Il j'accuse di Italia Nostra a Ornaghi
Italia Nostra |
Alessandra Mottola Molfino
16/07/2012
Italia Nostra scende in campo e questa volta lo fa schierandosi apertamente contro alcune scelte fatte dall’attuale Ministro dei Beni Culturali, Lorenzo Ornaghi.
Nella missiva, scritta dalla presidente Alessandra Mottola Molfino, e firmata da esimi studiosi come Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Alessandro Nova, Francesco Caglioti, si parte dalla questione della nomina “non tecnica” di Francesco Maria De Sanctis, “eminente filosofo del diritto”, a presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. “Con il massimo rispetto per la persona – si legge – questa scelta rappresenta un vero schiaffo ai molti veri tecnici e grandi esperti del Patrimonio culturale italiano presenti in tanti ruoli, - Università, Soprintendenze, Musei -della storia dell’arte antica e moderna, e in quello della storia della tutela. Per rispetto ai valori storico artistici, archeologici, architettonici, paesaggistici che il Ministero tutela a norma dell’articolo 9 della Costituzione, è importante che il presidente del Consiglio superiore dei Beni Culturali sia scelto tra i massimi tecnici nel campo. Il Consiglio è continuamente chiamato a esprimersi su questioni decisive per la tutela e la conoscenza dei Beni Culturali, è il massimo organo tecnico del Ministero; fu guidato da Federico Zeri, mentre gli ultimi due presidenti sono stati Salvatore Settis e Andrea Carandini”.
Si prosegue quindi denunciando “la questione dei rischi di prestiti effimeri e inutili cui viene sottoposto il nostro comune patrimonio storico e artistico” e in particolare della trasferta a Pechino di una importante serie di opere di musei statali e chiese fiorentine. “Lei ministro – scrive Alessandra Mottola Molfino - ha addirittura affermato che 'bisogna lanciare operazioni di questo genere, anche correndo qualche rischio, altrimenti si paralizza la diffusione della cultura italiana oltre i confini nazionali': una affermazione illegittima, incostituzionale e irricevibile di cui attendiamo la smentita. Anche ammettendo che organizzare scambi di mostre tra Stati abbia ancora un qualche valore, bisognerebbe, almeno, concepire anche per questo genere di mostre diplomatico/commercial/propagandistiche un vero progetto scientifico (con l’intento di aumentare la conoscenza, trattando i visitatori come esseri pensanti e non come barbari da stupire) e con un ‘rischio zero’ per le opere. Lo impone l’articolo 67 del Codice dei Beni culturali (che, in assenza di queste caratteristiche, vieta che le opere varchino i confini della Repubblica), e lo imporrebbe la deontologia dei curatori e dei soprintendenti. In primo luogo si dovrebbe aver cura della tutela delle opere: e, invece, si mandano in lunghi e perigliosi viaggi pitture fragilissime, che non dovrebbero viaggiare per nessun motivo, e sculture in marmo che, come tutti sanno, sono più fragili del vetro. Queste mostre sono anche uno spreco da tagliare: schiere di funzionari del MiBAC accompagnano le opere avanti e indietro spesso al solo scopo di farsi una vacanza in paesi lontani; i trasporti e le assicurazioni raggiungono cifre vertiginose; i costosi cataloghi illustrati ripetono inutili banalità e studi più volte rimasticati. Noi difendiamo i musei che subiscono tagli e chiusure in tutto il Paese; ma che, per le mostre, vengono usati come bancomat e spogliati dei loro simboli identitari. Si stroncano le istituzioni permanenti, che producono coesione sociale e educazione alla cultura e alla creatività, e si privilegiano gli eventi effimeri che producono nei cittadini una devastante diseducazione ai valori duraturi: mostre, notti bianche, feste della moda, cene davanti alle opere d’arte in cambio di pochi spiccioli. Il patrimonio storico e artistico italiano è diffuso e fuso all’ambiente e va tutelato, conosciuto e comunicato nella sua dimensione organica e continua. È inaccettabile ogni politica culturale che si concentri sui cosiddetti capolavori 'assoluti' (cioè, letteralmente, 'sciolti': da ogni rete di rapporti significanti) per espiantarli e forzarli in percorsi espositivi dal valore conoscitivo nullo. In altre parole, in Italia gli eventi stanno uccidendo i monumenti: e occorre, dunque, una drastica inversione di rotta.”
La lettera è indirizzata, oltre che a Ornaghi, al presidente della Repubblica, ai presidenti di Senato e della Camera dei deputati, al presidente del Consiglio al Ministro dei Beni culturali.
Nella missiva, scritta dalla presidente Alessandra Mottola Molfino, e firmata da esimi studiosi come Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Alessandro Nova, Francesco Caglioti, si parte dalla questione della nomina “non tecnica” di Francesco Maria De Sanctis, “eminente filosofo del diritto”, a presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. “Con il massimo rispetto per la persona – si legge – questa scelta rappresenta un vero schiaffo ai molti veri tecnici e grandi esperti del Patrimonio culturale italiano presenti in tanti ruoli, - Università, Soprintendenze, Musei -della storia dell’arte antica e moderna, e in quello della storia della tutela. Per rispetto ai valori storico artistici, archeologici, architettonici, paesaggistici che il Ministero tutela a norma dell’articolo 9 della Costituzione, è importante che il presidente del Consiglio superiore dei Beni Culturali sia scelto tra i massimi tecnici nel campo. Il Consiglio è continuamente chiamato a esprimersi su questioni decisive per la tutela e la conoscenza dei Beni Culturali, è il massimo organo tecnico del Ministero; fu guidato da Federico Zeri, mentre gli ultimi due presidenti sono stati Salvatore Settis e Andrea Carandini”.
Si prosegue quindi denunciando “la questione dei rischi di prestiti effimeri e inutili cui viene sottoposto il nostro comune patrimonio storico e artistico” e in particolare della trasferta a Pechino di una importante serie di opere di musei statali e chiese fiorentine. “Lei ministro – scrive Alessandra Mottola Molfino - ha addirittura affermato che 'bisogna lanciare operazioni di questo genere, anche correndo qualche rischio, altrimenti si paralizza la diffusione della cultura italiana oltre i confini nazionali': una affermazione illegittima, incostituzionale e irricevibile di cui attendiamo la smentita. Anche ammettendo che organizzare scambi di mostre tra Stati abbia ancora un qualche valore, bisognerebbe, almeno, concepire anche per questo genere di mostre diplomatico/commercial/propagandistiche un vero progetto scientifico (con l’intento di aumentare la conoscenza, trattando i visitatori come esseri pensanti e non come barbari da stupire) e con un ‘rischio zero’ per le opere. Lo impone l’articolo 67 del Codice dei Beni culturali (che, in assenza di queste caratteristiche, vieta che le opere varchino i confini della Repubblica), e lo imporrebbe la deontologia dei curatori e dei soprintendenti. In primo luogo si dovrebbe aver cura della tutela delle opere: e, invece, si mandano in lunghi e perigliosi viaggi pitture fragilissime, che non dovrebbero viaggiare per nessun motivo, e sculture in marmo che, come tutti sanno, sono più fragili del vetro. Queste mostre sono anche uno spreco da tagliare: schiere di funzionari del MiBAC accompagnano le opere avanti e indietro spesso al solo scopo di farsi una vacanza in paesi lontani; i trasporti e le assicurazioni raggiungono cifre vertiginose; i costosi cataloghi illustrati ripetono inutili banalità e studi più volte rimasticati. Noi difendiamo i musei che subiscono tagli e chiusure in tutto il Paese; ma che, per le mostre, vengono usati come bancomat e spogliati dei loro simboli identitari. Si stroncano le istituzioni permanenti, che producono coesione sociale e educazione alla cultura e alla creatività, e si privilegiano gli eventi effimeri che producono nei cittadini una devastante diseducazione ai valori duraturi: mostre, notti bianche, feste della moda, cene davanti alle opere d’arte in cambio di pochi spiccioli. Il patrimonio storico e artistico italiano è diffuso e fuso all’ambiente e va tutelato, conosciuto e comunicato nella sua dimensione organica e continua. È inaccettabile ogni politica culturale che si concentri sui cosiddetti capolavori 'assoluti' (cioè, letteralmente, 'sciolti': da ogni rete di rapporti significanti) per espiantarli e forzarli in percorsi espositivi dal valore conoscitivo nullo. In altre parole, in Italia gli eventi stanno uccidendo i monumenti: e occorre, dunque, una drastica inversione di rotta.”
La lettera è indirizzata, oltre che a Ornaghi, al presidente della Repubblica, ai presidenti di Senato e della Camera dei deputati, al presidente del Consiglio al Ministro dei Beni culturali.
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