A Palazzo Ducale fino al 10 giugno
Il ritorno in laguna di John Ruskin, il cantore di Venezia
John Ruskin, Ponte dei Pugni, Matita e acquerello su carta, 223 x 180 mm, Lancaster, Ruskin Foundation (Ruskin Library, Lancaster University) | © Ruskin Foundation, Lancaster
Samantha De Martin
14/03/2018
Venezia - “Venezia giace ancora davanti ai nostri sguardi come era nel periodo finale della decadenza: un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all’infuori della sua bellezza”. È un inno d’amore alla città, unica e fragile, quello che il pittore e critico d’arte inglese John Ruski rivolge a Venezia.
Questo personaggio centrale nel panorama artistico internazionale del XIX secolo ha maturato un legame fortissimo con la città lagunare, descritta come il “paradiso delle città”, cui ha reso omaggio con la sua opera letteraria più nota, Le pietre di Venezia, uno studio in tre volumi della sua architettura, descritta nei particolari più dettagliati, destinato a diventare un caposaldo della cultura anglosassone. Proprio da quest’opera prende il titolo la grande mostra in corso fino al 10 giugno a Palazzo Ducale, che presenta, per la prima volta in Italia, questo rapporto intenso, importante, tra la città e il suo romantico cantore.
Ammirato da Tolstoj e da Proust, capace di influenzare fortemente l’estetica del tempo con la sua interpretazione dell’arte e dell’architettura, Ruskin torna tra i luoghi della sua ispirazione, tra le sale e i loggiati di Palazzo Ducale, l’emblematica struttura che lui stesso aveva definito “edificio centrale del mondo” e che a lungo esplorò da angolazioni diverse attraverso acquarelli, taccuini, rilievi architettonici, calchi in gesso.
Un racconto, quello a cura di Anna Ottani Cavina, che si snoda tra l’Appartamento del Doge e il Museo dell’Opera, e che ha come cornice la scenografia di Pier Luigi Pizzi, particolarmente incentrata sulle presenze architettoniche e scultoree della Venezia gotica e bizantina, medievale e anticlassica che Ruskin tanto amava e che desiderava strappare all’oblio.
Da questa presentazione “a tutto campo” la figura dell’artista “che ha valicato ogni confine in nome di una visione interdisciplinare, praticata quando il termine ancora non c’era” emerge potente.
E non poteva rendere omaggio migliore, Venezia, al famoso critico inglese, proprio in occasione del bicentenario della sua nascita, a colui che, a partire dal 1835 la visitò ben undici volte, celebrandone la bellezza, ma anche rinnegandola con furia quando definì “una vana tentazione” tutto quello che a Venezia aveva fatto.
«Questa mostra su John Ruskin, nel cuore gotico della città, vuole essere un monito per la salvezza di Venezia - si legge nel saggio della curatrice Anna Ottani Cavina -. Ma anche una sfida a celebrare Ruskin come grande e singolare pittore, al di là della sua vertiginosa capacità di interpretare i tanti ruoli del genio, al di là della sua stessa determinazione a privilegiare la parola scritta».
Il percorso espositivo sceglie di focalizzarsi sull’artista Ruskin, articolandosi attorno a cento sue opere che fissano su migliaia di fogli, a penna e acquarello, il suo “instancabile tentativo di comprendere il mondo”. Si tratta di prestiti interamente internazionali - dal momento che i musei italiani non custodiscono suoi lavori - eccezionalmente concessi.
Questo viaggio tra la città, l’architettura, i grandi maestri veneziani di cui riproduce le opere, reinterpretandole, è il fil rouge che accompagna il visitatore tra lavori di questo personaggio poliedrico, di questo viaggiatore instancabile, collezionista, scrittore, poeta e critico d’arte che si batté per la modernità, riconoscendo la forza rivoluzionaria della pittura di Turner - che incontrò e conobbe in giovane età - e che difese, in diversi scritti, dai detrattori.
Ed è anche per questo suo rapporto particolare con il “pittore della luce” che in mstra si possono ammirare alcune straordinarie raffigurazioni della città lagunare realizate da Turner, come Venezia, Punta della Dogana e Santa Maria della Salute, in prestito dalla National Gallery di Washington e Venezia, cerimonia dello Sposalizio del mare che arriva dalla Tate di Londra.
Ma non c’è solo la città magica in questo racconto nel quale ogni sezione approfondisce aspetti diversi legati alla vita e al pensiero del critico. C’è anche una piccola selezione, una sorta di poetico diario per immagini, di luoghi italiani amati da Ruskin, dalle impeccabili geometrie della facciata marmorea di San Miniato al Monte a Firenze, all’apparizione dell’Etna fumante, inquadrato da Taormina alle “quattro e mezzo” di una mattina d’aprile. A chiudere il percorso, le figure di Carpaccio, Veronese, Tintoretto, un ultimo tributo alla gloria pittorica di Venezia.
Vedi anche:
• John Ruskin. Le Pietre di Venezia
• Death of Venice
Questo personaggio centrale nel panorama artistico internazionale del XIX secolo ha maturato un legame fortissimo con la città lagunare, descritta come il “paradiso delle città”, cui ha reso omaggio con la sua opera letteraria più nota, Le pietre di Venezia, uno studio in tre volumi della sua architettura, descritta nei particolari più dettagliati, destinato a diventare un caposaldo della cultura anglosassone. Proprio da quest’opera prende il titolo la grande mostra in corso fino al 10 giugno a Palazzo Ducale, che presenta, per la prima volta in Italia, questo rapporto intenso, importante, tra la città e il suo romantico cantore.
Ammirato da Tolstoj e da Proust, capace di influenzare fortemente l’estetica del tempo con la sua interpretazione dell’arte e dell’architettura, Ruskin torna tra i luoghi della sua ispirazione, tra le sale e i loggiati di Palazzo Ducale, l’emblematica struttura che lui stesso aveva definito “edificio centrale del mondo” e che a lungo esplorò da angolazioni diverse attraverso acquarelli, taccuini, rilievi architettonici, calchi in gesso.
Un racconto, quello a cura di Anna Ottani Cavina, che si snoda tra l’Appartamento del Doge e il Museo dell’Opera, e che ha come cornice la scenografia di Pier Luigi Pizzi, particolarmente incentrata sulle presenze architettoniche e scultoree della Venezia gotica e bizantina, medievale e anticlassica che Ruskin tanto amava e che desiderava strappare all’oblio.
Da questa presentazione “a tutto campo” la figura dell’artista “che ha valicato ogni confine in nome di una visione interdisciplinare, praticata quando il termine ancora non c’era” emerge potente.
E non poteva rendere omaggio migliore, Venezia, al famoso critico inglese, proprio in occasione del bicentenario della sua nascita, a colui che, a partire dal 1835 la visitò ben undici volte, celebrandone la bellezza, ma anche rinnegandola con furia quando definì “una vana tentazione” tutto quello che a Venezia aveva fatto.
«Questa mostra su John Ruskin, nel cuore gotico della città, vuole essere un monito per la salvezza di Venezia - si legge nel saggio della curatrice Anna Ottani Cavina -. Ma anche una sfida a celebrare Ruskin come grande e singolare pittore, al di là della sua vertiginosa capacità di interpretare i tanti ruoli del genio, al di là della sua stessa determinazione a privilegiare la parola scritta».
Il percorso espositivo sceglie di focalizzarsi sull’artista Ruskin, articolandosi attorno a cento sue opere che fissano su migliaia di fogli, a penna e acquarello, il suo “instancabile tentativo di comprendere il mondo”. Si tratta di prestiti interamente internazionali - dal momento che i musei italiani non custodiscono suoi lavori - eccezionalmente concessi.
Questo viaggio tra la città, l’architettura, i grandi maestri veneziani di cui riproduce le opere, reinterpretandole, è il fil rouge che accompagna il visitatore tra lavori di questo personaggio poliedrico, di questo viaggiatore instancabile, collezionista, scrittore, poeta e critico d’arte che si batté per la modernità, riconoscendo la forza rivoluzionaria della pittura di Turner - che incontrò e conobbe in giovane età - e che difese, in diversi scritti, dai detrattori.
Ed è anche per questo suo rapporto particolare con il “pittore della luce” che in mstra si possono ammirare alcune straordinarie raffigurazioni della città lagunare realizate da Turner, come Venezia, Punta della Dogana e Santa Maria della Salute, in prestito dalla National Gallery di Washington e Venezia, cerimonia dello Sposalizio del mare che arriva dalla Tate di Londra.
Ma non c’è solo la città magica in questo racconto nel quale ogni sezione approfondisce aspetti diversi legati alla vita e al pensiero del critico. C’è anche una piccola selezione, una sorta di poetico diario per immagini, di luoghi italiani amati da Ruskin, dalle impeccabili geometrie della facciata marmorea di San Miniato al Monte a Firenze, all’apparizione dell’Etna fumante, inquadrato da Taormina alle “quattro e mezzo” di una mattina d’aprile. A chiudere il percorso, le figure di Carpaccio, Veronese, Tintoretto, un ultimo tributo alla gloria pittorica di Venezia.
Vedi anche:
• John Ruskin. Le Pietre di Venezia
• Death of Venice
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