Enzo Pagano. Stanze della Luce e dell’Ombra
Dal 06 Dicembre 2017 al 21 Novembre 2017
Napoli
Luogo: BRAU - Biblioteca di Ricerca Area Umanistica
Indirizzo: piazza Bellini 60
Orari: lunedì - venerdì ore 9-18.30
Enti promotori:
- Spazio NEA
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 081 187 05 839
E-Mail info: redazione@iemmedizioni.it
Sito ufficiale: http://www.spazionea.it
Mercoledì 6 dicembre 2017, alle ore 17:00 si inaugura la mostra personale “Stanze della Luce e dell’Ombra” di Enzo Pagano. L’esposizione, allestita nella ‘sala delle mura greche’ della BRAU, è visitabile fino al 21 dicembre 2017.
Il titolo della mostra individua e riassume la tematica di fondo che ha connotato il recente lavoro dell’artista napoletano. Il termine “stanze”, mutuato dall’ambito poetico, fa riferimento ad una serie di opere, che costituiscono le singole unità di un percorso visivo e mentale, linguisticamente nuovo rispetto alla sua produzione precedente.
“Stanze” da intendersi come “stazioni”, tappe di un personale itinerario pittorico, ma anche come dimore dell’immaginario, in cui prendono forma i fantasmi privati dell’artista. I lavori sono realizzati con sabbia e colori ad olio, sopra lenzuola rammendate e incollate su tela o compensato, in poche modulazioni cromatiche, per ottenere effetti di opacità o di concentrazione della luce, la quale rimane come catturata nella materia porosa - simile, per consistenza e colore, alle pomici vulcaniche e ai tufi flegrei e vesuviani - evidenziandone il carattere tellurico.
Le toppe, le sarciture, i rammendi, incollati sui supporti e ricoperti di colore disegnano in superficie figure di una geometria approssimativa entro spazi vuoti, scenari dell’immaginazione, vibranti partizioni cromatiche, nella convergenza tra elementi materiali, mezzi pittorici o plastici e rimandi simbolici.
Scrive Massimo Tartaglione: “La quota di rigore formale che pure segna in maniera determinante le opere di Pagano non proviene dalla rigida adesione a coordinate assiomatiche, né la sua pittura si conforma alla minuzia della pennellata, alla vincolante scansione dello spazio per orizzontali e verticali, ci troviamo infatti altrove, in un perimetro dentro il quale la proposizione artistica trova le proprie ragioni in se stessa. Non è però, quello di Pagano, un discorso che prende le mosse dall'opzione puramente linguistica e quindi pretende di affermare l'autosufficienza dell'arte, la sua separatezza rispetto ad un universo specificamente estetico; siamo in presenza invece di una costante rifusione di elementi materiali e simbolici, che acquisiscono una stringente qualificazione proprio nel rapporto con il medium artistico, cioè un rapporto di carattere formale. La scelta delle tecniche artistiche e la ricerca che vi è sottesa, così come la selezione dei materiali, dalle sabbie ai pigmenti fino ai lacerti di tessuto o alle componenti oggettuali, non rispondono ad una manifestazione di evidenza spettacolare, né tanto meno alludono ad una vitalistica irruzione di brani di realtà all'interno dell'opera e quindi ad un reciproco sconfinamento, ma si riferiscono ad una loro ricollocazione formale, ed è per questa via che il complesso carico di valori di quegli oggetti e di quelle evidenze materiali trovano uno spazio di risonanza nell'opera d'arte. Si tratta di un margine d'espansione e si direbbe di vibrazione che ne riattiva la profonda e sotterranea potenza evocativa. È all'incirca quanto affermava Cesare Brandi a proposito dei sacchi di Burri, rivendicando una distanza da letture troppo orientate sul versante esistenziale ed influenzate da un traslato immediato delle drammatiche vicende belliche, ed è quanto si può dire anche per le opere che Pagano espone in mostra. Rispetto a quella lettura si può temperare l'asserzione dello studioso senese con l'introduzione di una sorta di spiraglio, di smagliatura nella rete, che consente al coagulato di valori che la materia conduce con sé di assumere una portata non solo formale, ma evocativa, capace cioè di rendere conto delle stratificazioni che si sono sedimentate nel corso del tempo, incrociando la cultura con i luoghi, il territorio con la civiltà artistica, oltre che con il personale mondo interiore dell'artista, i suoi rimandi, le aspirazioni, le angosce. La traduzione di questo complesso di valori si realizza nel movimento impercettibile della linea, nell'ottundere la luce o nel rimandarla a noi modulata e variata”.
Completa la mostra l’installazione Inumbralux: una gabbia in ferro a base rettangolare, all’interno della quale è sospesa la scritta al neon che dà il titolo all’opera. Su un leggio, fissato al di sopra di tale struttura, si apre un libro - il Liber melancholie seu de tenebris, opera realizzata nel 2010 - riproducente particolari della Melencolia I di Dürer, immagini frammentarie che “si pongono sotto il segno di Spiritus phantasticus” (Agamben), il genio della creazione artistica, oltreché dei sogni e degli influssi magici, il putto alato della celebre incisione, all’inizio di un percorso di rinascita, di luce che rischiara le tenebre.
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