Il lavoro dell'artista. Un percorso genovese 1977-1989
Dal 23 Maggio 2013 al 16 Giugno 2013
Genova
Luogo: Palazzo Ducale
Indirizzo: piazza Matteotti 9
Orari: da martedì a domenica 15-19
Telefono per informazioni: +39 010 5574065
E-Mail info: palazzoducale@palazzoducale.genova.it
Sito ufficiale: http://www.palazzoducale.genova.it
Tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, si incontrarono, a Genova, alcuni artisti non classificabili a partire dalle tassonomie invalse nella critica militante. Non erano tutti coetanei, ma appartenevano ad almeno tre diverse generazioni, con percorsi di esperienza e di formazione differenti. Non costituivano un gruppo in senso proprio, sebbene avessero scambi e condivisioni intense attorno ad un tratto comune rappresentato dall'estraneità alle mode che il sistema dell’arte promuoveva in quel momento. Li univa, nelle loro ricerche, un'istanza critica verso una concezione dell’arte come categoria a sé stante che si rifletteva in una pratica poetica spinta, in taluni casi, fino al limite dell'iconoclastia e della più o meno temporanea inoperosità.
Tutt'altro che indifferenti e chiusi alle tonalità emotive, alla cultura e agli stili di vita e di produzione che stavano insorgendo, questi artisti restavano fedeli a un indice radicale che aveva trovato espressione in Benjamin e Debord, rivolgendo uno sguardo fenomenologico verso le condizioni e le forme di vita di una insorgente "intellettualità di massa". Significativo, in questo senso, appare il fatto che negli stessi anni in cui il lavoro cominciava a deporre la forma caratteristica della cosiddetta civiltà industriale, anche il lavoro di questi artisti non fosse innanzitutto finalizzato alla produzione di opere, ma alla decostruzione dei processi di formazione del senso.
Così Rolando Mignani, già protagonista della stagione della Scrittura visuale, si muoveva in quegli anni sul terreno problematico della collisione fra materia e simbolo, traendone concatenazioni interpretative vertiginose, mentre Gianni Brunetti conduceva – a partire da documenti fotografici – una penetrante indagine sulla relazione fra oggetti e segni, elementi “preformati” di un mondo indefinitamente scomponibile e ricombinabile in un ritmo circolare.
L’immagine (d’autore e di repertorio) si dà nel lavoro dell’epoca di Piero Terrone come spazio d’interazione fra i linguaggi della fotografia e della pittura, sottoposti ad uno scandaglio analitico, su uno sfondo di contenuti esistenziali al tempo stesso sottolineati e distanziati in una disposizione sequenziale.
L’operatività di Italo Di Cristina si è imperniata sin dall’origine sull’idea di una “sottrazione di ruolo” che ha perseguito con il rifiuto dei canali deputati dell’arte e un’attività di auto-organizzazione, attraverso interventi performativi e di manipolazione destrutturante di forme e stili storicamente dati.
Vincenzo Lagalla si è impegnato, per sua parte, nella costruzione di percorsi nei quali la macchina oggettuale genera la parola, dove l’ambiguità e la pregnanza del significato verbale riverberano nell’azione e si espandono nell’ambiente.
Il diario straniato (e poi combusto), l’autobiografia indiretta, veicolata da oggetti e lacerti quotidiani, il ritratto negato dell’autore, non più soggetto e non del tutto oggetto, sono stati i temi affrontati da Giuliano Galletta, “resti” visibili di un discorso che dice di non poter dire.
Nicola Bucci, infine, metteva in campo una dimensione schiettamente metalinguistica affrontando la questione cruciale del ritratto, in una disposizione che aggira l’estremo manierista dell’Autoritratto in uno specchio convesso del Parmigianino così come l’enunciazione concettuale di Giulio Paolini nel Giovane che guarda Lorenzo Lotto, per approssimarsi al ribaltamento barthesiano della visione, secondo cui non è il soggetto che contempla l'opera ma è l'esteriorità dell'opera che afferra il soggetto.
In occasione della mostra l’Editore De Ferrari pubblica un testo di Nicola Bucci intitolato Considerazioni inattuali, nel quale vengono analizzate posizioni ed esperienze degli autori che vi sono rappresentati, nel contesto di un periodo (1977-1989), caratterizzato da un marcato processo di trasformazione della produzione sociale.
Il volume sarà presentato presso la Fondazione De Ferrari in una data che verrà comunicata in seguito.
Tutt'altro che indifferenti e chiusi alle tonalità emotive, alla cultura e agli stili di vita e di produzione che stavano insorgendo, questi artisti restavano fedeli a un indice radicale che aveva trovato espressione in Benjamin e Debord, rivolgendo uno sguardo fenomenologico verso le condizioni e le forme di vita di una insorgente "intellettualità di massa". Significativo, in questo senso, appare il fatto che negli stessi anni in cui il lavoro cominciava a deporre la forma caratteristica della cosiddetta civiltà industriale, anche il lavoro di questi artisti non fosse innanzitutto finalizzato alla produzione di opere, ma alla decostruzione dei processi di formazione del senso.
Così Rolando Mignani, già protagonista della stagione della Scrittura visuale, si muoveva in quegli anni sul terreno problematico della collisione fra materia e simbolo, traendone concatenazioni interpretative vertiginose, mentre Gianni Brunetti conduceva – a partire da documenti fotografici – una penetrante indagine sulla relazione fra oggetti e segni, elementi “preformati” di un mondo indefinitamente scomponibile e ricombinabile in un ritmo circolare.
L’immagine (d’autore e di repertorio) si dà nel lavoro dell’epoca di Piero Terrone come spazio d’interazione fra i linguaggi della fotografia e della pittura, sottoposti ad uno scandaglio analitico, su uno sfondo di contenuti esistenziali al tempo stesso sottolineati e distanziati in una disposizione sequenziale.
L’operatività di Italo Di Cristina si è imperniata sin dall’origine sull’idea di una “sottrazione di ruolo” che ha perseguito con il rifiuto dei canali deputati dell’arte e un’attività di auto-organizzazione, attraverso interventi performativi e di manipolazione destrutturante di forme e stili storicamente dati.
Vincenzo Lagalla si è impegnato, per sua parte, nella costruzione di percorsi nei quali la macchina oggettuale genera la parola, dove l’ambiguità e la pregnanza del significato verbale riverberano nell’azione e si espandono nell’ambiente.
Il diario straniato (e poi combusto), l’autobiografia indiretta, veicolata da oggetti e lacerti quotidiani, il ritratto negato dell’autore, non più soggetto e non del tutto oggetto, sono stati i temi affrontati da Giuliano Galletta, “resti” visibili di un discorso che dice di non poter dire.
Nicola Bucci, infine, metteva in campo una dimensione schiettamente metalinguistica affrontando la questione cruciale del ritratto, in una disposizione che aggira l’estremo manierista dell’Autoritratto in uno specchio convesso del Parmigianino così come l’enunciazione concettuale di Giulio Paolini nel Giovane che guarda Lorenzo Lotto, per approssimarsi al ribaltamento barthesiano della visione, secondo cui non è il soggetto che contempla l'opera ma è l'esteriorità dell'opera che afferra il soggetto.
In occasione della mostra l’Editore De Ferrari pubblica un testo di Nicola Bucci intitolato Considerazioni inattuali, nel quale vengono analizzate posizioni ed esperienze degli autori che vi sono rappresentati, nel contesto di un periodo (1977-1989), caratterizzato da un marcato processo di trasformazione della produzione sociale.
Il volume sarà presentato presso la Fondazione De Ferrari in una data che verrà comunicata in seguito.
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