A Perugia fino al 19 gennaio

Alla Galleria nazionale dell’Umbria un dialogo nel segno dell’oro, da Gentile da Fabriano a Andy Warhol

Andy Warhol, Golden Marilyn 11.40, 2011. Serigrafia su carta. Collezione privata © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc.
 

Samantha De Martin

29/10/2024

Perugia - In principio fu l’oro, il re dei metalli, inalterabile all’acqua e all’aria, già presente nelle sepolture del tardo Neolitico e capace, nelle arti visive, di trasformare la figurazione in manifestazione stessa del sacro e della luce celeste.
E proprio all’oro le curatrici Alessandra Mammì, Veruska Picchiarelli e Carla Scagliosi affidano il compito di guidare i visitatori lungo un viaggio di nove secoli di storia dell’arte, dal Medioevo al contemporaneo, nell’ambito di una mostra alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia.
Il percorso, intitolato L’età dell’oro, che si avvale del patrocinio del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Città del Vaticano, vuole cucire un originale itinerario che, in nome dell’oro, vede dialogare capolavori di epoche diverse.
Cinquanta opere di maestri come Duccio di Boninsegna, Gentile da Fabriano, Taddeo di Bartolo, Niccolò di Liberatore, Bernardino di Mariotto, il Maestro del Trittico del Farneto, Bartolomeo Caporali, in gran parte provenienti dalla collezione della GNU, si confrontano con opere di grandi autori contemporanei, da Carla Accardi ad Alberto Burri, da Mario Ceroli a Gino De Dominicis, da Mimmo Paladino a Andy Warhol e Michelangelo Pistoletto.
Quando si parla di oro il primo nome che viene in mente è forse quello di Gustav Klimt, presente in mostra a Perugia con il dipinto Le tre età (1905), prestito straordinario della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.


Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1964. Olio su tela. Fondazione Prada, Milano © Fondazione Lucio Fontana

“È l’arte - spiega Costantino D’Orazio, direttore Musei nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei nazionali Umbria - a farla da padrona in questa mostra, e in particolare lo è uno dei suoi elementi decorativi più consueti, l’oro. Simbolo dell’incorruttibile eterno e allo stesso tempo causa primigenia della più abietta corruzione umana, questo metallo scaturito dalla terra che, pur senza esserlo in origine, diviene pigmento, è utilizzato dagli artisti fin dagli albori della civiltà e trasmigra da un’epoca all’altra senza mai perdere il suo significato. L’oro ci consente quindi di guardare alle opere del passato con gli stessi occhi con i quali guardiamo il nostro contemporaneo, astraendolo dalla dimensione temporale per immedesimarci nel valore simbolico e senza tempo di ogni singolo oggetto, arrivando a scoprire qualcosa di nuovo”.

Se il punto di partenza del percorso è l’eccezionale collezione di fondi oro del museo perugino, che accoglie l’Autoritratto oro del 1960 di Michelangelo Pistoletto, la Madonna col Bambino e sei angeli di Duccio di Boninsegna ci conduce nella stagione più fulgida dell’arte senese nella prima metà del Trecento, mentre intrattiene un dialogo con il Concetto spaziale su fondo oro di Lucio Fontana, proveniente dalla Fondazione Prada di Milano.
Oltre ai reliquiari di santa Giuliana di Cataluccio di Pietro da Todi - che accoglie invece in questa occasione la testina femminile dorata di Marisa Merz che conserva il potere e il sapore di una reliquia - e di Montalto, attribuito a Jean du Vivier, affiancato all’ex-voto che Yves Klein dedicò a Santa Rita da Cascia, la mostra ospita la luminosa Madonna col Bambino di Gentile da Fabriano, con l’apparizione dei suoi angeli graniti a evocare il Sacerdote di Michelangelo Pistoletto.

La bellezza smaterializzata della Golden Marilyn 11.40 di Andy Warhol dialoga con l’Angelo dalla Pala dei cacciatori di Bartolomeo Caporali, l’Oroblu (Oriente) di Carla Accardi richiama il manto in tessuto operato della Madonna col Bambino del Maestro della Madonna di Montone, mentre La Maddalena di Fausto Melotti guarda alla santa dalle lunghe chiome dipinta da Taddeo di Bartolo per il Polittico di San Francesco al Prato.


Gentile da Fabriano, Madonna con Bambino e angeli, 1405. Tempera su tavola. Galleria Nazionale dell'Umbria © Foto Michele Alberto Sereni

Densa di lirismo è l’associazione tra la Crocifissione della Pinacoteca Comunale di Terni di Niccolò di Liberatore, dove domina il nero, e la Tragedia civile di Jannis Kounellis, dove un attaccapanni che si staglia davanti a una parete ricoperta da lamina dorata conserva un cappello e un cappotto nero, evocando una tragedia e diventando simbolo della presenza dell’uomo nella storia. In mostra sono esposte per la prima volta insieme le due versioni dell’opera, una realizzata nel 1975, proveniente dal Kolumba, il Museo d’Arte dell’Arcidiocesi di Colonia (Germania), l’altra realizzata nel 2009, di proprietà della Galleria Alfonso Artiaco di Napoli. Durante il passaggio tra Medioevo e Rinascimento, la foglia d’oro scompare dagli sfondi dei dipinti per essere progressivamente confinata in parti marginali come le aureole, per poi estinguersi quasi del tutto, ad eccezione della produzione dell’eccentrico Bernardino di Mariotto, la cui Incoronazione della Vergine viene abbinata nel percorso espositivo al Diadema di Giulio Paolini.
L’itinerario approda all’arte tessile dove l’uso dell’oro abbonda nella moda delle classi più elevate e soprattutto nei paramenti liturgici. Tra gli ultimi dialoghi si inserisce il confronto tra gli Scarabei stercorari di Jan Fabre, con i loro simboli cristiani, e il piviale ricamato appartenente al cinquecentesco parato Armellini del Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo.

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