La misteriosa testimonianza riemersa da uno scavo
L'enigma della vasca di Malafede: cinque secoli di storia in un ritrovamento archeologico alle porte di Roma
Veduta complessiva della vasca monumentale e dell'area di scavo in via di Malafede a Roma | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Samantha De Martin
09/09/2020
Roma - Cinque secoli di storia incastonati in una monumentale vasca dal ventre di argilla mista a legno, in un insediamento che conta otto secoli, adagiato su un fecondo intreccio di vie d’acqua e di terra, poco fuori Roma.
Mentre lungo la via Ostiense scivola il consueto via vai di automobili e tir, la soprintendente Speciale di Roma, Daniela Porro, racconta, assieme agli archeologi, l’ultimo affascinante enigma di una città che, a quanto pare, ha ancora infinite storie da raccontare.
Questa volta la grande protagonista è una vasca lunga 48 metri e larga 12, profonda all’incirca 180 cm, costruita intorno al IV secolo a.C. e utilizzata fino al I d.C, chiusa, su un lato, da una rampa che doveva servire ad agevolare l’ingresso e l’uscita. Di cosa? Non è ancora chiaro. Di uomini, oggetti, o forse di entrambi.
La rampa della vasca rinvenuta in via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Ed è probabilmente l’enigma che ruota attorno all’impiego di questa straordinaria testimonianza archeologica rinvenuta in via di Malafede, nel quadrante sud-ovest della città, ad accrescerne il fascino.
“Roma offre continue sorprese - ha commentato la Soprintendente Speciale Daniela Porro -. Questo scavo, condotto da poco più di un anno su un’area vastissima, caratterizzata dalla grande presenza di acqua, ha restituito un ampio complesso di strutture. Si tratta di un altro successo dell’archeologia preventiva, essenziale per non disperdere il nostro passato e tutelare un territorio che a breve sarà valorizzato”.
Oggi il monumentale bacino si presenta pieno d’acqua, con un fondo in terra battuta, dalla consistenza argillosa. Questa sorta di pantano ha permesso ai secoli di conservare un’altra straordinaria presenza rinvenuta all’interno della vasca, ma ancora sommersa e invisibile a chi guarda. Si tratta di legni lavorati, alcuni anche di grandi dimensioni, la cui funzione resta misteriosa.
Un'iscrizione in alfabeto etrusco rinvenuta su un legno | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
“Abbiamo rinvenuto legni di tipo decorativo e strutturale - spiegano gli archeologi - come ad esempio una trave di 20 cm x 20, ma anche legnetti più piccoli, come un frammento ligneo, tra i primi reperti recuperati, con la scritta in alfabeto etrusco, all’epoca in uso anche dai romani. Le loro estremità, tagliate a freccia e con precisione, rivelano una grande raffinatezza nella lavorazione”.
Proprio lo studio di questi materiali - che saranno presto sotratti alla consistenza argillosa della vasca per essere sottoposti a indagine - potrebbero svelare la funzione della struttura che costituisce probabilmente un unicum per l’epoca di costruzione, per le sue dimensioni, per la presenza dello scivolo, e ancora dei possenti blocchi di tufo che la delimitano, per l’assenza di una pavimentazione di fondo, realizzata in apparenza in terra battuta.
La funzione di questa costruzione, che doveva far parte di un sistema per lo sfruttamento delle acque, è ancora in fase di studio. Le ipotesi al vaglio sono molteplici, visto che la struttura potrebbe essere stata utilizzata come vasca di decantazione, come recinto rituale, contenitore di concime animale o per la raccolta di acqua per uso agricolo o produttivo.
Forse la vasca potrebbe aver fatto parte di un’area polifunzionale con valenza sacra, considerato il rinvenimento di lucerne o i numerosi frammenti in terracotta dipinti, come la vittoria alata reggente una corona.
Una Vittoria alata ritrovata nello scavo di via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
“Al suo interno, anche in passato, la vasca conteneva acqua - spiega Emanuele Giannini, archeologo Eos Arc S.r.l. - ma non sappiamo se il suo livello fosse costante. Quello che vediamo oggi è certamente il livello più basso”.
E poi ci sono i due fori di adduzione, su uno dei quattro angoli, che farebbero pensare a un ingresso e a un’uscita delle acque.
Un’area che racconta otto secoli
La misteriosa vasca è solo uno dei tanti ritrovamenti frutto delle indagini di archeologia preventiva di via di Malafede, iniziate a giugno del 2019 sotto la direzione della Soprintendenza Speciale di Roma e condotte da Eos Arc. Queste indagini hanno interessato una porzione di territorio sottoposta a tutela dal 1997: oltre 20.000 metri quadrati tra via di Malafede, la linea ferroviaria Roma-Lido e via Ostiense.
“Ci troviamo in un luogo topograficamente importante in età antica - spiega Barbara Rossi, responsabile scientifico per le indagini archeologiche della Soprintendenza Speciale di Roma -. Il fosso di Malafede, per secoli rimasto navigabile verso l’interno, ha a lungo rappresentato un confine naturale tra i territori di Roma e quelli della colonia ostiense. Lo scavo, in tutta la sua grandezza, ci parla di un luogo importante che ha avuto vita per oltre otto secoli. L’approfondito studio dei materiali che questa indagine continua a restituirci - legni, terrecotte, oggetti metallici, iscrizioni - ci potrà svelare i segreti di questo straordinario angolo del territorio di Roma”.
Un impianto produttivo nello scavo di via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Quello che è emerso dallo scavo - e che al momento solo gli addetti ai lavori possono scorgere passeggiando tra i resti - è infatti, una complessa stratificazione di edifici e costruzioni parte di un insediamento che, fin dalla sua nascita, occupava la colonia di Ostia, fondata da Roma, anche se amministrativamente staccata dall’Urbe. Quello che è certo è che, verso la fine del III secolo a.C l’area ha conosciuto un’importante modifica, essendo la costruzione più antica completamente spoliata, colmata e rasata con spessi strati di terra di riporto per un radicale cambio di destinazione d’uso.
All’originario luogo di culto si sovrappose un complesso con funzione produttiva o commerciale, mentre la grande vasca rimase ancora attiva.
Un vaso rinvenuto durante lo scavo in via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Per motivi ancora poco chiari, il complesso formato dalla vasca e dagli edifici venne abbandonato nel I secolo a.C., mentre all’età augustea risale la costruzione del vicino acquedotto Ostiense che dà avvio a un nuovo quartiere con finalità produttive.
Le altre strutture adiacenti alla vasca
Non lontano dalla vasca, un piccolo sacello con un altare interno ha restituito materiali databili fino al IV secolo d.C. e un probabile portico. Ad accomunare le strutture dell’intera area di scavo è tuttavia la tecnica costruttiva, con murature, realizzate con tegole, al posto dei mattoni, impilate specularmente, in modo da ottenere uno spazio vuoto tra l’una e l’altra, un procedimento impiegato in zone con una forte presenza di acqua di falda o di risalita dal mare.
E mentre è in fase avanzata il progetto di valorizzazione in situ dei più importanti ritrovamenti, al fine di raccontare le diverse epoche e i vari insediamenti che hanno caratterizzato la zona, si attende che il legno ritrovato nella vasca restituisca un segnale. E magari, chissà, l’esito sarà sorprendente.
Una veduta dall'alto dell'area di scavo in via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Leggi anche:
• Riemerge la tomba della Pellegrina, un frammento di vita medievale a Roma
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Questa volta la grande protagonista è una vasca lunga 48 metri e larga 12, profonda all’incirca 180 cm, costruita intorno al IV secolo a.C. e utilizzata fino al I d.C, chiusa, su un lato, da una rampa che doveva servire ad agevolare l’ingresso e l’uscita. Di cosa? Non è ancora chiaro. Di uomini, oggetti, o forse di entrambi.
La rampa della vasca rinvenuta in via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Ed è probabilmente l’enigma che ruota attorno all’impiego di questa straordinaria testimonianza archeologica rinvenuta in via di Malafede, nel quadrante sud-ovest della città, ad accrescerne il fascino.
“Roma offre continue sorprese - ha commentato la Soprintendente Speciale Daniela Porro -. Questo scavo, condotto da poco più di un anno su un’area vastissima, caratterizzata dalla grande presenza di acqua, ha restituito un ampio complesso di strutture. Si tratta di un altro successo dell’archeologia preventiva, essenziale per non disperdere il nostro passato e tutelare un territorio che a breve sarà valorizzato”.
Oggi il monumentale bacino si presenta pieno d’acqua, con un fondo in terra battuta, dalla consistenza argillosa. Questa sorta di pantano ha permesso ai secoli di conservare un’altra straordinaria presenza rinvenuta all’interno della vasca, ma ancora sommersa e invisibile a chi guarda. Si tratta di legni lavorati, alcuni anche di grandi dimensioni, la cui funzione resta misteriosa.
Un'iscrizione in alfabeto etrusco rinvenuta su un legno | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
“Abbiamo rinvenuto legni di tipo decorativo e strutturale - spiegano gli archeologi - come ad esempio una trave di 20 cm x 20, ma anche legnetti più piccoli, come un frammento ligneo, tra i primi reperti recuperati, con la scritta in alfabeto etrusco, all’epoca in uso anche dai romani. Le loro estremità, tagliate a freccia e con precisione, rivelano una grande raffinatezza nella lavorazione”.
Proprio lo studio di questi materiali - che saranno presto sotratti alla consistenza argillosa della vasca per essere sottoposti a indagine - potrebbero svelare la funzione della struttura che costituisce probabilmente un unicum per l’epoca di costruzione, per le sue dimensioni, per la presenza dello scivolo, e ancora dei possenti blocchi di tufo che la delimitano, per l’assenza di una pavimentazione di fondo, realizzata in apparenza in terra battuta.
La funzione di questa costruzione, che doveva far parte di un sistema per lo sfruttamento delle acque, è ancora in fase di studio. Le ipotesi al vaglio sono molteplici, visto che la struttura potrebbe essere stata utilizzata come vasca di decantazione, come recinto rituale, contenitore di concime animale o per la raccolta di acqua per uso agricolo o produttivo.
Forse la vasca potrebbe aver fatto parte di un’area polifunzionale con valenza sacra, considerato il rinvenimento di lucerne o i numerosi frammenti in terracotta dipinti, come la vittoria alata reggente una corona.
Una Vittoria alata ritrovata nello scavo di via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
“Al suo interno, anche in passato, la vasca conteneva acqua - spiega Emanuele Giannini, archeologo Eos Arc S.r.l. - ma non sappiamo se il suo livello fosse costante. Quello che vediamo oggi è certamente il livello più basso”.
E poi ci sono i due fori di adduzione, su uno dei quattro angoli, che farebbero pensare a un ingresso e a un’uscita delle acque.
Un’area che racconta otto secoli
La misteriosa vasca è solo uno dei tanti ritrovamenti frutto delle indagini di archeologia preventiva di via di Malafede, iniziate a giugno del 2019 sotto la direzione della Soprintendenza Speciale di Roma e condotte da Eos Arc. Queste indagini hanno interessato una porzione di territorio sottoposta a tutela dal 1997: oltre 20.000 metri quadrati tra via di Malafede, la linea ferroviaria Roma-Lido e via Ostiense.
“Ci troviamo in un luogo topograficamente importante in età antica - spiega Barbara Rossi, responsabile scientifico per le indagini archeologiche della Soprintendenza Speciale di Roma -. Il fosso di Malafede, per secoli rimasto navigabile verso l’interno, ha a lungo rappresentato un confine naturale tra i territori di Roma e quelli della colonia ostiense. Lo scavo, in tutta la sua grandezza, ci parla di un luogo importante che ha avuto vita per oltre otto secoli. L’approfondito studio dei materiali che questa indagine continua a restituirci - legni, terrecotte, oggetti metallici, iscrizioni - ci potrà svelare i segreti di questo straordinario angolo del territorio di Roma”.
Un impianto produttivo nello scavo di via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Quello che è emerso dallo scavo - e che al momento solo gli addetti ai lavori possono scorgere passeggiando tra i resti - è infatti, una complessa stratificazione di edifici e costruzioni parte di un insediamento che, fin dalla sua nascita, occupava la colonia di Ostia, fondata da Roma, anche se amministrativamente staccata dall’Urbe. Quello che è certo è che, verso la fine del III secolo a.C l’area ha conosciuto un’importante modifica, essendo la costruzione più antica completamente spoliata, colmata e rasata con spessi strati di terra di riporto per un radicale cambio di destinazione d’uso.
All’originario luogo di culto si sovrappose un complesso con funzione produttiva o commerciale, mentre la grande vasca rimase ancora attiva.
Un vaso rinvenuto durante lo scavo in via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
Per motivi ancora poco chiari, il complesso formato dalla vasca e dagli edifici venne abbandonato nel I secolo a.C., mentre all’età augustea risale la costruzione del vicino acquedotto Ostiense che dà avvio a un nuovo quartiere con finalità produttive.
Le altre strutture adiacenti alla vasca
Non lontano dalla vasca, un piccolo sacello con un altare interno ha restituito materiali databili fino al IV secolo d.C. e un probabile portico. Ad accomunare le strutture dell’intera area di scavo è tuttavia la tecnica costruttiva, con murature, realizzate con tegole, al posto dei mattoni, impilate specularmente, in modo da ottenere uno spazio vuoto tra l’una e l’altra, un procedimento impiegato in zone con una forte presenza di acqua di falda o di risalita dal mare.
E mentre è in fase avanzata il progetto di valorizzazione in situ dei più importanti ritrovamenti, al fine di raccontare le diverse epoche e i vari insediamenti che hanno caratterizzato la zona, si attende che il legno ritrovato nella vasca restituisca un segnale. E magari, chissà, l’esito sarà sorprendente.
Una veduta dall'alto dell'area di scavo in via di Malafede | Courtesy Soprintendenza Speciale di Roma
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