Giulio Salvadori. Tassonomia di uno sguardo
Dal 16 Dicembre 2017 al 07 Gennaio 2018
Verona
Luogo: Palazzo Espositivo della Gran Guardia
Indirizzo: piazza Bra 1
Curatori: Federico Martinelli
Enti promotori:
- Comune di Verona
- Regione del Veneto
- Regione Lombardia
- Provincia di Verona
- Provincia di Mantova
Sabato 16 dicembre, alle 17, inaugura Giulio Salvadori. Tassonomia di uno sguardo.
La retrospettiva, presso il Palazzo Espositivo della Gran Guardia di Verona, è organizzata dall’Associazione Culturale Quinta Parete con la collaborazione del Comune di Verona, i patrocini di Regione Veneto, Regione Lombardia, Provincia di Verona, Provincia di Mantova e il sostegno di Banca Popolare di Verona - Banco BPM e AMIA.
L’intero percorso dell’artista mantovano, signi cativo esponente del Novecento italiano, è presentato dal curatore Federico Martinelli attraverso un’ottantina di opere di piccolo, medio e grande formato e si snoda tra le tematiche più care all’artista: dal rapporto dell’uomo con se stesso e con il paesaggio, al rapporto dell’uomo con il mondo del lavoro e con il Sacro.
Un artista capace di emozionare grazie a un’arte intensa, pienamente asseribile alle ricerche compositive, cromatiche e di soggetto del Novecento. Un mondo, quello di Salvadori, che si fa forte di una matrice culturale ben radicata verso il racconto dell’Uomo: vizi e virtù, disagio e serenità, fatica e lavoro, sottolinea il curatore Federico Martinelli.
Dopo le esposizioni “Il segno dell’anima”, “Cantar Verona”, “La città ideale”, “Poetiche geometrie in terra veronese” e “Spazi interiori”, Martinelli racconta il lavoro di un signi cativo artista lombardo: un viaggio entusiasmante che abbraccia gli stilemi di un secolo che ha portato il nome dell’Italia nel mondo.
Salvadori è il primo artista non veneto che presento in Gran Guardia. Un privilegio ancor più grande. Il suo racconto artistico, frutto di una straordinaria maturità tecnica già presente agli esordi del suo percorso, non mancherà di regalare forti emozioni. Una mostra autentica! Vera! Genuina. L’anima dell’uomo sarà scandagliata senza riserve grazie alla signi cativa sensibilità di un grande Maestro italiano, specifica Martinelli.
È la quotidianità del lavoro, della famiglia e degli a etti, di un particolare rapporto con la religione, del legame profondo con la sua terra, che ogni giorno vede a acciato alla nestra del suo studio e che gli si spalanca davanti in tutta la sua straordinaria intensità. Un’arte che dimostra sicurezza e pienezza e che è permeata di un’armonia evidente anche nelle ra gurazioni più introspettive e cupe.
Salvadori con le sue opere cerca risposte alle problematiche universali, non si accontenta di dipingere per raggiungere un consenso immediato, non cerca soggetti e colori facili da collocare. Il suo sentimento, trasferito sulla tela, sembra accompagnare l’uomo verso una ricerca di bellezza e perfezione, che non è la bellezza del soggetto in sé, ma la bellezza che si raggiunge quando l’anima ha trovato delle risposte, quando l’emozione ha surclassato il pensiero. I ritratti di Salvadori sono testimonianza attiva di questo tendere all’Assoluto. Sono soggetti che nei loro lineamenti tristi, nelle loro posture talvolta delicate, talvolta disarmoniche, ri ettono il disagio del Novecento. Sguardi proiettati verso qualcosa di inde nito, che si abbandonano, che si estraniano verso un nuovo orizzonte di speranza.
La mostra, in contemporanea a Van Gogh Alive - The Experience, ospitata nel medesimo Palazzo, e alla mostra Botero presso Amo – Palazzo Forti, ben si colloca e amplia l’o erta della città, una Verona sempre più vocata all’arte.
Il catalogo, Quinta Parete Editore, presenta oltre alle opere della mostra, una nutrita selezione di saggi e scritti dedicati a Salvadori da critici e storici dell’arte.
L’evento, a ingresso gratuito, è aperto tutti i giorni dal 17 dicembre 2017 al 7 gennaio 2018, dalle 10:00 alle 19:30.
Aperture speciali:
25 dicembre, dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 15:00 alle 19:30 31 dicembre, dalle 10:00 alle 17:00
1 gennaio, dalle 11:00 alle 20:00
Le opere di Salvadori sono geometrie di poesia e colore, sia quelle che raccontano l’uomo nella sua essenza sia quelle che, attraverso paesaggi e nature morte, delineano un mondo reale, contemporaneo... attuale! Basta guardare la lunga serie dedicata al rapporto dell’uomo con il lavoro, ritratti eccellenti di un mondo nuovo, di una società che si sta a acciando all’industria, alla tecnica, all’innovazione senza dimenticare il lavoro manuale, la vita contadina e campestre. Contrapposizioni caratterizzate da una marcata connotazione poetica.
Il tema non è racconto ne a sé stesso: i personaggi o i contesti descritti si caricano di signi cati profondi. Si avverte la stanchezza, quella sica, come pure una certa serenità. Nessun’opera manca dell’intento poetico e lirico. Le ra gurazioni della nascente civiltà industriale lo testimoniano ancor più chiaramente.
È un mondo variegato da L’ingegnere e la dattilografa a Le contadine, dove una marcata sicità che trasuda fatica e dedizione permea l’intera opera. Salvadori sintetizza ancora una volta l’Uomo.
Ecco spalancarsi un mondo di Pescatori, Taglialegna, Mietitrici, Contadini, Spannocchiatori, Raccoglitori di mele, Mondine. Sempre l’Uomo, anche quello più nascosto, che svolge lavori meccanici e ripetitivi come La dattilografa o Uomini Sandwich che emergono da sfondi di lettere e numeri e si spalancano verso un mondo futuristico.
Poi lo sguardo cambia prospettiva. L’uomo che lavora, che vive in simbiosi con il paesaggio e con ciò che lo circonda, trova dimora, appagamento e completezza negli a etti famigliari, La Famiglia.
Lo sguardo volge anche a Marine, Fabbriche, Paesaggi diurni e Paesaggi notturni che prendono forma mediante l’utilizzo di nuovi pretesti narrativi e descrittivi. Qui il tema della solitudine si sente ancor più. L’uomo non compare. C’è molta quiete, un silenzio assordante che racchiude in sé un disagio o un desiderio che la natura ha di presentarsi nella sua forza.
Ma se l’uomo non si palesa è l’artista a prendere il suo posto. Nelle essenziali quanto elegiache Marine, Salvadori trasferisce il ricordo dei momenti di vacanza, ricordo espresso da tinte tenui, talvolta appena accennate. Una linearità poetica spezzata solo da piccole e minimali torri, presenza intima nel paesaggio. Poi la forza di Fabbriche, solitarie! Qui l’essenzialità scompare e torna il Salvadori energico, ruvido, dal tratto intenso e marcato. Lo sguardo è incentrato su architetture semplici e lineari, su ciminiere che svettano su sfondi neutri.
Ma la Natura si fa sentire, è più forte dell’Uomo e delle sue fabbriche. Cariche di signi cato sono le Nevicate caratterizzate da un gurativismo energico, che tende all’astratto, simbolo di una decisa maturazione artistica tanto ridotto è l’utilizzo di tonalità coloristiche. La Natura è qui nella sua essenza, silenziosa copre il paesaggio, copre sé stessa, dimostrando un’ironica supremazia sull’Uomo.
Venezia, in ne. Che ci appaia di un brillante oro su sfondo scuro o di vivaci colori, la centralità è sempre sul soggetto. Salvadori pone lo sguardo al centro, non vuole distrazioni, non cerca pretesti ulteriori per far parlare la sua arte. Tutto ciò che vediamo appare evidente, immediato, di impatto. Dove c’è l’uomo c’è l’uomo. Dove c’è il paesaggio c’è il paesaggio. Lo sguardo non può trovare altro, sta alla mente leggere le innumerevoli simbologie che l’artista non ha voluto svelarci.
Poi il tema del Sacro dove le Croci ssioni occupano uno spazio di rilievo. Nel loro tratto così sintetico ed essenziale i personaggi appaiono come burattini, rimandano all’arte egizia, alle colorazioni bizantine, alle icone russe. Ora frontali, ora di pro lo con l’espressività così marcata e intensa del moderno, le gure che le popolano vivono di un particolare rapporto con l’ambiente: posizioni plastiche e scultoree inserite in un innovativo impianto scenico, attuale ancora oggi.
L’artista sviluppa il tema della religiosità, è certamente religioso, ma la sua fede è riconducibile ai sentimenti di positività e accoglienza piuttosto che a un’assidua frequentazione dell’ambiente. Ciononostante il messaggio è forte, lo sguardo è volto sempre sull’Uomo. L’uomo per eccellenza: il Cristo. Che accoglie tutti a sé, indistintamente. Un palcoscenico, questo, dove vivono gure di vario tipo e provenienza, una sorta di presepe moderno illuminato da aureole gigantesche che sembrano un incandescente sole dorato. Animali, uomini e donne di fede, u ciali, gente comune ma anche ladri, nazisti, prostitute, gli di una società che li allontana, che non riesce ad accoglierli “se non sono gigli son pur sempre gli, vittime di questo mondo” (De André).
È un Cristo senza croce, simbolo che appare sintetizzato dalla posa tirata delle braccia, da un corpo allungato, da ginocchia e piedi spesso deformati. C’è rassegnazione e angoscia, enfatizzata da case allungate, da un’atmosfera cupa e spesso incombente, ma quel sole dorato accende di speranza lo sguardo dell’osservatore che questa volta è interprete attivo.
Poi lo stesso tema si sviluppa nella serie dedicata solo al Cristo. Morto per l’umanità ma capace, con le sue lunghe braccia, spesso tagliate dallo spazio dell’opera, di abbracciarla tutta. Umanità che non viene mai abbandonata. La stessa intensità la troviamo nel racconto di episodi biblici come Adamo ed Eva, La cacciata dal Paradiso terrestre, L’Annunciazione, La Natività, Il bacio di Giuda.
Qui la centralità non è più sull’insieme, su una società che è ai piedi del Cristo, ma è focalizzata sul personaggio. Si tratta di opere, molto spesso a gura intera, un primo piano sempre sull’Uomo.
Uomo che ritorna, ancor più incisivo, nella serie delle Carte, opere dell’ultimo periodo dove l’artista, pur fedele alla sua pittura, rivela un’immediatezza e una scelta coloristica ancor più libera abbandonando parte degli schemi compostivi e geometrici che l’avevano caratterizzata. I soggetti sono gli stessi di sessant’anni di pittura: volti di uomini e donne, paesaggi, nature morte. Croci ssioni. Un’ideale sintesi dove il trionfo del colore e l’amore per il soggetto ritratto diventano tassonomia di uno sguardo straordinario sul Novecento.
Giulio Salvadori nasce a Mosio, in provincia di Mantova, nel 1918. In questa piccola frazione, dove scorre il ume Oglio, l’artista sceglierà di vivere tutta la sua vita lavorativa, a ettiva e artistica circondato dai valori semplici e nobili della quotidianità. Nonostante la madre fosse pittrice e decoratrice gli esordi artistici di Giulio non saranno da lei condivisi a causa di un funesto episodio. Il glio primogenito di undici mesi, a dato a una balia, giocando con un tubetto di colore verde, ne ingerì una piccola quantità, tale da procurargli la morte per avvelenamento da arsenico, componente utilizzato per la realizzazione del pigmento. A Giulio, che sarebbe nato dodici anni più tardi, venne quindi proibito di dipingere nonostante una passione innata fosse presente già dalla più tenera età. Ma le passioni, si sa, possono restare latenti ma non possono essere so ocate a lungo e Giulio, con gessetto e carboncino in mano, inizia a tracciare i primi segni verso un percorso già destinato a un grande artista. La svolta arriverà con la frequentazione dell’Istituto Magistrale di Parma, occasione per incontrare il pittore Carlo Mattioli, suo insegnante di disegno, che, intuendo ben presto le doti dell’allievo, lo avvierà a coltivare una passione che nel corso della vita diventerà bisogno irrefrenabile, necessità quotidiana, desiderio di esprimersi attraverso tele, carte, mosaici e qualche rara scultura. L’intesa tra l’allievo e l’insegnante diventerà fortissima al punto da consolidare sempre più la passione di Giulio che, già al termine della Scuola Superiore, vincerà un premio nazionale.
Parma, in quegli anni, è luogo di grande vivacità culturale, fucina di talenti nel campo della poesia, dell’arte, del cinema e del teatro d’avanguardia; è ambiente stimolante che induce a coltivare curiosità e interessi in un continuo confronto.
Poi il brusco arresto! Il secondo con itto mondiale porterà Giulio lontano dalla sua Mosio per sei lunghi anni. L’artista, che nel frattempo aveva frequentato la Scuola U ciali, era stato chiamato a difendere la patria, impegno che gli farà vivere anche l’esperienza della prigionia ma ritrovare un riferimento importante come il caro insegnante Mattioli, qui in veste di subalterno.
Nonostante le evidenti di coltà siche e psicologiche della guerra, la pittura sarà per lui rifugio essenziale. Sarà àncora di salvezza, consolidata dalla sensibilità di un capitano americano che gli procurerà i colori direttamente dagli Stati Uniti.
Al rientro dall’esperienza bellica troverà ad aspettarlo a Mosio un cavalletto da pittore, dono del padre, che l’aveva acquistato da un artista mantovano. Qui, nel 1946, sposerà Rosa Elisa, giovane ventenne residente nell’amato paese e con la quale resterà a vivere nella casa di famiglia. Elisa, insegnante come il marito presso la medesima scuola del paese, è giovane, lungimirante e intuitiva. Sarà moglie e madre premurosa che sceglierà di condividere e seguire anche le tappe artistiche del marito standogli accanto sempre.
È con lei che Giulio, pur rimanendo fedele al suo paese, frequenterà i grandi artisti di città come Carrà, Guidi, Saetti, Fiume, lo stesso Mattioli, personalità che contattava per iscritto e con le quali intrattenne rapporti di stima e amicizia. Il senso dell’amicizia, anche al di fuori dell’ambiente artistico, era per Salvadori caratteristica della sua indole: un lato fortemente umano che lo portava a darsi degli altri, ad aprire la sua casa agli amici, agli appassionati, a coloro che amavano le sue opere... tutti potevano entrare a vedere la sua casa, scrigno d’arte dove ogni muro trasuda del suo genio artistico. Ciononostante Salvadori è sempre rimasto il “maestro di Mosio”, colui che ha formato generazioni di bambini, trasmettendo loro il suo sapere. Giulio era persona umile, colta, dai valori genuini, che delle persone coglieva il bello, il positivo. Un lato umano che gli faceva porre questo sentimento, l’amicizia, al pari dell’amore che aveva per la famiglia, il lavoro... l’arte.
L’insegnamento come attività primaria alla quale si dedicherà a Mosio non lo allontanerà dalla sua passione. Giulio è un uomo schivo, apparentemente semplice, che non abbandonerà la sua terra, nemmeno quando gli proporranno di dirigere l’Accademia di Belle Arti di Verona. Un incarico prestigioso che lo avrebbe sottratto al suo paese e ai suoi a etti per tre giorni a settimana, troppo per un legame così intenso, intimo, essenziale, una simbiosi sempre più indissolubile: ritmo scandito tra insegnamento e famiglia, rinvigorito dalla pittura. Cavalletto, stufa a legna, i suoi bambini che “pasticciano” con i colori... basta poco per vivere con quei valori schietti e autentici, propri della sua natura.
Giulio è artista autodidatta, non ha frequentato alcuna Accademia, non ama autocelebrarsi, si circonda del silenzio e dell’essenzialità dell’arte. Lontano dalle logiche commerciali delle mostre, predilige i premi perché gli permettono di mettersi in gioco e di confrontarsi. Lavora molto nella sua vita, sviluppando temi variegati che coglie dal quotidiano e reinterpreta con la sensibilità dell’artista moderno, pienamente inserito nel Novecento, così capace di de nire con chiarezza valori e virtù universali.
Negli Anni Novanta, dopo aver ricevuto in dono da un nipote, proprietario di un colori cio, un discreto numero di rotoli di carta da parati, troverà un nuovo impulso, sperimentazione che donerà alla sua arte un’incisività e una nuova immediatezza.
Nonostante gli anni trascorsi la sua arte non conobbe pausa, dipinse no alla sera prima di morire. Per se stesso, come sempre. O per Elisa, adorata compagna di vita, e per i gli, Alberto e Chiara.
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