Flavia Arlotta. Ritratto di donna e pittrice del '900 in ventisei voci
Dal 09 Maggio 2014 al 06 Settembre 2014
Firenze
Luogo: Accademia delle Arti del Disegno
Indirizzo: via Orsanmichele 4
Orari: lun, merc e ven 9.30-13, mart e giov su appuntamento
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 055 219642
E-Mail info: info@aadfi.it
Sito ufficiale: http://www.aadfi.it
Alla grande retrospettiva di Giovanni Colacicchi in corso a Villa Bardini fino al 19 ottobre, si affianca adesso all’Accademia delle Arti del Disegno un’inedita esposizione collaterale dedicata alla pittrice Flavia Arlotta, che di Colacicchi fu moglie e musa in una avventura romantica e intellettuale durata una vita.
E’ la prima di varie manifestazioni ideate dal dipartimento Progetti di Musica e Arti Figurative del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut per celebrare una delle massime figure della pittura del Novecento. Si tratta di circa 30 dipinti, per lo più ritratti e nature morte, selezionati dal musicista e musicologo Mario Ruffini con lo storico dell’arte Max Seidel. Per inciso, Ruffini ha curato anche la retrospettiva di Colacicchi in tandem con Susanna Ragionieri, vicedirettrice dell’Accademia di Belle Arti.
Polistampa pubblica i due cataloghi. Quello dedicato a Flavia Arlotta (pag. 96, € 15) raccoglie 26 testimonianze e testi critici di quanti la conobbero e ne apprezzarono le doti umane, culturali e artistiche: da Sandra e Giorgio Bonsanti a Mina Gregori e Carlo Del Bravo, da Mauro Pratesi a Carlo Sisi, oltre ovviamente ai curatori.
Le opere provengono in gran parte dalle collezioni dei figli Piero e Francesco. L’uno ha contribuito al catalogo della mostra materna, l’altro a quella del padre, entrambi ammirati per quei genitori singolari legati da affinità elettive e da identici progetti. “Quando avevo pochi anni”, scrive Francesco, “credevo che l'occupazione fondamentale di tutti gli uomini e di tutte le donne fosse dipingere, perché anche mia madre dipingeva”.
Nell’ingenuo stupore di un bambino c’è l’intuizione profonda di quanto, in effetti, per Giovanni Colacicchi e Flavia Arlotta sia stato vitale dipingere: con analogo fine (la poesia della luce, la misteriosa musicalità della natura), benché con atteggiamenti assai diversi. Lui (Anagni 1900 – Firenze 1992) pioniere ostinato di un’estetica neofigurativa e protagonista estroverso della vita culturale fiorentina; lei (Napoli 1913 – Firenze 2010) colta vestale, riservata e pudica, pittrice di razza autoconfinatasi in un palcoscenico domestico nel segno di una eleganza derivata dalla famiglia cosmopolita. Per tutto il Novecento la sua arte rimarrà infatti quasi del tutto nascosta.
“Il ‘tempo”, annota Ruffini, “divide i loro mondi pittorici, e con esso la ‘luce’ e la ‘musica’: Giovanni avanza di getto, rapido, e con un pensiero geometrico e razionale che organizza la sua tela; Flavia invece lavora lentamente…I contorni sono sempre indecisi, sfumati…, materia meno nitida che solo da lontano mostra la vera forma. Nelle opere di Flavia la luce è diffusa, morbida, conseguenza di una pittura che nasce appunto con tempi lunghi, una pittura interiore, intima”.
La sua casa, gli arredi, il giardino, sono alla base di ogni sua indagine e l’aiutano a costruire una ‘pittura della memoria’. La sua biografia fiorentina è indissolubile dalla bella dimora campagnola di via dell’Osservatorio, luogo incantato con vista su Firenze, che diventa territorio privilegiato della sua pittura caratterizzata dalla semplicità e da una sottile leggerezza aristocratica, cifra distintiva della sua persona.
Fu lei, peraltro, l’artefice di quella composizione familiare che, da via dell’Osservatorio, ha riunito in 70 anni un intero mondo di artisti della irripetibile Firenze cosmopolita. In lei è totalmente vivo lo spirito del marito, che le scriveva: «tu sei, io vedo, veramente cara agli Dei». La mostra le restituisce adesso un giusto palcoscenico.
E’ la prima di varie manifestazioni ideate dal dipartimento Progetti di Musica e Arti Figurative del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut per celebrare una delle massime figure della pittura del Novecento. Si tratta di circa 30 dipinti, per lo più ritratti e nature morte, selezionati dal musicista e musicologo Mario Ruffini con lo storico dell’arte Max Seidel. Per inciso, Ruffini ha curato anche la retrospettiva di Colacicchi in tandem con Susanna Ragionieri, vicedirettrice dell’Accademia di Belle Arti.
Polistampa pubblica i due cataloghi. Quello dedicato a Flavia Arlotta (pag. 96, € 15) raccoglie 26 testimonianze e testi critici di quanti la conobbero e ne apprezzarono le doti umane, culturali e artistiche: da Sandra e Giorgio Bonsanti a Mina Gregori e Carlo Del Bravo, da Mauro Pratesi a Carlo Sisi, oltre ovviamente ai curatori.
Le opere provengono in gran parte dalle collezioni dei figli Piero e Francesco. L’uno ha contribuito al catalogo della mostra materna, l’altro a quella del padre, entrambi ammirati per quei genitori singolari legati da affinità elettive e da identici progetti. “Quando avevo pochi anni”, scrive Francesco, “credevo che l'occupazione fondamentale di tutti gli uomini e di tutte le donne fosse dipingere, perché anche mia madre dipingeva”.
Nell’ingenuo stupore di un bambino c’è l’intuizione profonda di quanto, in effetti, per Giovanni Colacicchi e Flavia Arlotta sia stato vitale dipingere: con analogo fine (la poesia della luce, la misteriosa musicalità della natura), benché con atteggiamenti assai diversi. Lui (Anagni 1900 – Firenze 1992) pioniere ostinato di un’estetica neofigurativa e protagonista estroverso della vita culturale fiorentina; lei (Napoli 1913 – Firenze 2010) colta vestale, riservata e pudica, pittrice di razza autoconfinatasi in un palcoscenico domestico nel segno di una eleganza derivata dalla famiglia cosmopolita. Per tutto il Novecento la sua arte rimarrà infatti quasi del tutto nascosta.
“Il ‘tempo”, annota Ruffini, “divide i loro mondi pittorici, e con esso la ‘luce’ e la ‘musica’: Giovanni avanza di getto, rapido, e con un pensiero geometrico e razionale che organizza la sua tela; Flavia invece lavora lentamente…I contorni sono sempre indecisi, sfumati…, materia meno nitida che solo da lontano mostra la vera forma. Nelle opere di Flavia la luce è diffusa, morbida, conseguenza di una pittura che nasce appunto con tempi lunghi, una pittura interiore, intima”.
La sua casa, gli arredi, il giardino, sono alla base di ogni sua indagine e l’aiutano a costruire una ‘pittura della memoria’. La sua biografia fiorentina è indissolubile dalla bella dimora campagnola di via dell’Osservatorio, luogo incantato con vista su Firenze, che diventa territorio privilegiato della sua pittura caratterizzata dalla semplicità e da una sottile leggerezza aristocratica, cifra distintiva della sua persona.
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