A Roma dal 1° novembre al 4 febbraio
Bernini, regista e genio "a tutto tondo" alla Galleria Borghese
Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, marmo, 109 x 255 cm, Roma, Galleria Borghese
Samantha De Martin
30/10/2017
Roma - Qualcuno va anche fuori percorso e finisce negli uffici della Galleria Borghese, probabilmente nel tentativo di allungare il più possibile quel palcoscenico sul quale Gian Lorenzo Bernini scultore, pittore, regista della grande immagine di Roma si esibisce nella straordinaria “foresta di statue” nel cuore di Villa Borghese.
Toglie il fiato la grande mostra dedicata al maestro del Barocco, che aprirà al pubblico dal 1° novembre al 4 febbraio. Non soltanto per l’incredibile naturalezza con la quale marmi, tele, modelli preparatori in terracotta, putti, frutto di prestiti internazionali e privati, si integrano con gli altri capolavori, nove dei quali dello stesso Bernini, parte della collezione permanente della Galleria. Ma soprattutto perché, per la prima volta, tutta insieme e in uno stesso luogo è esposta la natura del genio “a tutto tondo”, l'esuberante mano capace di passare, con inarrivabile destrezza, dal pennello allo scalpello, dai piccoli ritratti su tela ai monumentali gruppi marmorei.
D’altra parte il fil rouge della mostra - che celebra i 20 anni dalla riapertura della Galleria - a cura del direttore Anna Coliva e di Andrea Bacchi - è proprio la Galleria Borghese, quale scena privilegiata della scultura di Gian Lorenzo Bernini, il grande pittore la cui lunga carriera artistica ha conosciuto ben nove papati. E lo si capisce anche dalla perfetta fusione tra i capolavori, gli ambienti e le altre opere d’arte con le quali i lavori dell’artista intessono un dialogo complice.
Anche perché Gian Lorenzo Bernini nella Villa Borghese era di casa. Il cardinale Scipione, suo primo committente, lo aveva voluto autore di gruppi marmorei autonomi, per dare “figura di immaginazione” allo spazio in ogni stanza, mentre papa Urbano VIII, il successivo committente, lo volle scultore integrato in una costruzione globale dello spazio, che fosse architettura ma al contempo comprendesse dentro di sé luce, colore, figurazione, illusioni dimensionali e proporzionali.
L’esposizione dedicata all’artista di Napoli, presentata oggi alla stampa, si pone, come ha spiegato anche il direttore Coliva, in continuità con il discorso critico avviato nel 1998 con la mostra Bernini scultore: la nascita del barocco in Casa Borghese, ma ne costituisce anche il superamento perché mette in luce tutte le scoperte e le intuizioni frutto degli studi condotti negli ultimi anni.
«In questo nuovo percorso possiamo ammirare l’intera produzione scultorea di Bernini - spiega Coliva - con l’unica eccezione del Martirio di San Lorenzo, della Collezione Contini Bonacossi, il cui prestito non è stato autorizzato dalla Galleria degli Uffizi».
Ma poco conta, le opere sono tante e gli occhi fanno fatica ad abbracciarle tutte, con quella loro perfezione e l’intensità dei volti che emoziona e un po’ stordisce.
Varcando l’ingresso della galleria l’impatto è straordinario, con la prima delle otto sezioni nelle quali si articola la mostra - che non segue un percorso cronologico - che ripercorre l’apprendistato e l’attività giovanile di Gian Lorenzo con un focus sulle opere realizzate in stretto dialogo o in diretta collaborazione con il padre Pietro, come Inverno, Primavera, Estate e Autunno, provenienti da collezioni private. Inverno, in particolare, realizzata da Bernini senior intorno al 1620, “con il mantello foderato di pelle di pecora, immaginato come un pastore della campagna romana”, è un capolavoro tutto nello spirito della Maniera. Impossibile, sempre in questa prima sala, dove si innalza, maestosa, una sublime Verità svelata, staccare lo sguardo dalla statua di Santa Bibiana fresca di restauro, un’altra grande novità di questo percorso espositivo. È infatti la prima volta che la monumentale opera lascia l’omonima chiesa romana nel quartiere Esquilino - per la quale fu concepita e realizzata da Bernini tra il 1624 e il 1624 - per raggiungere un museo, il cui portico ha anche ospitato il restauro del capolavoro a cantiere aperto. Restauro che, insieme con l’esposizione della Santa Bibiana, è stato realizzato in collaborazione con il Museum of the Bible di Washington che aprirà i battenti il prossimo 17 novembre e che ha offerto il suo contributo in cambio del prestito di un’opera da parte della Galleria Borghese.
«L’eccezionale spostamento della statua - ha spiegato il co-curatore Andrea Bacchi - che molto probabilmente lasciò il suo posto originario solo un'altra volta, durante i bombardamenti, per essere ricoverata in Vaticano, ha consentito di cogliere da vicino alcuni particolari altrimenti invisibili nella sua originaria collocazione, nella nicchia della Chiesa. Dopo il ricovero in Vaticano, infatti, la scultura fu poi rimontata in modo sbagliato rispetto alla sua posizione originale. Al termine della mostra alla Galleria Borghese la si potrà, molto probabilmente, ammirare così come Bernini l’aveva pensata».
Al genere dei putti - più volte affrontato dal giovanissimo Bernini, sebbene poi dimenticato dal maestro che non voleva essere ricordato per quegli juvenilia - appartiene la Capra Amaltea accostata agli altri putti di Gian Lorenzo. Ma è tra le dinamiche forme dei gruppi borghesiani - Enea ed Anchise, accostato in dialogo con il dipinto raffigurante lo stesso soggetto di Federico Barocci, o il meraviglioso Apollo e Dafne - che lo sgurdo rimane imbrigliato, per poi perdersi tra i busti in marmo. Come quelli del Museo di San Giovanni dei Fiorentini, raramente visibili al pubblico, o di Richelieu - in prestito dal Louvre - il cardinale che l’artista non incontrò mai, ma del quale riuscì a riprodurre fedelmente l’espressione, sulla base di un dipinto inviatogli direttamente da Parigi.
La sezione dedicata alla pittura completa la descrizione di Bernini come artista a tutto tondo. Accanto a un ristretto numero di tele - tra le quali un Ritratto di giovane sbarbato e un Autoritratto maturo - che evidenziano come la pratica della pittura fosse per l’artista una forma di esercizio privato - compare in mostra l’unico dipinto attestato come opera del Bernini già da un inventario di primo Seicento. I Santi Andrea e Tommaso apostoli della National Gallery di Londra - non presente nella mostra del 1998 - sono infatti un’opera chiave per la conoscenza di Gian Lorenzo pittore.
Non potendo essere materialmente trasportati in occasione della grande kermesse alla Galleria Borghese, i capolavori realizzati da Gian Lorenzo per Roma passano attraverso i modelli preparatori, come quello della Fontana dei Fiumi, in legno, terracotta, cera e metallo, o attraverso lo studio per il monumento equestre di Luigi XIV, presenti in mostra.
Ma è nel Busto del Salvator Mundi - l’ultima opera di Bernini - proveniente da San Sebastiano fuori le Mura ed esposto per la prima volta accanto a quello del Museum of Art di Norfolk, o nel Cristo crocifisso in bronzo delle Collezioni Reali di Madrid accanto a quello dell’Art gallery of Ontario di Toronto, che si coglie la deriva mistica dello scultore-poeta.
«L’eccezionalità di questo percorso nel quale anche l’illuminazione gioca un ruolo importante - ha ribadito Anna Coliva - scaturisce anche dall’allestimento, difficile perché effettuato a museo aperto, tra i turisti in visita, ma soprattutto per il “volume” delle opere».
I numeri - sebbene affrontati grazie all’importante supporto di Fendi, Intesa Sanpaolo e del Museum of the Bible di Washington - sono comunque importanti: oltre 700mila euro, che includono 500mila euro per il trasporto delle opere e 62mila euro per il restauro della Santa Bibiana. Una missione perfettamente compiuta, il cui risultato è senza dubbio un regalo al cuore.
"We are lucky" esordisce una coppia di turisti, nonostante sia rimasta fuori dalla Galleria, chiusa il lunedì. “Non importa, l’importante è essere a Roma, la vedremo prossimamente”. È il potere di Bernini, bellezza.
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• Bernini. Galleria Borghese
• Fendi e la Galleria Borghese. Un connubio nel segno dell'arte e di Caravaggio
Toglie il fiato la grande mostra dedicata al maestro del Barocco, che aprirà al pubblico dal 1° novembre al 4 febbraio. Non soltanto per l’incredibile naturalezza con la quale marmi, tele, modelli preparatori in terracotta, putti, frutto di prestiti internazionali e privati, si integrano con gli altri capolavori, nove dei quali dello stesso Bernini, parte della collezione permanente della Galleria. Ma soprattutto perché, per la prima volta, tutta insieme e in uno stesso luogo è esposta la natura del genio “a tutto tondo”, l'esuberante mano capace di passare, con inarrivabile destrezza, dal pennello allo scalpello, dai piccoli ritratti su tela ai monumentali gruppi marmorei.
D’altra parte il fil rouge della mostra - che celebra i 20 anni dalla riapertura della Galleria - a cura del direttore Anna Coliva e di Andrea Bacchi - è proprio la Galleria Borghese, quale scena privilegiata della scultura di Gian Lorenzo Bernini, il grande pittore la cui lunga carriera artistica ha conosciuto ben nove papati. E lo si capisce anche dalla perfetta fusione tra i capolavori, gli ambienti e le altre opere d’arte con le quali i lavori dell’artista intessono un dialogo complice.
Anche perché Gian Lorenzo Bernini nella Villa Borghese era di casa. Il cardinale Scipione, suo primo committente, lo aveva voluto autore di gruppi marmorei autonomi, per dare “figura di immaginazione” allo spazio in ogni stanza, mentre papa Urbano VIII, il successivo committente, lo volle scultore integrato in una costruzione globale dello spazio, che fosse architettura ma al contempo comprendesse dentro di sé luce, colore, figurazione, illusioni dimensionali e proporzionali.
L’esposizione dedicata all’artista di Napoli, presentata oggi alla stampa, si pone, come ha spiegato anche il direttore Coliva, in continuità con il discorso critico avviato nel 1998 con la mostra Bernini scultore: la nascita del barocco in Casa Borghese, ma ne costituisce anche il superamento perché mette in luce tutte le scoperte e le intuizioni frutto degli studi condotti negli ultimi anni.
«In questo nuovo percorso possiamo ammirare l’intera produzione scultorea di Bernini - spiega Coliva - con l’unica eccezione del Martirio di San Lorenzo, della Collezione Contini Bonacossi, il cui prestito non è stato autorizzato dalla Galleria degli Uffizi».
Ma poco conta, le opere sono tante e gli occhi fanno fatica ad abbracciarle tutte, con quella loro perfezione e l’intensità dei volti che emoziona e un po’ stordisce.
Varcando l’ingresso della galleria l’impatto è straordinario, con la prima delle otto sezioni nelle quali si articola la mostra - che non segue un percorso cronologico - che ripercorre l’apprendistato e l’attività giovanile di Gian Lorenzo con un focus sulle opere realizzate in stretto dialogo o in diretta collaborazione con il padre Pietro, come Inverno, Primavera, Estate e Autunno, provenienti da collezioni private. Inverno, in particolare, realizzata da Bernini senior intorno al 1620, “con il mantello foderato di pelle di pecora, immaginato come un pastore della campagna romana”, è un capolavoro tutto nello spirito della Maniera. Impossibile, sempre in questa prima sala, dove si innalza, maestosa, una sublime Verità svelata, staccare lo sguardo dalla statua di Santa Bibiana fresca di restauro, un’altra grande novità di questo percorso espositivo. È infatti la prima volta che la monumentale opera lascia l’omonima chiesa romana nel quartiere Esquilino - per la quale fu concepita e realizzata da Bernini tra il 1624 e il 1624 - per raggiungere un museo, il cui portico ha anche ospitato il restauro del capolavoro a cantiere aperto. Restauro che, insieme con l’esposizione della Santa Bibiana, è stato realizzato in collaborazione con il Museum of the Bible di Washington che aprirà i battenti il prossimo 17 novembre e che ha offerto il suo contributo in cambio del prestito di un’opera da parte della Galleria Borghese.
«L’eccezionale spostamento della statua - ha spiegato il co-curatore Andrea Bacchi - che molto probabilmente lasciò il suo posto originario solo un'altra volta, durante i bombardamenti, per essere ricoverata in Vaticano, ha consentito di cogliere da vicino alcuni particolari altrimenti invisibili nella sua originaria collocazione, nella nicchia della Chiesa. Dopo il ricovero in Vaticano, infatti, la scultura fu poi rimontata in modo sbagliato rispetto alla sua posizione originale. Al termine della mostra alla Galleria Borghese la si potrà, molto probabilmente, ammirare così come Bernini l’aveva pensata».
Al genere dei putti - più volte affrontato dal giovanissimo Bernini, sebbene poi dimenticato dal maestro che non voleva essere ricordato per quegli juvenilia - appartiene la Capra Amaltea accostata agli altri putti di Gian Lorenzo. Ma è tra le dinamiche forme dei gruppi borghesiani - Enea ed Anchise, accostato in dialogo con il dipinto raffigurante lo stesso soggetto di Federico Barocci, o il meraviglioso Apollo e Dafne - che lo sgurdo rimane imbrigliato, per poi perdersi tra i busti in marmo. Come quelli del Museo di San Giovanni dei Fiorentini, raramente visibili al pubblico, o di Richelieu - in prestito dal Louvre - il cardinale che l’artista non incontrò mai, ma del quale riuscì a riprodurre fedelmente l’espressione, sulla base di un dipinto inviatogli direttamente da Parigi.
La sezione dedicata alla pittura completa la descrizione di Bernini come artista a tutto tondo. Accanto a un ristretto numero di tele - tra le quali un Ritratto di giovane sbarbato e un Autoritratto maturo - che evidenziano come la pratica della pittura fosse per l’artista una forma di esercizio privato - compare in mostra l’unico dipinto attestato come opera del Bernini già da un inventario di primo Seicento. I Santi Andrea e Tommaso apostoli della National Gallery di Londra - non presente nella mostra del 1998 - sono infatti un’opera chiave per la conoscenza di Gian Lorenzo pittore.
Non potendo essere materialmente trasportati in occasione della grande kermesse alla Galleria Borghese, i capolavori realizzati da Gian Lorenzo per Roma passano attraverso i modelli preparatori, come quello della Fontana dei Fiumi, in legno, terracotta, cera e metallo, o attraverso lo studio per il monumento equestre di Luigi XIV, presenti in mostra.
Ma è nel Busto del Salvator Mundi - l’ultima opera di Bernini - proveniente da San Sebastiano fuori le Mura ed esposto per la prima volta accanto a quello del Museum of Art di Norfolk, o nel Cristo crocifisso in bronzo delle Collezioni Reali di Madrid accanto a quello dell’Art gallery of Ontario di Toronto, che si coglie la deriva mistica dello scultore-poeta.
«L’eccezionalità di questo percorso nel quale anche l’illuminazione gioca un ruolo importante - ha ribadito Anna Coliva - scaturisce anche dall’allestimento, difficile perché effettuato a museo aperto, tra i turisti in visita, ma soprattutto per il “volume” delle opere».
I numeri - sebbene affrontati grazie all’importante supporto di Fendi, Intesa Sanpaolo e del Museum of the Bible di Washington - sono comunque importanti: oltre 700mila euro, che includono 500mila euro per il trasporto delle opere e 62mila euro per il restauro della Santa Bibiana. Una missione perfettamente compiuta, il cui risultato è senza dubbio un regalo al cuore.
"We are lucky" esordisce una coppia di turisti, nonostante sia rimasta fuori dalla Galleria, chiusa il lunedì. “Non importa, l’importante è essere a Roma, la vedremo prossimamente”. È il potere di Bernini, bellezza.
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