fissare un mondo che sfugge alla vista di chi guarda, ma non agli occhi di chi sa vedere... “L’inferno sono gli altri” sosteneva J. P. Sartre.
Le immagini di Lucio Statti si manifestano con dipinti dai colori vivaci, che adducono a un forte contrasto con le figure iperrealiste, riconducibili spesso in uno scenario onirico. L’artista tenta di mostrare il proprio mondo interiore fatto di momenti rubati alla quotidianità, intervallati da ritratti al di là del tempo e dello spazio, quasi trascendenti. Oggetti simbolici si mescolano con altre figure, creando situazioni sfumate, leggere e con tratti spesso indefiniti: siamo catapultati in atmosfere intime, sottolineate da cromatismi accesi e orizzonti labili.
Le figure di Francesco Verio sono percorse da colori squillanti che, rivestendo i suoi personaggi così prepotentemente, ricordano la pittura di inizio ‘900 dei Fauves. Gli interni risultano scarni, ma allo stesso tempo dialogano insieme con le figure che contengono: donne e uomini esprimono la loro incomunicabilità attraverso i gesti e le espressioni. Le vesti, i manti, denotano solitudini irrisolte e frasi non dette. Alcuni degli oggetti squillano dal quadro attraverso i loro colori: c’è una via d’uscita dalla strettoia e dal labirinto in cui rinchiudiamo noi stessi?
Una mostra, quindi, che attraverso i suoi interpreti, vuole mostrare che si possono esprimere sentimenti forti e contrastanti, anche senza le parole poiché, spesso, un’immagine può rivelare, spontaneamente, i pensieri più reconditi, celati ai suoi stessi autori. A completamento di questa profonda riflessione su ciò che l’arte figurativa ha dato e non, dalle Avanguardie in poi, verrà presentata in galleria una performance, un’esaltazione della figura, che vive e palpita nello spazio, offrendo al suo pubblico un riflesso fuggevole di sé. Rossella Caso, anche lei di origine napoletana, classe 1994, studia danza classica e moderna a Pozzuoli, presso la Dance Art di Alfonso Mastrangelo dal 2000 e attualmente svolge il Servizio Civile Nazionale all’Associazione Culturale Lux in Fabula che, diverse volte, ha fornito il suo contributo all’Atelier Controsegno. Sulle note di Bring me to life degli Evanescence, Rossella immergerà i suoi spettatori in un tempo sospeso, al confine tra realtà e surreale. Rosalba Volpe
Per l’occasione, dalle 18.30 l’Associazione LUX in FABULA presenta la performance Respira in me e rendimi viva, della danzatrice Rossella Caso.
Quattro artisti, provenienti da esperienze diverse, hanno deciso di riunire in un’unica esposizione una parte dei loro lavori per mostrare a tutti una linea comune: la ricerca della rappresentazione della figura umana con stili e significati differenti.
Nel corso del ‘900 l’istanza figurativa ha “riportato”, almeno in due momenti storici fondamentali, il destino dell’arte verso il recupero della rappresentazione della figura. Gli anni della Grande Guerra avevano segnato una frattura non solo nella storia politica, economica e sociale dell’Europa, ma anche in quella dei movimenti artistici d’avanguardia. Nel primo dopoguerra c’era stata una reazione ai linguaggi dell’astrazione che mirava a riprendere l’integrità della forma figurativa che le avanguardie avevano disintegrato; tuttavia questo orientamento non ha realizzato un semplice ritorno al naturalismo o al realismo ottocentesco, ma la forma risultava sempre l’esito di un processo mentale ed estetico che prescindeva dall’immediatezza percettiva. L’arte aveva ritrovato le figure, ma senza perdere quella componente di costruttività formale acquisita con il simbolismo. Si trattò di un orientamento diversificato che, attraversando l’Europa, si sviluppò ulteriormente negli anni ’30: il cosiddetto “ritorno all’ordine”.
Alla metà del “secolo breve”, dopo le esperienze informali e concettuali (anni ’40 – ’60) che avevano perseguito una linea e una poetica artistica decisamente astratta, portando nuovamente alla “disgregazione” della rappresentazione figurativa, alcuni artisti sono tornati a rappresentare figure ben riconoscibili, piuttosto che oggetti indefiniti e intangibili. Alla fine degli anni ’70 si è delineato in maniera chiara un clima di “ritorno alla pittura” di matrice espressionista e alla valorizzazione della sensibilità individuale. Il critico Achille Bonito Oliva ha coniato, per alcuni di essi, la definizione di Transavanguardia, affermando con ciò l’idea di un “attraversamento” che riguardava sia il futuro che il passato: si esprimeva la libertà di tornare alla “tradizione” artistica, così come di potenziare i valori inediti dell’immagine e della figurazione. Certi movimenti, come ad esempio quello degli Anacronisti, si sono orientati verso un ritorno alla pittura e alla scultura sottoposto all’istanza figurativa: una specie di “nomadismo linguistico” che si inserisce nel contesto generale della condizione post-moderna della cultura.
Ancora oggi, sull’onda lunga di tali esperienze, i quattro artisti napoletani coinvolti nella mostra Reading people: oltre la figura tentano di scandagliare la propria e la nostra interiorità, attraverso il figurativismo; questa ricerca può essere considerata come un tentativo di introspezione attraverso le figure.
I personaggi di Veronica Longo mostrano una visione intimistica dell’uomo, rappresentato nella sua sfera quotidiana dove lo sguardo del protagonista spesso intercede con quello dello spettatore, quasi a invitarlo alla sua lettura. L’artista si distingue per una realizzazione prevalentemente grafica, predilige una linea fluida, tratti chiaroscurali complementari a figure sognanti e a sguardi “persi” di persone emarginate della metropoli. In quei volti, in quegli occhi, c’è una profonda malinconia, nostalgia e ricerca dell’oltre, di un ineffabile mondo interiore.
Le figure di Peppe Rapicano si costruiscono attraverso un marcato segno grafico, che ne delimita spigolosamente gli angoli dei corpi dai colori freddi, così come gelidi sono gli sguardi, persi nel vuoto, forse scoperti nel momento in cui riflettono su loro stessi, quasi costringendo l’osservatore a guardarsi dentro. L’uomo diviene presenza inquietante: algide figure, corpi come sculture tese e nervose. Le pupille sembrano fissare un mondo che sfugge alla vista di chi guarda, ma non agli occhi di chi sa vedere... “L’inferno sono gli altri” sosteneva J. P. Sartre.
Le immagini di Lucio Statti si manifestano con dipinti dai colori vivaci, che adducono a un forte contrasto con le figure iperrealiste, riconducibili spesso in uno scenario onirico. L’artista tenta di mostrare il proprio mondo interiore fatto di momenti rubati alla quotidianità, intervallati da ritratti al di là del tempo e dello spazio, quasi trascendenti. Oggetti simbolici si mescolano con altre figure, creando situazioni sfumate, leggere e con tratti spesso indefiniti: siamo catapultati in atmosfere intime, sottolineate da cromatismi accesi e orizzonti labili.
Le figure di Francesco Verio sono percorse da colori squillanti che, rivestendo i suoi personaggi così prepotentemente, ricordano la pittura di inizio ‘900 dei Fauves. Gli interni risultano scarni, ma allo stesso tempo dialogano insieme con le figure che contengono: donne e uomini esprimono la loro incomunicabilità attraverso i gesti e le espressioni. Le vesti, i manti, denotano solitudini irrisolte e frasi non dette. Alcuni degli oggetti squillano dal quadro attraverso i loro colori: c’è una via d’uscita dalla strettoia e dal labirinto in cui rinchiudiamo noi stessi?
Una mostra, quindi, che attraverso i suoi interpreti, vuole mostrare che si possono esprimere sentimenti forti e contrastanti, anche senza le parole poiché, spesso, un’immagine può rivelare, spontaneamente, i pensieri più reconditi, celati ai suoi stessi autori. A completamento di questa profonda riflessione su ciò che l’arte figurativa ha dato e non, dalle Avanguardie in poi, verrà presentata in galleria una performance, un’esaltazione della figura, che vive e palpita nello spazio, offrendo al suo pubblico un riflesso fuggevole di sé. Rossella Caso, anche lei di origine napoletana, classe 1994, studia danza classica e moderna a Pozzuoli, presso la Dance Art di Alfonso Mastrangelo dal 2000 e attualmente svolge il Servizio Civile Nazionale all’Associazione Culturale Lux in Fabula che, diverse volte, ha fornito il suo contributo all’Atelier Controsegno. Sulle note di Bring me to life degli Evanescence, Rossella immergerà i suoi spettatori in un tempo sospeso, al confine tra realtà e surreale. Rosalba Volpe
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