Piranesi Ritrovato
Dal 14 Dicembre 2012 al 14 Aprile 2013
Cagliari
Luogo: Centro Comunale d'Arte e Cultura il Ghetto/ Palazzo di città
Indirizzo: via Santa Croce 18
Orari: da martedì a domenica 9-13/ 16-20
Curatori: Maria Grazia Scano
Costo del biglietto: intero 5 euro, ridotto 3 euro, scolaresche 2 euro
Telefono per informazioni: +39 070 6402115
E-Mail info: ilghetto@tiscali.it
"Piranesi ritrovato", due mostre al Ghetto e al Palazzo di Città. Una scoperta, un grande nome, una città contemporanea. Un percorso di riflessione sui testi e contesti urbani del passato, del presente e del futuro nato dalla riscoperta delle opere di uno degli artisti più visionari, Giovanni Battista Piranesi, con oltre mille stampe conservate nella Biblioteca del Dipartimento di Architettura dell’Università di Cagliari e ora ritornate alla luce dopo quasi cento anni.
Un consistente fondo di incisioni di cui si era persa memoria che ha generato tre mostre legate tra loro a doppio nodo: al Museo di Belle Arti di Bilbao, al Centro Comunale d’Arte e Cultura il Ghetto e al Palazzo di Città di Cagliari. Un progetto avvolgente che mescola i grandi territori dell’arte che oggi appaiono sempre più imponderabili e viaggia nel segno di Giovanni Battista Piranesi e della memoria visionaria.
Il progetto espositivo Piranesi ritrovato. L’ideologia del bene comune per la città, curato dalla professoressa Maria Grazia Scano Naitza, allestito al Ghetto, offre ai visitatori la possibilità di conoscere e apprezzare una parte dell’opera incisa del grande artista. La mostra è divisa in 5 sezioni distinte: la prima sezione sui Capricci o Grotteschi, la sezione 2 sulla sua più celebre opera de Le Carceri, la sezione 3 riprende la prima parte di Architetture e prospettive, la sezione 4 riporta parte delle antichità romane, e nell’ultima sezione sono presentate Le rovine del Castello dell’Acqua Giulia - diverse maniere - vasi – candelabri.
Il Palazzo di Città ospiterà invece Piranesi ritrovato. Segni del paesaggio urbano, mostra curata da Anna Maria Montaldo e Gabriella Locci. L'esposizione è il risultato dei lavori di un gruppo selezionato di artisti chiamati, durante un workshop curato da Casa Falconieri, a guardare la città cercando una nuova visione ispirata a Giovanni Battista Piranesi. Gli artisti sono Andrea Casciu, Veronica Gambula, Vincenzo Grosso, Andrea Hilger, Caterina Lai, Ignacio Llamas, Gabriella Locci, Paolo Ollano, Roberto Puzzu, Giovanna Secchi, Alberto Spada, Andrea Spiga, e la città di Cagliari.
Il titolo della mostra, Piranesi ritrovato, si riferisce alla riscoperta nei cassetti della Biblioteca della Facoltà di Architettura di un consistente fondo di incisioni, di cui si era persa memoria. Il fondo, costituito inizialmente da circa milletrecento stampe, per la maggior parte contenute in cartelle, altre presenti come fogli sciolti, fu acquisito nel 1916 dall’allora Real Museo dell’Università di Cagliari, in un momento storico difficile in cui, tuttavia, le istituzioni statali investivano fortemente nella formazione culturale, soprattutto relativamente a quella di ingegneri e architetti. A questo scopo, in quegli anni, la Calcografia Nazionale provvide a una tiratura massiccia di stampe dalle lastre del Piranesi e alla loro distribuzione ai Musei e ai Gabinetti dei disegni e delle stampe annessi alle Biblioteche nazionali. Il fondo da cui sono tratte le opere in mostra, conservato nella Facoltà di Architettura, fu acquisito in coincidenza con una fase di rinascita dell’incisione originale in Italia e in Europa. La Sardegna era pienamente partecipe di questa temperie: artisti come Giuseppe Biasi, Mario Delitala, Stanis Dessy, Remo Branca, Carmelo Floris e Felice Melis Marini lavoravano in campo xilografico e calcografico per affermare attraverso le immagini un’idea di Sardegna diversa da quella accreditata in Italia in quel momento, e per rivendicare la specificità dell’identità sarda.
L’esposizione cagliaritana, che si svolge in gemellaggio con quella organizzata dalla Casa Falconieri al Museo de Bellas Artes di Bilbao dal titolo Giovanni Battista Piranesi, la memoria visionaria (con duecentocinquantasei opere tratte dallo stesso fondo), intende offrire ai visitatori la possibilità di conoscere e apprezzare una piccola parte dell’opera incisa del grande artista.
Architetto quasi privo di commissioni, appassionato cultore di archeologia, l’acquafortista Giovanni Battista Piranesi, nato a Mogliano di Mestre nel 1720 e morto a Roma nel 1778, pur con salde radici nell’arte e nella cultura del suo tempo, resta una figura isolata, proiettata verso soluzioni inedite, in bilico tra le vertigini prospettiche di un barocco fantastico, il rigore scientifico di una formazione di architetto, il sublime del grandioso e le suggestioni surrealiste ante litteram. Incisore “originale”, ovvero autore sia del disegno sia del procedimento tecnico dell’incidere, fu artista difficile e problematico, caro ai romantici inglesi, amatissimo dagli specialisti dell’incisione. Le sue innovazioni nella tecnica dell’acquaforte consistono nell’impiego di ripetute coperture di vernice protettiva su cui apportare nuovi segni prima di procedere a una seconda morsura della matrice dovute all’esigenza di ottenere ombre più profonde di quelle consentite dalla morsura piana, come si vede se si confrontano la prima e la seconda versione delle babeliche e inquietanti Carceri, la serie più nota della sua amplissima attività nel settore calcografico. Anche nelle Carceri il suo estro fantastico si nutre delle suggestioni dell’antico, inteso innanzitutto come romanità nell’accezione più ampia, come civiltà che assorbe non solo la cultura etrusca e italica, ma anche quella egizia. Nella concezione di Piranesi l’antico non coincide con l’idea del “classico”. L’antichità è per lui “luogo” pieno di fermenti e di inquietudini, in cui trovano spazio il simbolo e le valenze misteriosofiche dell’esistente, come è chiaro nei quattro giovanili Capricci che si prestano a letture in chiave ermetica. Questo dato culturale riaffiora continuamente nelle incisioni del Piranesi. La sua visione non si ferma al fascino delle rovine e alla loro sublime imponenza, non si limita, come avevano fatto Luca Carlevaris per Venezia e Giuseppe Vasi per Roma, agli aspetti meramente estetici, ma li supera per analizzare scientificamente i metodi costruttivi, gli aspetti strutturali, la funzione pratica e sociale delle “grandi opere” romane, quali i ponti, le strade, le terme, la cloaca massima, gli acquedotti.
Nella querelle che si sviluppa soprattutto negli anni Cinquanta del Settecento sulla superiorità dell’arte greca su quella romana, Piranesi prende lucidamente posizione a favore di Roma. Il grande artista ricerca il segreto della grandiosità dei monumenti romani attraverso l’esame diretto: da archeologo consumato li seziona, misura e sviscera studiandoli sin dalle fondamenta, analizzando murature e metodi costruttivi e ricomponendo il tutto con artifici prospettici che li collocano nella tersa luce dei cieli di Roma.
La sua alta concezione della civiltà romana, che si allinea all’analisi storica svolta nei suoi scritti da Giovambattista Vico, è sorretta da una forte passione civile, come risulta con estrema chiarezza dagli scritti che accompagnano le raccolte delle sue incisioni. La sua idea della magnificenza dell’architettura romana è tutt’uno con quella della sua destinazione pubblica, mirata al “bene comune”.
Più in generale si può concludere che la mostra vuole offrire spunti di riflessione sull’idea della città espressa dal Piranesi, per trarne insegnamenti utili anche altrove nel nostro tempo. Sebbene Cagliari non sia paragonabile alla Roma caput mundi dell’antichità classica né alla Roma del Settecento, imprescindibile meta degli artisti europei, resta valida la lezione piranesiana che è compito degli intellettuali, degli urbanisti e degli architetti salvaguardare la memoria storica e finalizzare il loro impegno al “bene comune”.
Un consistente fondo di incisioni di cui si era persa memoria che ha generato tre mostre legate tra loro a doppio nodo: al Museo di Belle Arti di Bilbao, al Centro Comunale d’Arte e Cultura il Ghetto e al Palazzo di Città di Cagliari. Un progetto avvolgente che mescola i grandi territori dell’arte che oggi appaiono sempre più imponderabili e viaggia nel segno di Giovanni Battista Piranesi e della memoria visionaria.
Il progetto espositivo Piranesi ritrovato. L’ideologia del bene comune per la città, curato dalla professoressa Maria Grazia Scano Naitza, allestito al Ghetto, offre ai visitatori la possibilità di conoscere e apprezzare una parte dell’opera incisa del grande artista. La mostra è divisa in 5 sezioni distinte: la prima sezione sui Capricci o Grotteschi, la sezione 2 sulla sua più celebre opera de Le Carceri, la sezione 3 riprende la prima parte di Architetture e prospettive, la sezione 4 riporta parte delle antichità romane, e nell’ultima sezione sono presentate Le rovine del Castello dell’Acqua Giulia - diverse maniere - vasi – candelabri.
Il Palazzo di Città ospiterà invece Piranesi ritrovato. Segni del paesaggio urbano, mostra curata da Anna Maria Montaldo e Gabriella Locci. L'esposizione è il risultato dei lavori di un gruppo selezionato di artisti chiamati, durante un workshop curato da Casa Falconieri, a guardare la città cercando una nuova visione ispirata a Giovanni Battista Piranesi. Gli artisti sono Andrea Casciu, Veronica Gambula, Vincenzo Grosso, Andrea Hilger, Caterina Lai, Ignacio Llamas, Gabriella Locci, Paolo Ollano, Roberto Puzzu, Giovanna Secchi, Alberto Spada, Andrea Spiga, e la città di Cagliari.
Il titolo della mostra, Piranesi ritrovato, si riferisce alla riscoperta nei cassetti della Biblioteca della Facoltà di Architettura di un consistente fondo di incisioni, di cui si era persa memoria. Il fondo, costituito inizialmente da circa milletrecento stampe, per la maggior parte contenute in cartelle, altre presenti come fogli sciolti, fu acquisito nel 1916 dall’allora Real Museo dell’Università di Cagliari, in un momento storico difficile in cui, tuttavia, le istituzioni statali investivano fortemente nella formazione culturale, soprattutto relativamente a quella di ingegneri e architetti. A questo scopo, in quegli anni, la Calcografia Nazionale provvide a una tiratura massiccia di stampe dalle lastre del Piranesi e alla loro distribuzione ai Musei e ai Gabinetti dei disegni e delle stampe annessi alle Biblioteche nazionali. Il fondo da cui sono tratte le opere in mostra, conservato nella Facoltà di Architettura, fu acquisito in coincidenza con una fase di rinascita dell’incisione originale in Italia e in Europa. La Sardegna era pienamente partecipe di questa temperie: artisti come Giuseppe Biasi, Mario Delitala, Stanis Dessy, Remo Branca, Carmelo Floris e Felice Melis Marini lavoravano in campo xilografico e calcografico per affermare attraverso le immagini un’idea di Sardegna diversa da quella accreditata in Italia in quel momento, e per rivendicare la specificità dell’identità sarda.
L’esposizione cagliaritana, che si svolge in gemellaggio con quella organizzata dalla Casa Falconieri al Museo de Bellas Artes di Bilbao dal titolo Giovanni Battista Piranesi, la memoria visionaria (con duecentocinquantasei opere tratte dallo stesso fondo), intende offrire ai visitatori la possibilità di conoscere e apprezzare una piccola parte dell’opera incisa del grande artista.
Architetto quasi privo di commissioni, appassionato cultore di archeologia, l’acquafortista Giovanni Battista Piranesi, nato a Mogliano di Mestre nel 1720 e morto a Roma nel 1778, pur con salde radici nell’arte e nella cultura del suo tempo, resta una figura isolata, proiettata verso soluzioni inedite, in bilico tra le vertigini prospettiche di un barocco fantastico, il rigore scientifico di una formazione di architetto, il sublime del grandioso e le suggestioni surrealiste ante litteram. Incisore “originale”, ovvero autore sia del disegno sia del procedimento tecnico dell’incidere, fu artista difficile e problematico, caro ai romantici inglesi, amatissimo dagli specialisti dell’incisione. Le sue innovazioni nella tecnica dell’acquaforte consistono nell’impiego di ripetute coperture di vernice protettiva su cui apportare nuovi segni prima di procedere a una seconda morsura della matrice dovute all’esigenza di ottenere ombre più profonde di quelle consentite dalla morsura piana, come si vede se si confrontano la prima e la seconda versione delle babeliche e inquietanti Carceri, la serie più nota della sua amplissima attività nel settore calcografico. Anche nelle Carceri il suo estro fantastico si nutre delle suggestioni dell’antico, inteso innanzitutto come romanità nell’accezione più ampia, come civiltà che assorbe non solo la cultura etrusca e italica, ma anche quella egizia. Nella concezione di Piranesi l’antico non coincide con l’idea del “classico”. L’antichità è per lui “luogo” pieno di fermenti e di inquietudini, in cui trovano spazio il simbolo e le valenze misteriosofiche dell’esistente, come è chiaro nei quattro giovanili Capricci che si prestano a letture in chiave ermetica. Questo dato culturale riaffiora continuamente nelle incisioni del Piranesi. La sua visione non si ferma al fascino delle rovine e alla loro sublime imponenza, non si limita, come avevano fatto Luca Carlevaris per Venezia e Giuseppe Vasi per Roma, agli aspetti meramente estetici, ma li supera per analizzare scientificamente i metodi costruttivi, gli aspetti strutturali, la funzione pratica e sociale delle “grandi opere” romane, quali i ponti, le strade, le terme, la cloaca massima, gli acquedotti.
Nella querelle che si sviluppa soprattutto negli anni Cinquanta del Settecento sulla superiorità dell’arte greca su quella romana, Piranesi prende lucidamente posizione a favore di Roma. Il grande artista ricerca il segreto della grandiosità dei monumenti romani attraverso l’esame diretto: da archeologo consumato li seziona, misura e sviscera studiandoli sin dalle fondamenta, analizzando murature e metodi costruttivi e ricomponendo il tutto con artifici prospettici che li collocano nella tersa luce dei cieli di Roma.
La sua alta concezione della civiltà romana, che si allinea all’analisi storica svolta nei suoi scritti da Giovambattista Vico, è sorretta da una forte passione civile, come risulta con estrema chiarezza dagli scritti che accompagnano le raccolte delle sue incisioni. La sua idea della magnificenza dell’architettura romana è tutt’uno con quella della sua destinazione pubblica, mirata al “bene comune”.
Più in generale si può concludere che la mostra vuole offrire spunti di riflessione sull’idea della città espressa dal Piranesi, per trarne insegnamenti utili anche altrove nel nostro tempo. Sebbene Cagliari non sia paragonabile alla Roma caput mundi dell’antichità classica né alla Roma del Settecento, imprescindibile meta degli artisti europei, resta valida la lezione piranesiana che è compito degli intellettuali, degli urbanisti e degli architetti salvaguardare la memoria storica e finalizzare il loro impegno al “bene comune”.
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