Carmelo Zotti. Nel segno del realismo mitico / opere inedite 1953/2007
Dal 12 Dicembre 2021 al 30 Gennaio 2022
Mareno di Piave | Treviso
Luogo: Fondazione Gianni Ambrogio
Indirizzo: Piazza Municipio 42
Curatori: Dino Marangon in collaborazione con Michele Beraldo e Brigitte Brand
Enti promotori:
- Comune di Mareno di Piave
Sito ufficiale: http://www.fondazioneambrogio.it
La Fondazione Gianni Ambrogio, nella sua sede espositiva di Mareno di Piave, propone dal 12 dicembre ’21 al 30 gennaio ’22, una spettacolare sequenza di opere inedite di Carmelo Zotti.
La scelta di Dino Marangon, che cura la mostra avvalendosi della collaborazione di Michele Beraldo e Brigitte Brand, si è focalizzata sulle opere su carta dell’artista. Sono più di 60 tavole, spesso di grande e grandissimo formato, straripanti di colore, che percorrono l’intero percorso artistico di Zotti. Dal 1953 quando, allievo di Bruno Saetti all’Accademia di Venezia, concorse, vincendolo, al Premio della Bevilacqua La Masa, e sino alla sua scomparsa nel 2007.
L’ampia retrospettiva è promossa dal Comune di Mareno di Piave, con la collaborazione della Regione Veneto e dell’Archivio Carmelo Zotti, è accompagnata da un catalogo Antiga, con testi di Michele Beraldo e Dino Marangon.
Nelle carte qui riunite puntualmente tornano, e non poteva che essere così, i temi che caratterizzano, e rendono unica, la pittura di Zotti. In questo contesto il supporto cartaceo, proprio per le sue caratteristiche di economicità, di maneggevolezza, di possibile rapidità di esecuzione, sarà particolarmente amato da Zotti.
Quella di Carmelo Zotti (Trieste 1933 – Treviso 2007) è stata una carriera artistica particolarmente ricca e articolata: una ricerca che fin dalle origini è venuta affiancando pittura e disegno, mettendo in evidenza l’importanza dell’espressione segnica e del suo rapporto inscindibile con il colore.
E questa ampia mostra ripercorre e puntualizza meglio l’intero arco della creatività del pittore a partire dagli esordi caratterizzati da un istintivo impulso realistico (significativo un suo intenso autoritratto) e dal periodo di formazione all’Accademia di Venezia sotto la guida di Bruno Saetti.
Dopo aver esplorato, attorno alla metà degli anni Cinquanta, le possibilità di una libera parafrasi del reale caratterizzata da una sempre più ampia autonomia del segno e delle cromie, nella successiva serie dei “Deportati” la sua sempre latente propensione a figurare verrà confrontandosi anche con le molteplici risorse dell’informale.
Ben presto nuove e significative sollecitazioni gli verranno altresì da stimolanti viaggi e soggiorni in Egitto, in India e in Birmania e, in seguito negli Stati Uniti e soprattutto in Messico, e ancora in Olanda e in Germania e nel Nord Europa dove avrà la possibilità di ampliare i propri orizzonti entrando in contatto con culture, modi di vita ed espressioni artistiche sempre diverse.
Su tali basi, in un’Italia, in quegli anni spesso ancora chiusa in visioni provinciali e conservatrici o in concezioni repressivamente moralistiche, Zotti verrà viceversa volgendo la propria attenzione ai misteriosi universi dell’eros, alle affascinanti e talora destabilizzanti scoperte dell’antropologia, della psicologia del profondo e dell’etnologia, confidando nelle possibilità dell’immagine di riuscire a esplorare e comunicare più ampi e vitali orizzonti di libertà.
Anche contrapponendosi all’invasione delle nuove tecnologie e dell’informazione massificata e all’incombente e oppressiva omologazione della nuova società consumistica che troveranno i loro corrispettivi nelle diverse fenomenologie della Pop Art, ecco allora Zotti rifondare la propria creatività immergendosi nell’universo del mito, concepito non come un repertorio di riferimenti eruditi, bensì come un fermentante magma immaginativo in grado di esprimere e dar forma alla complessa e talora contraddittoria varietà e ricchezza dell’attuale esistenza.
Ne emergerà una figurazione insieme coltissima e spontanea, ricca di nascosti riferimenti poetici, filosofici e letterari e via via nutrita da originali confronti con la metafisica dechirichiana, le differenti espressioni del surrealismo, le sottili metafore visive dei maggiori esponenti del simbolismo e, ancora, con le multiformi suggestioni della figurazione baconiana, come pure con le incisive asprezze dell’espressionismo, fino riuscire a rifondare un profondo e coinvolgente dialogo con la natura, in un ritrovato legame anche con la grande tradizione veneta di Tiziano, di Tintoretto e di Sebastiano del Piombo.
Sguardo nordico e solarità mediterranee, evocazioni oniriche ed evidenze naturali, impulsi fantastici, emozioni e riflessioni concorrono così a una inesausta esplorazione del reale affrontato non soltanto con con intenti di pura mimesi, ma
– come sempre accade nelle grandi espressioni di realismo – anche con una coinvolgente volontà critica.
Personalità affettuosa, fraterna, ironica e gioviale, seppur estremamente riservata per quanto riguarda le fonti della sua opera, Zotti è stato docente e maestro di un notevole stuolo di artisti e allievi non solo italiani.
Le sue non sono figurazioni sdolcinate o eufemistiche, né si tratta soltanto di appelli e messaggi da individuo a individuo: le sue opere coinvolgono infatti ambiti comunicativi più ampi, riuscendo leopardianamente a far scaturire flussi di energia in grado di suscitare l’auspicio e il dono di una ritrovata fratellanza capace di fronteggiare e superare ogni ostacolo e confine.
La scelta di Dino Marangon, che cura la mostra avvalendosi della collaborazione di Michele Beraldo e Brigitte Brand, si è focalizzata sulle opere su carta dell’artista. Sono più di 60 tavole, spesso di grande e grandissimo formato, straripanti di colore, che percorrono l’intero percorso artistico di Zotti. Dal 1953 quando, allievo di Bruno Saetti all’Accademia di Venezia, concorse, vincendolo, al Premio della Bevilacqua La Masa, e sino alla sua scomparsa nel 2007.
L’ampia retrospettiva è promossa dal Comune di Mareno di Piave, con la collaborazione della Regione Veneto e dell’Archivio Carmelo Zotti, è accompagnata da un catalogo Antiga, con testi di Michele Beraldo e Dino Marangon.
Nelle carte qui riunite puntualmente tornano, e non poteva che essere così, i temi che caratterizzano, e rendono unica, la pittura di Zotti. In questo contesto il supporto cartaceo, proprio per le sue caratteristiche di economicità, di maneggevolezza, di possibile rapidità di esecuzione, sarà particolarmente amato da Zotti.
Quella di Carmelo Zotti (Trieste 1933 – Treviso 2007) è stata una carriera artistica particolarmente ricca e articolata: una ricerca che fin dalle origini è venuta affiancando pittura e disegno, mettendo in evidenza l’importanza dell’espressione segnica e del suo rapporto inscindibile con il colore.
E questa ampia mostra ripercorre e puntualizza meglio l’intero arco della creatività del pittore a partire dagli esordi caratterizzati da un istintivo impulso realistico (significativo un suo intenso autoritratto) e dal periodo di formazione all’Accademia di Venezia sotto la guida di Bruno Saetti.
Dopo aver esplorato, attorno alla metà degli anni Cinquanta, le possibilità di una libera parafrasi del reale caratterizzata da una sempre più ampia autonomia del segno e delle cromie, nella successiva serie dei “Deportati” la sua sempre latente propensione a figurare verrà confrontandosi anche con le molteplici risorse dell’informale.
Ben presto nuove e significative sollecitazioni gli verranno altresì da stimolanti viaggi e soggiorni in Egitto, in India e in Birmania e, in seguito negli Stati Uniti e soprattutto in Messico, e ancora in Olanda e in Germania e nel Nord Europa dove avrà la possibilità di ampliare i propri orizzonti entrando in contatto con culture, modi di vita ed espressioni artistiche sempre diverse.
Su tali basi, in un’Italia, in quegli anni spesso ancora chiusa in visioni provinciali e conservatrici o in concezioni repressivamente moralistiche, Zotti verrà viceversa volgendo la propria attenzione ai misteriosi universi dell’eros, alle affascinanti e talora destabilizzanti scoperte dell’antropologia, della psicologia del profondo e dell’etnologia, confidando nelle possibilità dell’immagine di riuscire a esplorare e comunicare più ampi e vitali orizzonti di libertà.
Anche contrapponendosi all’invasione delle nuove tecnologie e dell’informazione massificata e all’incombente e oppressiva omologazione della nuova società consumistica che troveranno i loro corrispettivi nelle diverse fenomenologie della Pop Art, ecco allora Zotti rifondare la propria creatività immergendosi nell’universo del mito, concepito non come un repertorio di riferimenti eruditi, bensì come un fermentante magma immaginativo in grado di esprimere e dar forma alla complessa e talora contraddittoria varietà e ricchezza dell’attuale esistenza.
Ne emergerà una figurazione insieme coltissima e spontanea, ricca di nascosti riferimenti poetici, filosofici e letterari e via via nutrita da originali confronti con la metafisica dechirichiana, le differenti espressioni del surrealismo, le sottili metafore visive dei maggiori esponenti del simbolismo e, ancora, con le multiformi suggestioni della figurazione baconiana, come pure con le incisive asprezze dell’espressionismo, fino riuscire a rifondare un profondo e coinvolgente dialogo con la natura, in un ritrovato legame anche con la grande tradizione veneta di Tiziano, di Tintoretto e di Sebastiano del Piombo.
Sguardo nordico e solarità mediterranee, evocazioni oniriche ed evidenze naturali, impulsi fantastici, emozioni e riflessioni concorrono così a una inesausta esplorazione del reale affrontato non soltanto con con intenti di pura mimesi, ma
– come sempre accade nelle grandi espressioni di realismo – anche con una coinvolgente volontà critica.
Personalità affettuosa, fraterna, ironica e gioviale, seppur estremamente riservata per quanto riguarda le fonti della sua opera, Zotti è stato docente e maestro di un notevole stuolo di artisti e allievi non solo italiani.
Le sue non sono figurazioni sdolcinate o eufemistiche, né si tratta soltanto di appelli e messaggi da individuo a individuo: le sue opere coinvolgono infatti ambiti comunicativi più ampi, riuscendo leopardianamente a far scaturire flussi di energia in grado di suscitare l’auspicio e il dono di una ritrovata fratellanza capace di fronteggiare e superare ogni ostacolo e confine.
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