Nino Migliori. Il passato è un mosaico da incontrare
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© Nino Migliori
Dal 21 Giugno 2014 al 03 Luglio 2014
La Spezia
Luogo: Spazio Boss
Indirizzo: viale Mazzini
Curatori: Roberto Maggiori
Telefono per informazioni: +39 346 6879401
E-Mail info: info@spazioboss.org
Sito ufficiale: http://www.spazioboss.org/
Tra il 1950 e il 1959 il fotografo bolognese Nino Migliori esplora l’Italia attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, interessato alla realtà sociale finalmente accessibile e registrabile, dopo le censure del Ventennio. L’intento non è di denuncia né la ricerca di “facili” scorci pittoreschi, per l’autore si tratta di un’occasione per la sua incessante sperimentazione che lo vede coinvolto nel rinnovamento del linguaggio fotografico da oltre sessantacinque anni, dal 1948 in poi.
Il nome di Migliori è spesso associato a questa ansia di ricerca e curiosità sugli elementi fondanti della fotografia, curiosità che lo porterà a sperimentare le astrazioni dell’off camera, la manipolazione delle Polaroid, le sovraimpressioni, i fotomontaggi e quant’altro, senza mai tralasciare completamente la componente figurativa della fotografia che ritorna a intervalli regolari nel suo lavoro.
Così è nell’originale interpretazione del genere “Neorealista” difficilmente avvicinati da altri autori, attraverso uno stile asciutto, essenziale e allo stesso tempo ricco di informazioni sulla sfera sociale. Questi ritratti, e i paesaggi in cui sono inseriti, evocano, senza retorica, quel breve periodo di transizione che dalla decadenza post bellica sfocerà di lì a poco nel boom economico, attraverso la nascente globalizzazione che cancellerà in un sol colpo le tradizioni, gli usi e i costumi del passato, che ritroviamo invece indelebili nelle fotografie di Migliori.
A prescindere dalla grossolana classificazione delle etichette, la lettura del genere "Neorealista" fatta da Migliori è originale e sui generis. L’incontro con le “genti” del sud, del nord, dell’Emilia e del Delta, offrono all’autore un pretesto per mettere in scena, a ben vedere, anche alcuni elementi che si riscontreranno pienamente nelle arti visive solo a partire dalla successiva stagione culturale degli anni ’60. Dopo un iniziale e breve approccio formalista al tema, Migliori si fa infatti più sagace fino ad accennare questioni che saranno proprie della Pop Art, del Noveau Réalisme e della fotografia di ricerca che volge contemporaneamente lo sguardo alla realtà ripresa e al linguaggio che la rappresenta.
In questo Migliori sembra più vicino al punto di vista di certi autori nord americani, piuttosto che alla congerie europea che all’epoca dibatteva ancora tra le necessità di un documento formale – lirico diranno alcuni, suggestionati dall’estetica di Benedetto Croce – o didascalicamente giornalistico, sociale e politico. Certo l’approccio di Nino Migliori è stato in questo caso meno rigoroso di quello di un Walker Evans o dei suoi epigoni della Farm Security Administration, ma proprio per questo originale e portatore di una certa sintesi tra le istanze “umaniste” e quelle più algide dello “stile documentario”.
Il nome di Migliori è spesso associato a questa ansia di ricerca e curiosità sugli elementi fondanti della fotografia, curiosità che lo porterà a sperimentare le astrazioni dell’off camera, la manipolazione delle Polaroid, le sovraimpressioni, i fotomontaggi e quant’altro, senza mai tralasciare completamente la componente figurativa della fotografia che ritorna a intervalli regolari nel suo lavoro.
Così è nell’originale interpretazione del genere “Neorealista” difficilmente avvicinati da altri autori, attraverso uno stile asciutto, essenziale e allo stesso tempo ricco di informazioni sulla sfera sociale. Questi ritratti, e i paesaggi in cui sono inseriti, evocano, senza retorica, quel breve periodo di transizione che dalla decadenza post bellica sfocerà di lì a poco nel boom economico, attraverso la nascente globalizzazione che cancellerà in un sol colpo le tradizioni, gli usi e i costumi del passato, che ritroviamo invece indelebili nelle fotografie di Migliori.
A prescindere dalla grossolana classificazione delle etichette, la lettura del genere "Neorealista" fatta da Migliori è originale e sui generis. L’incontro con le “genti” del sud, del nord, dell’Emilia e del Delta, offrono all’autore un pretesto per mettere in scena, a ben vedere, anche alcuni elementi che si riscontreranno pienamente nelle arti visive solo a partire dalla successiva stagione culturale degli anni ’60. Dopo un iniziale e breve approccio formalista al tema, Migliori si fa infatti più sagace fino ad accennare questioni che saranno proprie della Pop Art, del Noveau Réalisme e della fotografia di ricerca che volge contemporaneamente lo sguardo alla realtà ripresa e al linguaggio che la rappresenta.
In questo Migliori sembra più vicino al punto di vista di certi autori nord americani, piuttosto che alla congerie europea che all’epoca dibatteva ancora tra le necessità di un documento formale – lirico diranno alcuni, suggestionati dall’estetica di Benedetto Croce – o didascalicamente giornalistico, sociale e politico. Certo l’approccio di Nino Migliori è stato in questo caso meno rigoroso di quello di un Walker Evans o dei suoi epigoni della Farm Security Administration, ma proprio per questo originale e portatore di una certa sintesi tra le istanze “umaniste” e quelle più algide dello “stile documentario”.
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