Da io a noi: la città senza confini fino al 17 dicembre
Cattelan e Vedovamazzei al Quirinale per la prima mostra dedicata all'arte contemporanea
Vedovamazzei, My Weakness, 2000. Materassi, bicicletta, crystal & mill 310×100×200 cm
Samantha De Martin
24/10/2017
Roma - I piccioni imbalsamati di Maurizio Cattelan ammiccano alla bicicletta sui materassi di Vedovamazzei e alle periferie degradate di Francesco Jodice, nei sontuosi appartamenti che furono di Alessandro VII Chigi e che ospitano, a partire dal 24 ottobre, le opere di 22 artisti italiani e internazionali.
Il Palazzo del Quirinale schiude, per la prima volta, le sue porte all’arte contemporanea per accogliere una mostra, la prima in assoluto di questo tipo, che indaga in chiave poetica e concettuale il tema delle periferie, creando un voluto corto circuito tra gli ambienti fastosi del passato e la percezione del presente, attraverso un percorso unico nel suo genere.
Promossa dalla Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dal Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, l’esposizione Da io a noi: la città senza confini, a cura di Anna Mattirolo, come afferma Federica Galloni, direttore generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane, «è un progetto ambizioso che ha, tra i vari obiettivi, quello di restituire, attraverso una selezione di opere, un panorama artistico d’eccellenza che racconti le varie interpretazioni del tema, consigliare al cittadino, con messaggi visivi, sonori o tattili, un maggiore rispetto di sé, per l’altro e per lo spazio, rafforzando la fiducia nelle istituzioni».
In quella che, dal 1946, è la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica, tra le stanze che un tempo ospitarono papi e sovrani, artisti come Maurizio Cattelan, Alberto Garutti, Vedovamazzei, Adrian Paci, Luca Vitone, Lara Favaretto, Grazia Toderi presentano, fino al 18 dicembre, le loro personali visioni delle odierne metropoli - prive di centro e di confini - enfatizzando le potenzialità che animano questi luoghi nella prospettiva contemporanea. L’originale progetto - ospitato nel Palazzo alla cui costruzione lavorarono insigni maestri dell’arte - da Pietro da Cortona a Domenico Fontana, da Carlo Maderno a Guido Reni - muove da una riflessione sul concetto di “periferico”, utilizzando i diversi linguaggi dell’arte contemporanea, dalla pittura alla fotografia, dalla scultura al video. L’obiettivo è quello di restituire una dimensione “poetica” di una società in continua trasformazione, seguendo le tracce lasciate dall’uomo sul territorio, le forme di paesaggio che l’azione umana genera, gli oggetti che perdono la loro funzione pratica per acquisire il valore di testimonianza del percorso di un’esistenza, l’identità che quel nuovo ambiente, così generato, è in grado di trasmettere.
Come la Grande Galleria di Flavio Favelli, che conduce il visitatore tra le luminarie di una festa di paese, o il tappeto di fili elettrici e lampadine dell’artista libanese Mona Hatoum.
Quello proposto dagli artisti in mostra è uno sguardo doppio, che travalica la condizione individuale e si allarga a quella collettiva, restituendo un immaginario visibile attinto però da storie e vissuti invisibili, come le narrazioni che si sviluppano nel contesto delle periferie, percepite come luoghi senza confini e in continuo mutamento nelle quali le persone tratteggiano il loro difficoltoso percorso di conquista di una propria, a volte trasformata, identità.
Un contesto nel quale si percepisce la necessità di passare dall’ “io al noi” per dar spazio a quella comunità senza la quale la rigenerazione urbana non sarebbe possibile.
Leggi anche:
• Da Duchamp a Cattelan: il Palatino incontra l'arte contemporanea
Il Palazzo del Quirinale schiude, per la prima volta, le sue porte all’arte contemporanea per accogliere una mostra, la prima in assoluto di questo tipo, che indaga in chiave poetica e concettuale il tema delle periferie, creando un voluto corto circuito tra gli ambienti fastosi del passato e la percezione del presente, attraverso un percorso unico nel suo genere.
Promossa dalla Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dal Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, l’esposizione Da io a noi: la città senza confini, a cura di Anna Mattirolo, come afferma Federica Galloni, direttore generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane, «è un progetto ambizioso che ha, tra i vari obiettivi, quello di restituire, attraverso una selezione di opere, un panorama artistico d’eccellenza che racconti le varie interpretazioni del tema, consigliare al cittadino, con messaggi visivi, sonori o tattili, un maggiore rispetto di sé, per l’altro e per lo spazio, rafforzando la fiducia nelle istituzioni».
In quella che, dal 1946, è la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica, tra le stanze che un tempo ospitarono papi e sovrani, artisti come Maurizio Cattelan, Alberto Garutti, Vedovamazzei, Adrian Paci, Luca Vitone, Lara Favaretto, Grazia Toderi presentano, fino al 18 dicembre, le loro personali visioni delle odierne metropoli - prive di centro e di confini - enfatizzando le potenzialità che animano questi luoghi nella prospettiva contemporanea. L’originale progetto - ospitato nel Palazzo alla cui costruzione lavorarono insigni maestri dell’arte - da Pietro da Cortona a Domenico Fontana, da Carlo Maderno a Guido Reni - muove da una riflessione sul concetto di “periferico”, utilizzando i diversi linguaggi dell’arte contemporanea, dalla pittura alla fotografia, dalla scultura al video. L’obiettivo è quello di restituire una dimensione “poetica” di una società in continua trasformazione, seguendo le tracce lasciate dall’uomo sul territorio, le forme di paesaggio che l’azione umana genera, gli oggetti che perdono la loro funzione pratica per acquisire il valore di testimonianza del percorso di un’esistenza, l’identità che quel nuovo ambiente, così generato, è in grado di trasmettere.
Come la Grande Galleria di Flavio Favelli, che conduce il visitatore tra le luminarie di una festa di paese, o il tappeto di fili elettrici e lampadine dell’artista libanese Mona Hatoum.
Quello proposto dagli artisti in mostra è uno sguardo doppio, che travalica la condizione individuale e si allarga a quella collettiva, restituendo un immaginario visibile attinto però da storie e vissuti invisibili, come le narrazioni che si sviluppano nel contesto delle periferie, percepite come luoghi senza confini e in continuo mutamento nelle quali le persone tratteggiano il loro difficoltoso percorso di conquista di una propria, a volte trasformata, identità.
Un contesto nel quale si percepisce la necessità di passare dall’ “io al noi” per dar spazio a quella comunità senza la quale la rigenerazione urbana non sarebbe possibile.
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