Infinito Presente. Elogio della relazione
Dal 23 Giugno 2014 al 10 Novembre 2014
Trento
Luogo: Museo Diocesano Tridentino
Indirizzo: piazza Duomo 18
Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì 9.30-12.30 / 14.30-18; sabato e domenica 10-13 / 14-18. Dal 1 ottobre lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato 9.30-12.30 / 14-17.30; domenica 10-13 / 14-18
Curatori: Andrea Dall’Asta, Domenica Primerano, Riccarda Turrina
Costo del biglietto: € 3
Telefono per informazioni: +39 0461 234419
E-Mail info: info@museodiocesanotridentino.it
Sito ufficiale: http://www.museodiocesanotridentino.it
Ma al prevalere del ruolo ‘strumentale’ dell’arte sacra non può che corrispondere il progressivo depotenziamento del suo carattere simbolico. Indebolendo la capacità dell’immagine di rinviare ad una molteplicità di significati, così da attivare percorsi interpretativi diversificati, l’incontro tra uomo e Dio attraverso l’arte si fa sempre più complesso e improbabile. Infinito Presente. Elogio della relazione pone l’accento sulla dimensione dell’incontro che l’arte può favorire, piuttosto che su un suo improbabile ruolo persuasivo. La mostra intende recuperare il carattere di limen dell’immagine: un diaframma che schiude la relazione tra finito e infinito, visibile e invisibile, che apre al dialogo con la dimensione spirituale, profonda, della vita di ogni uomo. E lo fa focalizzando l’attenzione su un tema centrale, quanto complesso: la Croce. Divenuta nella storia dell’Occidente simbolo per eccellenza dell’identità cristiana, essa racchiude un significato universale che riguarda tutti, indipendentemente dalla singola scelta di fede: evocando la sofferenza, il dono gratuito della vita di Cristo per la salvezza dell’uomo, la Croce traccia linee di congiunzione tra umano e divino, materiale e spirituale, morte e vita.
Apre l’esposizione la croce (2010) di Hidetoshi Nagasawa, composta da otto elementi in marmo di Carrara e acciaio che, da un lato, poggiano a terra e dall’altro si sollevano verso l’alto: l’opera del maestro giapponese evoca l’intensa relazione tra finito e infinito, contingente ed eterno, provvisorio e assoluto. Accostati come nel gioco dello shangai, danno vita ad una costruzione armonica, ma dall’equilibrio instabile. La croce di Nagasawa allude alla precarietà del vivere contemporaneo, che rende fragile ogni relazione. Invita a custodire con cura la dimensione dell’incontro, tra sé e l’altro, tra cielo e terra, tra uomo e Dio.
Richiama i Flügelaltäre esposti nel percorso permanente il trittico (2010) di Mimmo Paladino che propone, al centro, quasi adagiato su un grande lenzuolo popolato da elementi simbolici, la figura perfettamente verticale del Christus patiens: egli apre le lunghissime braccia in un gesto che sembra voler avvolgere l’osservatore.
È composta di cinque pezzi, secondo l’antica tecnica ad encausto, la spoglia, essenziale croce bianca (2010) di Mats Bergquist: in questa, come in altre opere, l’artista di origine svedese, noto per le interessanti installazioni realizzate in alcune chiese, come San Pietro a Colonia, trasmette un senso di riposo e di pace. Il bianco rimanda alla purezza, ma anche alla luce della rinascita a nuova vita; una luce che l’opera accoglie e rifrange verso l’osservatore.
Altrettanto essenziale e luminosa è la croce processionale del XIII secolo in cristallo di rocca, una pietra spesso utilizzata nell’oreficeria sacra per le sue particolari valenze simboliche: Rabano Mauro, che la fa derivare dall’acqua, stabilisce un parallelo tra lo splendore del cristallo, puro e incorruttibile, e l’incarnazione di Cristo.
Realizzata riutilizzando materiali abbandonati, sottratti così all’oblio e alla distruzione, l’opera di Lawrence Carroll è costituita da una sorta di ‘armadio’ ricoperto da una tela: l’allusione è al sepolcro, a un contenitore che diventa ‘urna’, luogo misterioso e segreto che si apre all’interrogazione di un ‘oltre’. Nell’opera è presente anche un paio di scarpe consunte, una delle quali contenente alcune croci, a evocare il cammino della vita segnato dal dolore, la lotta dell’umanità, tra bene e male, vita e morte, oscurità e luce.
L’installazione di Mirco Marchelli (2013) comprende due elementi: un foglio sopra altri fogli che fanno da supporto alla scrittura, quasi fossero lettere aperte pronte a ricevere la narrazione di ciascun fedele, e una semplice croce di umile legno grezzo, rivestita di stoffe colorate, come quelle dei vestiti che ciascuno di noi indossa. La Croce non consegna una lettera morta: è annuncio che entra nella vita dell’uomo.
All’opera di Marchelli viene accostata una preziosa croce di pianeta a ricamo degli inizi del XV secolo che presenta, entro corone intrecciate, il pellicano, il leone e l’aquila, animali da sempre legati alla simbologia cristiana.
Seguono tre bozzetti (2011) di Ettore Spalletti per la preparazione dell’Evangeliario Ambrosiano: quello per l’Esaltazione della Croce, il Frontespizio e per le feste di Tutti i Santi. Un artista non figurativo accoglie la sfida, eseguendo opere destinate alla liturgia: anziché tradurre in immagine in modo didascalico soggetti iconograficamente tradizionali, Spalletti utilizza il colore, la cui capacità evocativa può indurre l’osservatore a rapportarsi con la dimensione più profonda della vita. Ai bozzetti è associato un Evangeliario antico.
Come a delimitare uno spazio architettonico, la croce dell’artista trentina Anna Maria Gelmi, realizzata su un prezioso supporto di carta, conduce nella dimensione del sacro attraverso la semplicità delle forme e la simbologia del colore. L’immagine si staglia al centro della composizione, contrapponendo alla linearità del perimetro la liricità di una materia dinamicamente espressiva.
Vengono quindi presentate alcune acqueforti di Georges Rouault: Christ en Croix (1936) rivoluziona l’iconografia tradizionale della Crocifissione. La Madonna e San Giovanni non vengono raffigurati ai piedi della croce, ma quasi all’altezza di Gesù, in una vicinanza fisica tra Cristo e l’uomo accentuata dalla ristretta spazialità.
Le acqueforti entrano in dialogo con un piccolo Christus patiens in bronzo del XIII secolo.
All’opera dell’artista francese viene inoltre accostata la Crocifissione (1929) del noto artista trentino, scomparso a Parigi nel 1931: Tullio Garbari. In questa immagine, esempio di uno sguardo che non perde di realismo nel parlare di dolore e morte, l’artista suggerisce che l’albero della croce è albero della vita; che questo inizio tragico non è definitivo.
Le Gocce d’acqua (1975) di Kenjro Azuma, allievo di Marino Marini, raccontano l’incontro tra cultura Zen e cultura europea: nella semplicità di una goccia d’acqua, nella sua fuggevole e provvisoria forma, è racchiuso il richiamo al percorso di nascita, vita, morte e rinascita in forme sempre nuove. Un percorso di salvezza che il sacrificio di Cristo prepara.
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