La rotta della speranza. Ivo Batocco
Dal 09 Novembre 2013 al 08 Dicembre 2013
Roma
Luogo: Museo di Roma in Trastevere
Indirizzo: piazza Sant'Egidio 1/b
Orari: da martedì a domenica 10-20
Curatori: Alberto Mazzacchera
Enti promotori:
- Roma Capitale
- Assessorato alla Cultura Creatività e Promozione Artistica - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Costo del biglietto: intero € 7.50, ridotto € 6.50; residenti € 6.50/ € 5.50
Telefono per informazioni: +39 06 0608
E-Mail info: museodiroma.trastevere@comune.roma.it
Sito ufficiale: http://www.museodiromaintrastevere.it
Un mostra di dipinti su tela e chine interamente dedicata all'emigrazione italiana e sammarinese è questa di Ivo Batocco, già esposta nell'ancien Musée de Peinture di Grenoble (4-19 maggio 2013) e nel prestigioso chiostro della monumentale ex Abbaye de Neumünster della città di Lussemburgo (26 luglio - 23 settembre 2013). Una piccola selezione di opere che compongono la mostra è stata presentata in anteprima nel Museo dell'Emigrante di San Marino (20 ottobre - 15 novembre 2012) e due opere sono entrate a far parte di collezioni museali permanenti. In Italia questa mostra è presentata nel Museo di Roma in Trastevere ed è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
Tema complesso, memoria ineludibile e necessaria è la storia dell’emigrazione italiana: quella che dal 1861 al 1985 fa registrare circa 29 milioni di partenze di italiani e sammarinesi.
La storia della presenza e della dispersione degli italiani nel mondo ha radici antiche e ragioni non esclusivamente economiche, ma solo dal 1852 (anno in cui a Genova si costituisce la Compagnia Transatlantica per la navigazione a vapore con le Americhe) assume i connotati del tutto nuovi di fuga di massa da un’Italia rurale poverissima e arretrata.
Si stima che solo nel periodo 1876-1915 partirono circa 14 milioni di cittadini (con una punta nel 1913 di oltre 870.000 partenze). Un dato impressionante se si calcola che nel 1900 l’Italia aveva circa 33,5 milioni di abitanti.
Accanto a quella che è definita la grande emigrazione orientata in larga parte verso le Americhe (tra la fine del XIX sec. e gli anni Trenta del XX sec.) prende corpo fin dall'immediato dopoguerra quella europea che intesa dai migranti italiani prevalentemente quale emigrazione temporanea si rivolge in particolare verso Francia, Svizzera, Belgio e Germania.
Il Protocollo Italo-Belga firmato il 23 giugno 1946 se da un lato consente all'Italia di avere energia per la ricostruzione sotto forma di carbone, dall'altro prevede il trasferimento di 50.000 italiani nelle miniere del Belgio. Queste massicce partenze davano ad un'Italia povera non solo il carbone ma anche stabilità interna attraverso l'uscita pianificata dei giovani disoccupati: era infatti un modo pratico per evitare pericolosi conflitti sociali e sollevazioni popolari. I lavoratori italiani che venivano accettati dopo le visite mediche non potevano mutare il loro contratto nei primi cinque anni: o si lavorava in miniera e nelle cave o si era costretti ad accettare il rimpatrio. Arrivati in Belgio nel primo periodo furono alloggiati nei campi che erano stati di prigionia con le baracche in lamiera per anni senza alcuna possibilità di ricongiungimento familiare. Dopo cinque anni di miniera trovare un lavoro altrove come in fabbrica era difficilissimo perché i giovani erano spesso già compromessi nella loro salute, e in miniera si cominciava a lavorare di nascosto anche a 11, 12 13 anni.
Una migrazione di tali proporzioni, capace di creare un’altra Italia fuori dai propri confini, fu così estesa e capillare da coinvolgere nella medesima esperienza tanta parte del popolo italiano e sammarinese. Per tali motivi la partenza con valigie di cartone con poca misera roba, il pianto delle madri quando non delle mogli, il doloroso distacco dalla propria terra, le molteplici storie individuali di ricerca della felicità sono frammenti di memoria ormai collettiva che coinvolgono direttamente innumerevoli famiglie tra le quali anche quella del pittore Ivo Batocco: l’Autore della mostra.
Dopo aver affrontato, con quella padronanza della tecnica che gli è propria i temi del francescanesimo (grazie anche ad importanti committenze dell'Ordine dei Frati Minori - OFM) Ivo Batocco si è accostato al popolo dei senza storia: i clochard. Da qui (con la mostra Le vie della solitudine. Umanità senza traccia del 2008) era quasi naturale che Egli si spostasse a scandagliare l’emigrazione italiana avendo quale elemento comune la povertà seppure con esiti e accenti totalmente diversi.
Per la stesura delle opere della mostra Batocco utilizza la forza della sua pittura figurativa fatta di strati di colore sovrapposti qui accentuata da evidenti, ricercati contrasti luminosi e non rinuncia ad esprimere sui fondi di molte delle tele il ricordo dei cromatismi maturato nel dinamico periodo della ricerca materica creando in molti casi un’efficace quanto opportuna decontestualizzazione di scene di storie individuali che ormai appartengono ad un vissuto più vasto: alla storia del popolo italiano e sammarinese.
Le trentatre opere (a cui si aggiungono le chine e i disegni) sono state realizzate da Ivo Batocco in più anni a partire dal 2009 dopo aver eseguito una paziente ricerca preparatoria sui materiali (testi, foto, video e film) attinenti l'emigrazione italiana.
Le opere in mostra narrano dunque del lungo viaggio della speranza, della macerante nostalgia di chi parte ma anche della promessa di una nuova vita. Raccontano dell’angosciante povertà e della speranza in un futuro nuovo, di un possibile riscatto sociale e del coraggio di affrontare con pochi mezzi linguistici, culturali ed economici società ben più complesse del mondo spesso arcaico che si lasciava.
Eppure in Italia la memoria dell'emigrazione è stata volutamente rimossa: forse troppo fastidiosa perché ricordava quella povertà endemica in tante parti della penisola dalla quale ci si era in fretta liberati senza soffermarsi a comprendere appieno le ragioni e i punti di forza di tale miracolo economico.
La mostra non è affatto un vacuo esercizio di memoria collettiva: la sequenza delle opere di Batocco rammenta, come in uno specchio rovesciato, anche il fenomeno attualissimo e a tratti tragico dei migranti.
Riprende tale concetto Claude Frisoni (Directeur Génèral - Centre CultureldeRencontreAbbaye de Neumünster), nella presentazione della mostra in Lussemburgo del 25 luglio 2013, annotando: "Et en tendant ce miroir, Batocco nous fait réfléchir à ces mouvements migratoires qui, depuis les premiers hommes quittant la corne de l’Afrique pour peupler la planète, ont façonné une humanité diverse et pourtant unique. Tous différents et tous issus de la même espèce. Tous différents et tous membres de la même famille".
Tema complesso, memoria ineludibile e necessaria è la storia dell’emigrazione italiana: quella che dal 1861 al 1985 fa registrare circa 29 milioni di partenze di italiani e sammarinesi.
La storia della presenza e della dispersione degli italiani nel mondo ha radici antiche e ragioni non esclusivamente economiche, ma solo dal 1852 (anno in cui a Genova si costituisce la Compagnia Transatlantica per la navigazione a vapore con le Americhe) assume i connotati del tutto nuovi di fuga di massa da un’Italia rurale poverissima e arretrata.
Si stima che solo nel periodo 1876-1915 partirono circa 14 milioni di cittadini (con una punta nel 1913 di oltre 870.000 partenze). Un dato impressionante se si calcola che nel 1900 l’Italia aveva circa 33,5 milioni di abitanti.
Accanto a quella che è definita la grande emigrazione orientata in larga parte verso le Americhe (tra la fine del XIX sec. e gli anni Trenta del XX sec.) prende corpo fin dall'immediato dopoguerra quella europea che intesa dai migranti italiani prevalentemente quale emigrazione temporanea si rivolge in particolare verso Francia, Svizzera, Belgio e Germania.
Il Protocollo Italo-Belga firmato il 23 giugno 1946 se da un lato consente all'Italia di avere energia per la ricostruzione sotto forma di carbone, dall'altro prevede il trasferimento di 50.000 italiani nelle miniere del Belgio. Queste massicce partenze davano ad un'Italia povera non solo il carbone ma anche stabilità interna attraverso l'uscita pianificata dei giovani disoccupati: era infatti un modo pratico per evitare pericolosi conflitti sociali e sollevazioni popolari. I lavoratori italiani che venivano accettati dopo le visite mediche non potevano mutare il loro contratto nei primi cinque anni: o si lavorava in miniera e nelle cave o si era costretti ad accettare il rimpatrio. Arrivati in Belgio nel primo periodo furono alloggiati nei campi che erano stati di prigionia con le baracche in lamiera per anni senza alcuna possibilità di ricongiungimento familiare. Dopo cinque anni di miniera trovare un lavoro altrove come in fabbrica era difficilissimo perché i giovani erano spesso già compromessi nella loro salute, e in miniera si cominciava a lavorare di nascosto anche a 11, 12 13 anni.
Una migrazione di tali proporzioni, capace di creare un’altra Italia fuori dai propri confini, fu così estesa e capillare da coinvolgere nella medesima esperienza tanta parte del popolo italiano e sammarinese. Per tali motivi la partenza con valigie di cartone con poca misera roba, il pianto delle madri quando non delle mogli, il doloroso distacco dalla propria terra, le molteplici storie individuali di ricerca della felicità sono frammenti di memoria ormai collettiva che coinvolgono direttamente innumerevoli famiglie tra le quali anche quella del pittore Ivo Batocco: l’Autore della mostra.
Dopo aver affrontato, con quella padronanza della tecnica che gli è propria i temi del francescanesimo (grazie anche ad importanti committenze dell'Ordine dei Frati Minori - OFM) Ivo Batocco si è accostato al popolo dei senza storia: i clochard. Da qui (con la mostra Le vie della solitudine. Umanità senza traccia del 2008) era quasi naturale che Egli si spostasse a scandagliare l’emigrazione italiana avendo quale elemento comune la povertà seppure con esiti e accenti totalmente diversi.
Per la stesura delle opere della mostra Batocco utilizza la forza della sua pittura figurativa fatta di strati di colore sovrapposti qui accentuata da evidenti, ricercati contrasti luminosi e non rinuncia ad esprimere sui fondi di molte delle tele il ricordo dei cromatismi maturato nel dinamico periodo della ricerca materica creando in molti casi un’efficace quanto opportuna decontestualizzazione di scene di storie individuali che ormai appartengono ad un vissuto più vasto: alla storia del popolo italiano e sammarinese.
Le trentatre opere (a cui si aggiungono le chine e i disegni) sono state realizzate da Ivo Batocco in più anni a partire dal 2009 dopo aver eseguito una paziente ricerca preparatoria sui materiali (testi, foto, video e film) attinenti l'emigrazione italiana.
Le opere in mostra narrano dunque del lungo viaggio della speranza, della macerante nostalgia di chi parte ma anche della promessa di una nuova vita. Raccontano dell’angosciante povertà e della speranza in un futuro nuovo, di un possibile riscatto sociale e del coraggio di affrontare con pochi mezzi linguistici, culturali ed economici società ben più complesse del mondo spesso arcaico che si lasciava.
Eppure in Italia la memoria dell'emigrazione è stata volutamente rimossa: forse troppo fastidiosa perché ricordava quella povertà endemica in tante parti della penisola dalla quale ci si era in fretta liberati senza soffermarsi a comprendere appieno le ragioni e i punti di forza di tale miracolo economico.
La mostra non è affatto un vacuo esercizio di memoria collettiva: la sequenza delle opere di Batocco rammenta, come in uno specchio rovesciato, anche il fenomeno attualissimo e a tratti tragico dei migranti.
Riprende tale concetto Claude Frisoni (Directeur Génèral - Centre CultureldeRencontreAbbaye de Neumünster), nella presentazione della mostra in Lussemburgo del 25 luglio 2013, annotando: "Et en tendant ce miroir, Batocco nous fait réfléchir à ces mouvements migratoires qui, depuis les premiers hommes quittant la corne de l’Afrique pour peupler la planète, ont façonné une humanité diverse et pourtant unique. Tous différents et tous issus de la même espèce. Tous différents et tous membres de la même famille".
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