L'allievo di Raffaello
Perin del Vaga
26/02/2004
Nel 2001 ricorre il cinquecentenario della nascita di Pietro Buonaccorsi, detto Perino del Vaga, uno dei più brillanti allievi di Raffaello. Palazzo Tè a Mantova gli dedica per l’occasione una grande mostra, allestita presso le Fruttiere dal 18 marzo al 10 giugno. Centottanta opere (tra cui dipinti su tavola e su tela, disegni, affreschi staccati, arazzi, cristalli incisi e argenti) presentano l’attività dell’artista, snodo fondamentale tra due correnti stilistiche, quella raffaellesca e quella michelangiolesca, considerate, a torto, antitetiche.
Nato a Firenze, Perino fu allievo di Ridolfo Ghirlandaio. Nel salone maggiore del Palazzo della Signoria trascorse molto tempo a copiare gli affreschi che Leonardo e Michelangelo avevano dipinto in concorrenza sui temi delle Battaglie di Anghiari e di Cascina. Nel 1517 si trasferì a Roma per studiare i monumenti antichi e le opere che Raffaello e Michelangelo andavano realizzando per i pontefici. Qui, entrato in confidenza con Giulio Romano e Giovan Francesco Penni, collaboratori di Raffaello, entrò quasi subito nella bottega del maestro urbinate, impegnata nella decorazione delle Logge Vaticane. Si distinse per la particolare abilità nella realizzazione dei tralci vegetali e delle grottesche (tipo d’ornato con volute di fogliame e bizzarre figure di animali e mostri ispirati all’antico). Per Santa Maria sopra Minerva e per Santo Stefano del Cacco dipinse due pale d’altare, prime prove da maestro autonomo. Tra il 1518 e il 1520, data della precoce morte di Raffaello, coprì di affreschi le pareti del salone di Palazzo Baldassini. All’interno di un’intelaiatura rigorosa, caratterizzata da lesene, nicchie, cornici, egli dipinse esempi di giustizia dei maggiori legislatori del mondo greco e romano e figure di sapienti antichi, secondo la tradizione degli “uomini illustri”. La giustizia di Zeleuco, in mostra, è una delle due scene salvate dalla ristrutturazione dell’edificio. Con essa Perino volle glorificare il suo committente che, come il greco Zeleuco, era giureconsulto illustre (oltre ad essere avvocato concistoriale, avvocato dei poveri, consigliere di Leone X e Adriano VI).
Un soggiorno fiorentino (1522-23) permise a Perino di dare dimostrazione ai suoi concittadini dell’abilità acquisita a Roma: il monocromo con "Il Passaggio del Mar Rosso" (Uffizi) fu una dimostrazione di virtuosismo tecnico; il cartone dei Diecimila Martiri lo qualificò come uno degli iniziatori della nuova “maniera” fiorentina.
Rientrato nella capitale pontificia, su incarico di Clemente VII, l’artista proseguì la decorazione della Sala dei Pontefici in Vaticano e portò a compimento la decorazione della cappella del Crocifisso in San Marcello al Corso e della cappella Pucci in Trinità dei Monti (1524-27). Nelle scene dell’Annunciazione e della Visitazione, ambientata in un’enorme piazza rinascimentale, traspare la sua riflessione sui modelli raffaelleschi. L’attività che più lo divertì fu però la realizzazione, in coppia con Rosso Fiorentino, della serie di disegni con gli Amori degli dei. Incisi e stampati dal Caraglio, i fogli, prodotti in un contesto d’élite intellettuale, ebbero una fortuna incredibile e circolarono per le maggiori corti d’Europa. Il disegno con Vertumno e Pomona, in mostra, è, insieme al Venere e Cupido, l’unico superstite del gruppo: Perino punta in esso su un raffinato erotismo.
Il tragico episodio del Sacco di Roma (1527), con le “squadre” dei lanzichenecchi di Carlo V che misero a soqquadro la città e distrussero edifici pubblici e privati, indusse Perino al trasferimento a Genova. Qui Andrea Doria, col passaggio alla parte imperiale, era divenuto il padrone della città. Nominato ammiraglio della flotta di Carlo V nel Mediterraneo, e più tardi principe, egli commissionò al pittore, stipendiato come primo artista di corte, la decorazione del palazzo di città e di quello di campagna. Tutto doveva essere finalizzato alla glorificazione del Doria, allegoricamente rappresentato come Nettuno dio del mare (affresco perduto), del suo ruolo di pater patriae, anticipato dalle imprese gloriose degli antenati, del suo rapporto privilegiato con l’imperatore, il Giove che si scaglia contro i giganti ribelli (affresco conservato). Una serie di disegni in mostra documenta pure degli interessi in ambito architettonico del pittore, impegnato nel progetto di edificazione della facciata del palazzo.
Il ritorno a Roma, nel 1537, fu segnato dalla protezione del nuovo papa Paolo III. Perino dipinse in finto marmo, a grottesche e bassorilievi bronzei, la zoccolatura della stanza della Segnatura in Vaticano (1541) ed eseguì una tela delle dimensioni di un arazzo per il basamento del Giudizio Universale di Michelangelo (Roma, Palazzo Spada). Lavorò, infine, fin quasi alla morte (1547) alla decorazione dell’appartamento papale in Castel Sant’Angelo. Nelle Sacre Famiglie che dipinse in questi anni (si veda esposta quella della collezione dei principi di Liechtenstein) egli rielaborò con sapienza i prototipi raffaelleschi.
Il ruolo di Perino fu fondamentale nella diffusione di una nuova maniera decorativa dai ritmi armoniosi e raffinati. Versatile, abilissimo nel disegnare, egli, come l’amico Giulio Romano, fu il prototipo dell’artista di corte, capace di rispondere a qualsiasi richiesta della committenza. Ebbe la capacità di impegnarsi con uguale ardore e creatività tanto nell’ideazione di opere monumentali quanto in quella della suppellettile, rifiutando gerarchizzazioni e discriminazioni. Spogliò l’arte di contenuti per farle guadagnare leggerezza e brillantezza formale. Più in generale, attraverso l’interpretazione larga e ariosa del classicismo raffaellesco, egli contribuì a far vivere ed evolvere per quasi un secolo quel gran modello.
Perino del Vaga: tra Raffaello e Michelangelo
Mantova, Fruttiere di Palazzo Tè
18 marzo – 10 giugno 2001
Orari: martedì – domenica 9-18; lunedì 13-18
Biglietti: £ 12000 intero; £ 10000 ridotto; £ 8000 gruppi
Informazioni: tel. 0376.323266 oppure www.centropalazzote.it
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