Homo Mundus Minor
Dal 07 Febbraio 2017 al 11 Marzo 2017
Roma
Luogo: Galleria T293
Indirizzo: via Ripense 6
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 06 88980475
E-Mail info: info@t293.it
Sito ufficiale: http://t293.it
Etichette sociali e realtà artefatte o stereotipate sono oggetto d’indagine di opere inedite e recenti di Lucas Blalock, Simon Denny, Maggie Lee, Woody Othello, Hannah Perry, Lui Shtini e Anna Uddenberg. Ciascun artista gioca con identità costruite socialmente, alterando le forme che le compongono in modo così radicale da esporre la fragilità e vulnerabilità nascoste dietro il loro essere naif. L’alterazione creativa di stereotipi sociali su cui la mostra si basa provoca una moltitudine di fraintendimenti a cui tutti gli artisti coinvolti di fatto aspirano nelle loro pur diverse ricerche. Le trasformazioni in atto, e i conseguenti equivoci che queste opere suggeriscono consentono alle forme, ai corpi e agli oggetti ritratti di ripararsi di fronte allo sguardo intrusivo dei visitatori. La loro è una metamorfosi che sopraggiunge in seguito al tentativo di salvaguardare le ancora inespresse potenzialità delle singole identità, che potrebbero anche non volersi rivelare completamente, pur continuando a chiedere di essere guardate con occhi diversi.
Le fotografie di oggetti quotidiani di Lucas Blalock confondono ciò che si vede con ciò che è reale attraverso evidenti tracce di post-produzione poste sull’immagine originale, così da trasformare inevitabilmente anche l’identità di ciò che viene ritratto. In The Sleepers (2016), un letto vuoto con dei cuscini disposti solo su un lato diviene un giaciglio per due corpi distanti tra loro, visibili solo grazie alle goffe e veloci tracce rose lasciate dal pennello digitale. Suggerendo nuovi modi di guardare l’ordinario, l’artista usa intenzionalmente mezzi come Photoshop per assemblare visioni multiple in un’unica immagine, dando al tempo stesso prova dell’attitudine altamente pittorica con cui affronta la fotografia.
La nuova scultura di Simon Denny rappresenta la mappa della Libera Repubblica di Liberland, una nazione libertaria autoproclamata che si trova presumibilmente in una zona di sette chilometri in fase di negoziazione tra Croazia e Serbia. Nel tentativo di adottare una veste pubblica ufficiale Liberland ha già una propria moneta, francobolli, una bandiera e lo stemma. Per dimostrare l’esistenza di attività sociali nella neonata nazione, l’artista pone una seconda mappa sull’originale: essa raffigura il progetto architettonico vincitore di un recente bando per la colonizzazione di Liberland. La scultura di Denny sembra porre domande sempre più urgenti in Europa e oltre. Quanto vicino è il libertarianismo alla rinascita dell’estrema destra? Quali sono le implicazioni derivanti dall’ignorare l’odierna geopolitica nella ricerca di strutture finanziarie? Quale territorio –in senso letterale e figurato- i Techno-libertariani e la quota di estrema destra condivideranno nel prossimo futuro?
Il film Mommy (2015) di Maggie Lee è un documentario sulla storia personale dell’artista, e sulla perdita della madre. Nonostante sia divisa in capitoli, la storia si sviluppa attraverso un serie di sequenze che si succedono secondo un continuo processo di accumulazione di vari filmati, fotografie, testi, animazioni e suoni. I titoli dei capitoli e le ‘mood boards’ (letteralmente ‘tavole umorali’) che la compongono sono realizzati dall’artista grazie ad un software chiamato to.be. Proprio grazie all’assidua sovrapposizione d’immagini, suoni, umori e svariati materiali d’archivio, Lee fa in modo che lo spettatore si immerga nella narrazione con tutti i suoi sensi. In questo modo, l’artista riesce anche a padroneggiare la tensione tra la proiezione di qualcosa e la sua realtà, tra l’immagine di ciò è stato e la fisicità di ciò che resta.
Le iper-reali sculture in ceramica di Woody Othello ritraggono oggetti quotidiani come un pettine, un porta sapone, una maniglia e un porta asciugamani. Mostrando anche gli urti e le tracce che stimoli esterni hanno lasciato su questi oggetti ormai deteriorati, Othello dà forma a rappresentazioni fisiche di stati emotivi. Infatti, l’artista è solito inserire tali oggetti all’interno d’installazioni fortemente oniriche, reminiscenti di ambienti cinematografici e di realtà costruite. L’essere senza speranza di questi poveri e grotteschi oggetti rivela la loro storia che, secondo le parole dell’artista, parla “della tensione che si crea quando stimoli esterni entrano in conflitto con desideri personali”.
Nel film Baby Brain (016) di Hannah Perry, il conflitto derivante dai condizionamenti sociali prende le forme di un’intima ricerca sul proprio sé, e su come questo sé possa arrivare a percepirsi come un soggetto identificato per il proprio sesso. Il film si compone di un’immersiva sequenza di varie scene ritraenti la quotidianità dell’artista e registrate da lei con diversi strumenti, oppure trovati su YouTube o Snapchat. Questi diversi filmati vengono poi composti all’interno di una narrazione tutta personale: in questo caso, nucleo del film è la visita e scoperta di Los Angeles nel momento in cui l’artista cerca di superare la fine di una relazione. Tutte le immagini sono poi alterate dalla Perry al fine di adattare ogni sequenza al ritmo dei diversi suoni che si sovrappongono nel film: la sua voce nelle veci di narratore, registrazioni di campo, estratti di conversazioni su teorie femministe e la musica che lei stessa compone per i suoi film.
Lavorando per lo più con formati da ritrattistica solo al fine di sabotare la convenzioni del genere, Lui Shtini crea piccoli dipinti le cui forme astratte indubbiamente rievocano fattezze umane, come facce, baffi e genitali. Tuttavia, questi corpi e volti dalle sembianze totemiche non rivelano mai completamente la propria identità, continuando ad oscillare tra l’ovvio e l’occulto. Trattando queste fisicità come mezzi per penetrare nel profondo della psiche, le opere di Shtini sono pensate per suscitare un’identificazione molto personale dello spettatore con l’immagine ritratta, obbligando chiunque guardi queste opere a perdersi nelle dense pennellate che le compongono.
Attraverso un’analisi retroattiva della cultura consumistica Anna Uddenberg indaga il modo in cui la concezione, spiritualità ed esposizione del corpo si mescolano alla produzione della soggettività prodotta dalle nuove tecnologie e dalle nuove forme di diffusione delle notizie. La sua pratica artistica esplora il rapporto tra classe, gusto, e sessualità, e mentre prende in considerazione anche diversi, precedenti studi sulla teoria del gender spinge le domande che li nutrono verso nuovi e intensamente materici territori.
Opening 7 Febbraio h 19
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