Le modelle di Michelangelo Merisi
Sante e peccatrici, nobili e plebee, dame e cortigiane: le donne di Caravaggio
(A sinistra) Caravaggio, Madonna di Loreto, Roma, Basilica di Sant'Agostino. (Al centro) Riposo durante la Fuga in Egitto, Roma, Galleria Doria Pamphilj. (A destra) Giuditta che taglia la testa a Oloferne, Roma, Gallerie Nazionali d'Arte Antica di Roma, Palazzo Barberini
Gianni Pittiglio
15/12/2017
Alle donne di Caravaggio sono stati dedicati studi, libri e romanzi. Non finisce di stupire il fatto che l’artista – per ritrarre le sue Vergini e le sue sante - abbia impiegato come modelle alcune cortigiane note nella Roma a cavallo tra il XVI e il XVII secolo.
Una scelta che già a quel tempo aveva destato non poco scandalo, e più di un rifiuto da parte dei committenti di lavori già portati a termine dall’artista.
Era una pittura realistica quella di Michelangelo Merisi, improntata alla resa del “vero”, e questo spiega il necessario ricorso alle modelle.
Di alcune di loro conosciamo i nomi, che compaiono nei documenti dell’epoca e nelle biografie del pittore. Alcune erano donne che i bandi papali escludevano dalla vita sociale o confinavano in alcuni quartieri, e comparivano sugli altari delle più importanti chiese della città prestando il volto alla Vergine nel Riposo dalla fuga in Egitto, alla Madonna dei Pellegrini, alla Giuditta che uccide Oloferne. Una scelta provocatoria che doveva risultare assai intollerabile per gran parte della gerarchia ecclesiastica romana, di una Roma controriformata peraltro.
La letteratura sul tema è vasta. A tutte le “Donne di Caravaggio” è stato dedicato l'omonimo volume di Francesca Santucci, in cui trovano spazio anche quelle ancora non rintracciate nei dipinti, ma citate dalle fonti, come ad esempio Monica Calvi detta Menicuccia, che frequentava personaggi d'altro lignaggio come il cardinale d'Este.
Il romanzo “Lena, che è donna di Caravaggio” di Alessandra Masu, invece, ruota tutto intorno alla figura di Maddalena Antognetti e alla vita nel rione Campo Marzio, tra taverne, osterie e odore di pittura.
Ma tre donne in particolare furono molto vicine a Caravaggio e attraverso l’analisi delle loro apparizioni nei dipinti è possibile collocarle in ordine cronologico all’interno della biografia del pittore.
Michelangelo Merisi, Riposo durante la Fuga in Egitto, 1597, olio su tela, 135,5 x 166,5 cm. Roma, Galleria Doria Pamphilj
ANNUCCIA «DAI CAPELLI LUNGHI E ROSCI»
La prima è Anna Bianchini, immortalata in alcuni dei primi quadri religiosi realizzati a Roma, ma anche in uno dei più celebri dell'ultimo periodo prima della fuga.
La donna, infatti, è la Maddalena penitente, la Maria del Riposo dalla fuga in Egitto, entrambi alla Galleria Doria Pamphilj, la Marta di Marta e Maddalena, oggi a Detroit (Institute of Arts), realizzati nella seconda metà degli anni '90, ma compare anche come protagonista della Morte della Vergineoggi al Louvre (1604 ca.).
In tutte le tele Annuccia mostra il suo carattere più identitario, la chioma fulva che le valse il soprannome di Anna la Rossa, a cui si riferisce Bellori che la descrive «dai capelli lunghi e rosci», nonché un rapporto di polizia che riporta «più presto piccola che grande e dai capelli rosci et lunghi».
Figlia di una prostituta senese e prostituta anche lei, viene citata dalle cronache del tempo come “frequentatrice di pittori”, una ragazza impetuosa e attaccabrighe. A tal proposito, un episodio da osteria la ricorda reagire a un «ecco qua Anna bel culo che ha» con un perentorio «forse tu hai il bel culo che io non ci attendo»; quando alcuni «volevano entrare dentro e me volevano toccare il culo», lei li aggredì con un coltello e uno di questi la definì «frustata», riferimento alle processioni sul dorso di un asino che Clemente VIII Aldobrandini (1598-1605) riservò alle prostitute come monito di morale pubblica.
Indubbiamente la raffigurazione in cui la donna destò più scandalo fu quella nella Morte della Vergine commissionata per la chiesa di Santa Maria della Scala, poi rifiutata e acquistata dai Gonzaga grazie alla segnalazione di Rubens.
Ancora oggi resta il dubbio se fu l’interesse dei signori di Mantova la reale causa del rifiuto del dipinto oppure la raffigurazione di una Madonna gonfia, per la quale la tradizione vuole che Caravaggio ritrasse una donna affogata nel Tevere, e in cui forse è possibile riconoscere proprio Anna Bianchini, che morì venticinquenne nel 1604, anno di esecuzione della tela.
Michelangelo Merisi, Giuditta che taglia la testa a Oloferne, 1602. Olio su tela, 145 x 195 cm. Roma, Gallerie Nazionali d'Arte Antica di Roma, Palazzo Barberini
LA SENESE FILLIDE MELANDRONI
Tornando invece al dipinto di Detroit, la Maddalena convertita dalla sorella, ritratta mentre regge lo specchio, tradizionale simbolo di vanità, è impersonata da Fillide Melandroni, altra prostituta molto nota al tempo, amica della stessa Anna Bianchini e, come lei, proveniente da Siena.
La ragazza compare, in un arco di tempo che va dal 1597 al 1602, anche nei panni della Santa Caterina oggi a Madrid (Museo Thyssen-Bornemisza), in quelli dell'eroina biblica in Giuditta e Oloferne (Roma, Palazzo Barberini), e in due tele purtroppo scomparse: il ritratto che Caravaggio aveva dedicato alla donna e che venne distrutto a Berlino durante la Seconda guerra mondiale (stessa sorte che spettò alla prima versione del San Matteo e l’angelo della Cappella Contarelli) e nella Natività con i santi Francesco e Lorenzo dell’oratorio di San Lorenzo di Palermo, da dove venne trafugata nell’ottobre del 1969 e mai più trovata.
Fillide abitava in via Condotti, dove spesso organizzava feste a cui partecipavano invitati non sempre raccomandabili. Tra i suoi amici c’era anche Ranuccio Tomassoni, l’uomo che verrà ucciso nel 1606 dallo stesso Caravaggio dopo una lite durante una partita di pallacorda, l’omicidio che costringerà il pittore alla fuga da Roma e a quel peregrinare in attesa della grazia di Paolo V Borghese, che arriverà troppo tardi.
Anche Fillide fu spinta a lasciare Roma qualche anno più tardi, nel 1612, dalla famiglia del suo amante, l’avvocato apostolico Giulio Strozzi. Morì a trentasette anni nel 1618 e le fu negata una sepoltura cristiana non essendo “in ordine” con la Chiesa.
Michelangelo Merisi, Madonna di Loreto (Madonna dei Pellegrini), 1604-1605, olio su tela, 260 x 150 cm. Roma, Basilica di Sant'Agostino, cappella Cavalletti
MADDALENA ANTOGNETTI, LA DONNA DI MICHELANGELO
La terza donna protagonista delle tele caravaggesche è Maddalena Antognetti, detta Lena, “interprete” della Vergine sia nella Madonna dei Pellegrini di Sant’Agostino che nella Madonna dei Palafrenieri della Galleria Borghese, nonché della Maddalena in estasiin collezione privata a Roma (e di cui ne esistono otto versioni copiate in quegli anni).
Il primo dei tre dipinti, oltre per i celebri piedi sporchi dei pellegrini, venne criticato per l’eccessiva avvenenza della Vergine, inopportuna dopo i dettami controriformistici, tanto da far parlare Baglione di “lascivia dalla sfacciata bellezza”.
Anche Lena era una prostituta e da giovanissima era stata l’amante del cardinal Montalto, il potente Alessandro Damasceni Peretti, nipote di papa Sisto V (1585-90). Nel 1602 la nascita di un figlio le chiuse le porte della clientela ecclesiastica e, dal 1604 al 1606, epoca a cui risalgono i dipinti in cui compare, fu molto vicina a Caravaggio, tanto da essere chiamata in alcune cronache la “donna di Michelangelo”. Morì ventottenne nel 1610.
Una scelta che già a quel tempo aveva destato non poco scandalo, e più di un rifiuto da parte dei committenti di lavori già portati a termine dall’artista.
Era una pittura realistica quella di Michelangelo Merisi, improntata alla resa del “vero”, e questo spiega il necessario ricorso alle modelle.
Di alcune di loro conosciamo i nomi, che compaiono nei documenti dell’epoca e nelle biografie del pittore. Alcune erano donne che i bandi papali escludevano dalla vita sociale o confinavano in alcuni quartieri, e comparivano sugli altari delle più importanti chiese della città prestando il volto alla Vergine nel Riposo dalla fuga in Egitto, alla Madonna dei Pellegrini, alla Giuditta che uccide Oloferne. Una scelta provocatoria che doveva risultare assai intollerabile per gran parte della gerarchia ecclesiastica romana, di una Roma controriformata peraltro.
La letteratura sul tema è vasta. A tutte le “Donne di Caravaggio” è stato dedicato l'omonimo volume di Francesca Santucci, in cui trovano spazio anche quelle ancora non rintracciate nei dipinti, ma citate dalle fonti, come ad esempio Monica Calvi detta Menicuccia, che frequentava personaggi d'altro lignaggio come il cardinale d'Este.
Il romanzo “Lena, che è donna di Caravaggio” di Alessandra Masu, invece, ruota tutto intorno alla figura di Maddalena Antognetti e alla vita nel rione Campo Marzio, tra taverne, osterie e odore di pittura.
Ma tre donne in particolare furono molto vicine a Caravaggio e attraverso l’analisi delle loro apparizioni nei dipinti è possibile collocarle in ordine cronologico all’interno della biografia del pittore.
Michelangelo Merisi, Riposo durante la Fuga in Egitto, 1597, olio su tela, 135,5 x 166,5 cm. Roma, Galleria Doria Pamphilj
ANNUCCIA «DAI CAPELLI LUNGHI E ROSCI»
La prima è Anna Bianchini, immortalata in alcuni dei primi quadri religiosi realizzati a Roma, ma anche in uno dei più celebri dell'ultimo periodo prima della fuga.
La donna, infatti, è la Maddalena penitente, la Maria del Riposo dalla fuga in Egitto, entrambi alla Galleria Doria Pamphilj, la Marta di Marta e Maddalena, oggi a Detroit (Institute of Arts), realizzati nella seconda metà degli anni '90, ma compare anche come protagonista della Morte della Vergineoggi al Louvre (1604 ca.).
In tutte le tele Annuccia mostra il suo carattere più identitario, la chioma fulva che le valse il soprannome di Anna la Rossa, a cui si riferisce Bellori che la descrive «dai capelli lunghi e rosci», nonché un rapporto di polizia che riporta «più presto piccola che grande e dai capelli rosci et lunghi».
Figlia di una prostituta senese e prostituta anche lei, viene citata dalle cronache del tempo come “frequentatrice di pittori”, una ragazza impetuosa e attaccabrighe. A tal proposito, un episodio da osteria la ricorda reagire a un «ecco qua Anna bel culo che ha» con un perentorio «forse tu hai il bel culo che io non ci attendo»; quando alcuni «volevano entrare dentro e me volevano toccare il culo», lei li aggredì con un coltello e uno di questi la definì «frustata», riferimento alle processioni sul dorso di un asino che Clemente VIII Aldobrandini (1598-1605) riservò alle prostitute come monito di morale pubblica.
Indubbiamente la raffigurazione in cui la donna destò più scandalo fu quella nella Morte della Vergine commissionata per la chiesa di Santa Maria della Scala, poi rifiutata e acquistata dai Gonzaga grazie alla segnalazione di Rubens.
Ancora oggi resta il dubbio se fu l’interesse dei signori di Mantova la reale causa del rifiuto del dipinto oppure la raffigurazione di una Madonna gonfia, per la quale la tradizione vuole che Caravaggio ritrasse una donna affogata nel Tevere, e in cui forse è possibile riconoscere proprio Anna Bianchini, che morì venticinquenne nel 1604, anno di esecuzione della tela.
Michelangelo Merisi, Giuditta che taglia la testa a Oloferne, 1602. Olio su tela, 145 x 195 cm. Roma, Gallerie Nazionali d'Arte Antica di Roma, Palazzo Barberini
LA SENESE FILLIDE MELANDRONI
Tornando invece al dipinto di Detroit, la Maddalena convertita dalla sorella, ritratta mentre regge lo specchio, tradizionale simbolo di vanità, è impersonata da Fillide Melandroni, altra prostituta molto nota al tempo, amica della stessa Anna Bianchini e, come lei, proveniente da Siena.
La ragazza compare, in un arco di tempo che va dal 1597 al 1602, anche nei panni della Santa Caterina oggi a Madrid (Museo Thyssen-Bornemisza), in quelli dell'eroina biblica in Giuditta e Oloferne (Roma, Palazzo Barberini), e in due tele purtroppo scomparse: il ritratto che Caravaggio aveva dedicato alla donna e che venne distrutto a Berlino durante la Seconda guerra mondiale (stessa sorte che spettò alla prima versione del San Matteo e l’angelo della Cappella Contarelli) e nella Natività con i santi Francesco e Lorenzo dell’oratorio di San Lorenzo di Palermo, da dove venne trafugata nell’ottobre del 1969 e mai più trovata.
Fillide abitava in via Condotti, dove spesso organizzava feste a cui partecipavano invitati non sempre raccomandabili. Tra i suoi amici c’era anche Ranuccio Tomassoni, l’uomo che verrà ucciso nel 1606 dallo stesso Caravaggio dopo una lite durante una partita di pallacorda, l’omicidio che costringerà il pittore alla fuga da Roma e a quel peregrinare in attesa della grazia di Paolo V Borghese, che arriverà troppo tardi.
Anche Fillide fu spinta a lasciare Roma qualche anno più tardi, nel 1612, dalla famiglia del suo amante, l’avvocato apostolico Giulio Strozzi. Morì a trentasette anni nel 1618 e le fu negata una sepoltura cristiana non essendo “in ordine” con la Chiesa.
Michelangelo Merisi, Madonna di Loreto (Madonna dei Pellegrini), 1604-1605, olio su tela, 260 x 150 cm. Roma, Basilica di Sant'Agostino, cappella Cavalletti
MADDALENA ANTOGNETTI, LA DONNA DI MICHELANGELO
La terza donna protagonista delle tele caravaggesche è Maddalena Antognetti, detta Lena, “interprete” della Vergine sia nella Madonna dei Pellegrini di Sant’Agostino che nella Madonna dei Palafrenieri della Galleria Borghese, nonché della Maddalena in estasiin collezione privata a Roma (e di cui ne esistono otto versioni copiate in quegli anni).
Il primo dei tre dipinti, oltre per i celebri piedi sporchi dei pellegrini, venne criticato per l’eccessiva avvenenza della Vergine, inopportuna dopo i dettami controriformistici, tanto da far parlare Baglione di “lascivia dalla sfacciata bellezza”.
Anche Lena era una prostituta e da giovanissima era stata l’amante del cardinal Montalto, il potente Alessandro Damasceni Peretti, nipote di papa Sisto V (1585-90). Nel 1602 la nascita di un figlio le chiuse le porte della clientela ecclesiastica e, dal 1604 al 1606, epoca a cui risalgono i dipinti in cui compare, fu molto vicina a Caravaggio, tanto da essere chiamata in alcune cronache la “donna di Michelangelo”. Morì ventottenne nel 1610.
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