A Roma dal 17 aprile al 14 settembre
Al Museo Bilotti il mito e il sacro sotto la lente dell'arte contemporanea

Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea | Foto: © Monkeys Video Lab
Samantha De Martin
16/04/2025
Roma - Le opere delle collezioni capitoline di arte contemporanea escono dai depositi per tessere un dialogo con i capolavori del Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese e acquisire nuovi significati.
Accade dal 17 aprile al 14 settembre grazie al progetto espositivo di arte contemporanea intitolato Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea, a cura di Antonia Rita Arconti, Claudio Crescentini e Ileana Pansino, iniziativa promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Zètema Progetto Cultura.
“La mostra - spiega il curatore Claudio Crescentini - punta sulla valorizzazione delle collezioni di arte contemporanea presenti nei depositi del Macro, ma anche della Galleria d’Arte Moderna e del Museo di Roma, oltre a focalizzarsi sulla sacralità esaminata dal punto di vista degli artisti contemporanei. Un tema, quello della ritualità, che viene pertanto declinato attraverso sguardi diversi”.

Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea | Foto: © Monkeys Video Lab
Le trenta opere esposte, frutto di un’accurata selezione, indagano il modo in cui l’arte contemporanea esprime il rapporto dell’uomo con la dimensione del sacro, della spiritualità, del mito. Questi lavori eterogenei, tra dipinti, sculture, fotografie, grandi installazioni, accomunati da assonanze formali e poetiche che traggono ispirazione da un bagaglio di valori spirituali universalmente condivisi come la nascita, il dolore, l’espiazione, la sublimazione, la morte, la resurrezione, attraversano un percorso fluido che invita a riflettere sui grandi interrogativi che da sempre l'umanità si pone.
“Pur non essendo partita dal Giubileo - spiega Liliana Manzoino - l’idea di questa mostra si è sposata perfettamente con il periodo, addattandosi alla collezione del museo. Quando, uscendo da un deposito, l’opera incontra uno spazio, rinasce".
L’imponente trittico Orestiade di Paola Gandolfi (1998-99), celebrazione di uno dei momenti più alti della drammaturgia greca, affianca Goldfinger Miss di Mario Ceroli (1964). La silhouette della dea botticelliana, riprodotta serialmente su sette sagome di legno dorato e ridotta a puro contorno stereotipato, stimola una riflessione sui miti nella società contemporanea dominata dai mezzi di comunicazione di massa. Il concetto di tempio si esplica invece attraverso la monumentale Cattedrale di Alessandra Tesi (2002), ricompresa nella White Room con le sue 750mila perle di vetro opalescente montate su 650 fili, una soglia vibrante che immerge nella sacralità di un vero e proprio spazio liturgico. La circolarità e continuità dell’esistenza riecheggia nei tre moduli quadrati del trittico Universal Keyboard di Alessandro Valeri (2016), mentre con Our first port of call di Simon Roberts (2016), disorientante rielaborazione fotografica di cartoline e istantanee che ritraggono luoghi storici del paesaggio urbano, ci addentriamo in un luogo di culto.

Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea | Foto: © Monkeys Video Lab
Al piano superiore l’iconografia religiosa si riconosce nel volto di Maria di Andrea Fogli (1994), quattro stampe fotografiche su sfondo nero dove l’iconografia della Madonna, presentata sotto diverse angolazioni, produce un effetto evanescente e onirico. Se la scultura in bronzo Waiting for Godot di Marc Quinn (2006), scheletro umano a grandezza naturale ritratto in ginocchio e con le mani giunte in una inutile preghiera post mortem, esibisce la condizione di eterna attesa e speranza in cui si trova l’umanità, l’Angelo di Corrado Cagli (1958) e il San Sebastiano nero di Leoncillo (1963) offrono una riflessione sul tema del passaggio e sui tempi meditativi di percezione.
Ultima tappa la sezione Ritualità e idoli contemporanei, con due opere di Benedetta Bonichi dove i temi del sacro, della cerimonialità e della morte ritornano facendosi largo attraverso l’installazione To see in the dark. Banchetto di nozze (2002). La stampa di un’immagine ai raggi Xritrae una coppia di sposi e gli invitati attorno a una tavola imbandita con stoviglie e frutta vera, con gli occhi dell’artista che, in prospettiva, vedono cosa saremo. La figura dello scheletro, con la sua presenza conturbante, appare anche sull’immagine di un dollaro nell’opera Oh my god! del 2023, in prestito dalla collezione personale dell’artista, un monito a non cadere nell’adorazione degli idoli terreni.
Accade dal 17 aprile al 14 settembre grazie al progetto espositivo di arte contemporanea intitolato Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea, a cura di Antonia Rita Arconti, Claudio Crescentini e Ileana Pansino, iniziativa promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Zètema Progetto Cultura.
“La mostra - spiega il curatore Claudio Crescentini - punta sulla valorizzazione delle collezioni di arte contemporanea presenti nei depositi del Macro, ma anche della Galleria d’Arte Moderna e del Museo di Roma, oltre a focalizzarsi sulla sacralità esaminata dal punto di vista degli artisti contemporanei. Un tema, quello della ritualità, che viene pertanto declinato attraverso sguardi diversi”.

Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea | Foto: © Monkeys Video Lab
Le trenta opere esposte, frutto di un’accurata selezione, indagano il modo in cui l’arte contemporanea esprime il rapporto dell’uomo con la dimensione del sacro, della spiritualità, del mito. Questi lavori eterogenei, tra dipinti, sculture, fotografie, grandi installazioni, accomunati da assonanze formali e poetiche che traggono ispirazione da un bagaglio di valori spirituali universalmente condivisi come la nascita, il dolore, l’espiazione, la sublimazione, la morte, la resurrezione, attraversano un percorso fluido che invita a riflettere sui grandi interrogativi che da sempre l'umanità si pone.
“Pur non essendo partita dal Giubileo - spiega Liliana Manzoino - l’idea di questa mostra si è sposata perfettamente con il periodo, addattandosi alla collezione del museo. Quando, uscendo da un deposito, l’opera incontra uno spazio, rinasce".
L’imponente trittico Orestiade di Paola Gandolfi (1998-99), celebrazione di uno dei momenti più alti della drammaturgia greca, affianca Goldfinger Miss di Mario Ceroli (1964). La silhouette della dea botticelliana, riprodotta serialmente su sette sagome di legno dorato e ridotta a puro contorno stereotipato, stimola una riflessione sui miti nella società contemporanea dominata dai mezzi di comunicazione di massa. Il concetto di tempio si esplica invece attraverso la monumentale Cattedrale di Alessandra Tesi (2002), ricompresa nella White Room con le sue 750mila perle di vetro opalescente montate su 650 fili, una soglia vibrante che immerge nella sacralità di un vero e proprio spazio liturgico. La circolarità e continuità dell’esistenza riecheggia nei tre moduli quadrati del trittico Universal Keyboard di Alessandro Valeri (2016), mentre con Our first port of call di Simon Roberts (2016), disorientante rielaborazione fotografica di cartoline e istantanee che ritraggono luoghi storici del paesaggio urbano, ci addentriamo in un luogo di culto.

Tra Mito e Sacro. Opere dalle collezioni capitoline di arte contemporanea | Foto: © Monkeys Video Lab
Al piano superiore l’iconografia religiosa si riconosce nel volto di Maria di Andrea Fogli (1994), quattro stampe fotografiche su sfondo nero dove l’iconografia della Madonna, presentata sotto diverse angolazioni, produce un effetto evanescente e onirico. Se la scultura in bronzo Waiting for Godot di Marc Quinn (2006), scheletro umano a grandezza naturale ritratto in ginocchio e con le mani giunte in una inutile preghiera post mortem, esibisce la condizione di eterna attesa e speranza in cui si trova l’umanità, l’Angelo di Corrado Cagli (1958) e il San Sebastiano nero di Leoncillo (1963) offrono una riflessione sul tema del passaggio e sui tempi meditativi di percezione.
Ultima tappa la sezione Ritualità e idoli contemporanei, con due opere di Benedetta Bonichi dove i temi del sacro, della cerimonialità e della morte ritornano facendosi largo attraverso l’installazione To see in the dark. Banchetto di nozze (2002). La stampa di un’immagine ai raggi Xritrae una coppia di sposi e gli invitati attorno a una tavola imbandita con stoviglie e frutta vera, con gli occhi dell’artista che, in prospettiva, vedono cosa saremo. La figura dello scheletro, con la sua presenza conturbante, appare anche sull’immagine di un dollaro nell’opera Oh my god! del 2023, in prestito dalla collezione personale dell’artista, un monito a non cadere nell’adorazione degli idoli terreni.
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