Gregorio Botta ed Emmanuele De Ruvo. L'oro dell'impermanenza
Dal 27 Febbraio 2014 al 27 Marzo 2014
Roma
Luogo: Montoro 12 Contemporary Art
Indirizzo: via di Montoro 12
Orari: da martedì a sabato 15 -19 o su appuntamento
Telefono per informazioni: +39 06 68308500 / 392 9578974
E-Mail info: info@montoro12.it
Sito ufficiale: http://www.montoro12.it
Nulla splende più dell’oro. Anche nelle opere di Gregorio Botta ed Emmanuele De Ruvo splende un oro segreto, un sole invisibile, che brilla anche di notte. E’ un oro senza nome, che soffia come il vento e scorre come l’acqua, che è ovunque e da nessuna parte, perché è l’oro dell’impermanenza. Ciò che accomuna le opere di Botta e De Ruvo è proprio l’oro dell’inafferrabilità. Nulla è certo nelle loro opere, tutto è sul punto di perdere l’equilibrio raggiunto, per espandersi in altri equilibri, scivolando verso una deriva perpetua.
Per Botta, la cui arte è scritta sull’acqua come il nome di John Keats sulla sua tomba, priorità non è tanto trovare le forme, quanto il perderle. Anzi, in lui il possesso coincide proprio con l’abbandono. L’oro di Botta è quindi in quel senso di nostalgia felice che la sua arte imprime nella nostra coscienza, stanca di aggrapparsi a illusioni di certezza, e affamata di ampiezza e libertà. La cera, la fiamma, il flusso d’acqua, il vetro trasparente, la scrittura che svanisce, sono tutti non-luoghi della mente, in cui l’assenza di un centro assurge a opportunità di volo, a religione del vuoto, a pienezza della poesia. La magia di Botta è nel trasformare la materia in sogno, come per gli alchimisti era quella di trasmutare il piombo in oro, intesa come allegoria del perfezionamento spirituale. In Botta la materia sogna il suo opposto, l’immaterialità. E noi, che di materie siam fatti, sogniamo, guidati da Botta, l’oro che da sempre conteniamo.
Ma per gli alchimisti, che erano cercatori del profondo, lo stadio spirituale dell’oro corrispondeva, in termini filosofici, al raggiungimento della fusione degli opposti, per la percezione della grande unità che sostiene e innerva la vita. E’ questo che spinge Emmanuele De Ruvo a perseguire nelle sue sculture il bilico perfetto, il bilanciamento assoluto e la quiete che reca l’equilibrio. E l’equilibrio null’altro è che la conciliazione di forze contrapposte, per l’affermazione della vita come forza in equilibrio. Ma essendo vivo, questo equilibrio è anche precario, la sua oggettivazione un miracolo transeunte. Nulla di astratto e metafisico, infatti, nelle lastre di marmo o nelle macchine da scrivere sostenute da esili fogli di carta e nella giustapposizione di magneti di forza contraria, o nei marchingegni dove tutto è sempre sul punto di perdere l’incanto del bilanciamento perfetto. Cos’è la vita, la vita tutta, se non una successione interminabile di momenti di equilibrio persi e ritrovati, sempre diversi, ma sempre ricostituiti, come un flusso incessante di nuovi aggiustamenti che si dipartono l’un dall’altro? L’oro è il colore del volo.
«MONT’ORO» è un progetto espositivo curato da Guglielmo Gigliotti per la galleria Montoro 12 Contemporary Art, galleria sita a Roma nell’antico Palazzo Montoro. Il progetto è costituito da tre mostre bi-personali, che si svolgeranno tra febbraio e giugno. Dopo l’esposizione di Gregorio Botta ed Emmanuele De Ruvo, seguiranno le mostre di Simone Cametti e Marina Paris, e, ancora, di Bruna Esposito con Pietro Fortuna. L’idea della mostra è figlia di un piccolo segno, un apostrofo malandrino che ha diviso in due il nome Montoro, suscitando visioni: la montagna, l’oro, l’arte come enigmatico «palazzo»
Guglielmo Gigliotti
Per Botta, la cui arte è scritta sull’acqua come il nome di John Keats sulla sua tomba, priorità non è tanto trovare le forme, quanto il perderle. Anzi, in lui il possesso coincide proprio con l’abbandono. L’oro di Botta è quindi in quel senso di nostalgia felice che la sua arte imprime nella nostra coscienza, stanca di aggrapparsi a illusioni di certezza, e affamata di ampiezza e libertà. La cera, la fiamma, il flusso d’acqua, il vetro trasparente, la scrittura che svanisce, sono tutti non-luoghi della mente, in cui l’assenza di un centro assurge a opportunità di volo, a religione del vuoto, a pienezza della poesia. La magia di Botta è nel trasformare la materia in sogno, come per gli alchimisti era quella di trasmutare il piombo in oro, intesa come allegoria del perfezionamento spirituale. In Botta la materia sogna il suo opposto, l’immaterialità. E noi, che di materie siam fatti, sogniamo, guidati da Botta, l’oro che da sempre conteniamo.
Ma per gli alchimisti, che erano cercatori del profondo, lo stadio spirituale dell’oro corrispondeva, in termini filosofici, al raggiungimento della fusione degli opposti, per la percezione della grande unità che sostiene e innerva la vita. E’ questo che spinge Emmanuele De Ruvo a perseguire nelle sue sculture il bilico perfetto, il bilanciamento assoluto e la quiete che reca l’equilibrio. E l’equilibrio null’altro è che la conciliazione di forze contrapposte, per l’affermazione della vita come forza in equilibrio. Ma essendo vivo, questo equilibrio è anche precario, la sua oggettivazione un miracolo transeunte. Nulla di astratto e metafisico, infatti, nelle lastre di marmo o nelle macchine da scrivere sostenute da esili fogli di carta e nella giustapposizione di magneti di forza contraria, o nei marchingegni dove tutto è sempre sul punto di perdere l’incanto del bilanciamento perfetto. Cos’è la vita, la vita tutta, se non una successione interminabile di momenti di equilibrio persi e ritrovati, sempre diversi, ma sempre ricostituiti, come un flusso incessante di nuovi aggiustamenti che si dipartono l’un dall’altro? L’oro è il colore del volo.
«MONT’ORO» è un progetto espositivo curato da Guglielmo Gigliotti per la galleria Montoro 12 Contemporary Art, galleria sita a Roma nell’antico Palazzo Montoro. Il progetto è costituito da tre mostre bi-personali, che si svolgeranno tra febbraio e giugno. Dopo l’esposizione di Gregorio Botta ed Emmanuele De Ruvo, seguiranno le mostre di Simone Cametti e Marina Paris, e, ancora, di Bruna Esposito con Pietro Fortuna. L’idea della mostra è figlia di un piccolo segno, un apostrofo malandrino che ha diviso in due il nome Montoro, suscitando visioni: la montagna, l’oro, l’arte come enigmatico «palazzo»
Guglielmo Gigliotti
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