Anna Caruso. C’ero, una volta
Dal 17 Luglio 2012 al 28 Luglio 2012
Milano
Luogo: Galleria Famiglia Margini
Indirizzo: via Simone D’Orsenigo 6
Orari: da martedi a giovedì 14-20 e su appuntamento
Curatori: Giovanna Lacedra, Grace Zanotto
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 328 7141308
E-Mail info: famigliamargini@gmail.com
Sito ufficiale: http://www.famigliamargini.com
La galleria Famiglia Margini di Milano conferma il suo intuito curatoriale nella scelta degli artisti e il 17 luglio 2012 alle ore 18:30 presenta, presso gli spazi di via Simone D’Orsenigo 6, la personale dell’artista milanese Anna Caruso dal titolo C’ero, una volta: un dialogo interiore ed esteriore, con l'umanità, con chi osserva, con l'arte stessa.
Onirismi che si sbucciano tra gli spigoli della contemporaneità: sono le fiabe esplose di Anna Caruso. Fiabe in cui la trama si interrompe e l’eroina è strappata dal contesto narrativo per ritrovarsi, letteralmente teletrasportata, in una dimensione che non le appartiene. È quel singhiozzo della storia, che arriva come un sussulto sismico e la spiazza, la infrange, la disorienta.
Anna Caruso pone come principale operazione della sua azione pittorica una decontestualizzazione di evidente matrice duchampiana, e se tra le pagine di Carroll, Perrault o dei Fratelli Grimm i buoni vincono o si salvano, e tutti finiscono per vivere felici e contenti, questo non è esattamente quello che accade nelle opere della Caruso. Alice, il Bianconiglio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve descrivono solitudini smarrite nell'irrealtà di un mondo che ha perso la capacità di ‘sentire’. E se l’arte è soprattutto visione, come affermava Jean Dubuffet, le visioni metropolitane di Anna Caruso si animano di personaggi simbolici, per indagare i vuoti del nostro tempo. Con pennellate di colore acrilico accostate e giustapposte su tele preferibilmente serigrafiche, Anna dà vita ad un mondo dentro al mondo: una tecnica dinamica che le permette di costruire, con grande rapidità, architetture e anatomie, sovente colte in prospettive grandangolari.
La scelta di decontestualizzare proprio le eroine di fiabe popolari, scaturisce dalla sua esperienza nel Cosplay (contrazione delle parole inglesi costume e play), gioco di origine giapponese che consiste nell'indossare costumi di personaggi della cultura manga, degli anime, o delle fiabe. Ho iniziato – racconta Anna – giocando a travestirmi da Alice. E questa Alice ha riportato a galla la bambina che un tempo sono stata e che ho ancora dentro. Nei panni di Alice ho scoperto che l’apparente dissonanza tra quel costume e il contesto urbano può invece simboleggiare l’attuale condizione dell’artista, sempre in qualche modo fuori luogo, baconianamente ingabbiato in una realtà deformante e asfissiante. Ma proprio per questo capace di raccontarla.
E così, in un gioco creativo, si è aperto un dialogo tra una donna e la sua innocenza: la bambina delle fiabe ha parlato all’artista in divenire.
“Una volta, io ero.
Non un frammento, ma l’intero. Ero il sogno, compatto, che non temeva la realtà.
Ero il cuore di una fiaba. La bambina, la principessa. L’anima. Lo specchio nascosto in ogni stagno. La voce e la visione. L’infrangibile magia di una storia senza tempo.
Percorrevo i sentieri dell’innocenza, cercando luoghi di stupore. Poi, un giorno qualunque di un anno che non c’è, cerca, cerca… cammina, cammina… inseguendo un inganno ho smarrito la strada. Pollicino senza briciole, non l’ho più ritrovata!
Tutt’intorno non era bosco e non era notte. E non era neppure la luce lontana di un tunnel aperto al di là di una tana. Era rumore, piuttosto. Era un eccesso di luci e colori. Un caleidoscopio di vetri e ridondanti fluorescenze. Era un tempo che non abita le fiabe. Era un’altra vastità. Sconosciuta e spaesante. Una dimensione capovolta, nella quale ero piombata all’improvviso. Come catapultata da un singhiozzo della storia. Forse per errore. Forse per capire. Forse per aprire un dialogo tra questo mondo e il mio.
Sullo sfondo di questo frastuono, la mia voce si racconta ancora. Rotta, come un giocattolo in disuso.
Ma tra i lacerti, ritrovo l’intatto cuore di una fiaba.”
Anna Caruso
Onirismi che si sbucciano tra gli spigoli della contemporaneità: sono le fiabe esplose di Anna Caruso. Fiabe in cui la trama si interrompe e l’eroina è strappata dal contesto narrativo per ritrovarsi, letteralmente teletrasportata, in una dimensione che non le appartiene. È quel singhiozzo della storia, che arriva come un sussulto sismico e la spiazza, la infrange, la disorienta.
Anna Caruso pone come principale operazione della sua azione pittorica una decontestualizzazione di evidente matrice duchampiana, e se tra le pagine di Carroll, Perrault o dei Fratelli Grimm i buoni vincono o si salvano, e tutti finiscono per vivere felici e contenti, questo non è esattamente quello che accade nelle opere della Caruso. Alice, il Bianconiglio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve descrivono solitudini smarrite nell'irrealtà di un mondo che ha perso la capacità di ‘sentire’. E se l’arte è soprattutto visione, come affermava Jean Dubuffet, le visioni metropolitane di Anna Caruso si animano di personaggi simbolici, per indagare i vuoti del nostro tempo. Con pennellate di colore acrilico accostate e giustapposte su tele preferibilmente serigrafiche, Anna dà vita ad un mondo dentro al mondo: una tecnica dinamica che le permette di costruire, con grande rapidità, architetture e anatomie, sovente colte in prospettive grandangolari.
La scelta di decontestualizzare proprio le eroine di fiabe popolari, scaturisce dalla sua esperienza nel Cosplay (contrazione delle parole inglesi costume e play), gioco di origine giapponese che consiste nell'indossare costumi di personaggi della cultura manga, degli anime, o delle fiabe. Ho iniziato – racconta Anna – giocando a travestirmi da Alice. E questa Alice ha riportato a galla la bambina che un tempo sono stata e che ho ancora dentro. Nei panni di Alice ho scoperto che l’apparente dissonanza tra quel costume e il contesto urbano può invece simboleggiare l’attuale condizione dell’artista, sempre in qualche modo fuori luogo, baconianamente ingabbiato in una realtà deformante e asfissiante. Ma proprio per questo capace di raccontarla.
E così, in un gioco creativo, si è aperto un dialogo tra una donna e la sua innocenza: la bambina delle fiabe ha parlato all’artista in divenire.
“Una volta, io ero.
Non un frammento, ma l’intero. Ero il sogno, compatto, che non temeva la realtà.
Ero il cuore di una fiaba. La bambina, la principessa. L’anima. Lo specchio nascosto in ogni stagno. La voce e la visione. L’infrangibile magia di una storia senza tempo.
Percorrevo i sentieri dell’innocenza, cercando luoghi di stupore. Poi, un giorno qualunque di un anno che non c’è, cerca, cerca… cammina, cammina… inseguendo un inganno ho smarrito la strada. Pollicino senza briciole, non l’ho più ritrovata!
Tutt’intorno non era bosco e non era notte. E non era neppure la luce lontana di un tunnel aperto al di là di una tana. Era rumore, piuttosto. Era un eccesso di luci e colori. Un caleidoscopio di vetri e ridondanti fluorescenze. Era un tempo che non abita le fiabe. Era un’altra vastità. Sconosciuta e spaesante. Una dimensione capovolta, nella quale ero piombata all’improvviso. Come catapultata da un singhiozzo della storia. Forse per errore. Forse per capire. Forse per aprire un dialogo tra questo mondo e il mio.
Sullo sfondo di questo frastuono, la mia voce si racconta ancora. Rotta, come un giocattolo in disuso.
Ma tra i lacerti, ritrovo l’intatto cuore di una fiaba.”
Anna Caruso
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