L'arte "proibita" e l'arte "vietata"
I cinque quadri più scandalosi del mondo
Egon Schiele (1890-1918), Donna seduta in calze viola, 1917, Acquerello
Samantha De Martin
16/05/2023
Ci sono artisti, come Egon Schiele, legati a doppio filo all’urlo spregiudicato dello scandalo perenne. E ve ne sono altri, come Manet, o persino Michelangelo, giudicati audaci dalla morale dell’epoca, arrivata al punto di rivestire i loro nudi di “braghe”, come nel caso dei personaggi del Giudizio Universale del Buonarroti, o di tacciare di "indecenza" un capolavoro come Olympia, preso addirittura a colpi di ombrello da una folla sdegnata.
Eppure non sempre lo “scandalo” si scioglie come neve al sole, scaldato dall’evolversi illuminato del pensiero laico. Se un tempo la minaccia della censura viaggiava sospinta dall’ombra dell’Inquisizione, e più tardi, dalla campagna hitleriana contro l’arte “degenerata”, oggi è figlia dell’algoritmo con cui Facebook oscura i capolavori posti sullo stesso piano di prodotti pornografici.
Balthus,Thérèse Dreaming 1938, New York, MET
Solo tre anni fa i manifesti della mostra dedicata all’artista Egon Schiele, affissi nella metropolitana di Londra in occasione del centenario dalla morte, erano stati censurati, ritenuti troppo osé. Così, sempre nel 2017, negli Stati Uniti una petizione aveva chiesto al MET di rimuovere la tela di Balthus, Thérèse Dreaming - un ritratto di fanciulla sognante - accusato di “romanticizzare il voyeurismo e la sessualizzazione di una bambina”.
Ma la risposta, l’artista l’aveva già data in vita: “Io non dipingo il sogno, dipingo la sognatrice”.
Vi proponiamo cinque quadri, ma potrebbero essere molti di più, che hanno scandalizzato l’universo dell’arte e non solo.
Caravaggio, La Madonna dei Palafrenieri , 1605-1606, Roma, Galleria Borghese
• Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri
Una Vergine ritratta con i connotati di una popolana, con un’ampia scollatura che lascia intravedere il petto, mentre si china a sorreggere un bambino completamente nudo, è intenta a schiacciare il Serpente del Peccato, aiutata dal piede del Figlio.
Il volto della Madonna dei Palafrenieri ricordava quello di Maddalena Antognetti, detta Lena, modella e amica di Caravaggio. Accanto a loro, una Sant'Anna, simile ad un’ "enorme figura bronzea”, quasi estranea alla scena, segue l’azione solo con lo sguardo.
Certamente il seno di Lena offerto alla vista degli spettatori non dovette piacere all’Arciconfraternita dei Palafrenieri che aveva commissionato il dipinto per il proprio altare, dedicato a Sant’Anna, nella nuova Basilica di San Pietro. L’opera, pertanto, rimase nella sede originaria solo pochi giorni, prima di essere trasferita nella Chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri e infine acquistata dal cardinale Borghese.
Lo stesso scandalo dovette suscitare un altro capolavoro di Caravaggio, La morte della Vergine, nella quale il corpo morto di una Madonna priva di qualsiasi connotazione mistica, con il viso sconvolto, il ventre gonfio, un braccio abbandonato, ricordava addirittura quello di una prostituta trovata morta nel Tevere e di cui il Merisi aveva avuto notizia.
Caravaggio, Morte della Vergine, 1604-1606, Olio su tela, 245 x 369 cm, Parigi, Louvre
• Velázquez, Venere Rokeby
L'unica donna nuda tra quelle dipinte da Velázquez è conservata oggi alla National Gallery di Londra. Si tratta di Venere e Cupido, datata 1648, soprannominata la Venere Rokeby perché proviente da Rokeby Park, una casa di campagna nella Contea di Durham, dove il dipinto figura appeso per buona parte del XIX secolo.
Il 10 marzo 1914 la suffragetta Mary Richardson, armata di un coltello da macellaio, inferse numerosi squarci sulla tela nel tentativo di distruggere la Venere di Velázquez, come forma di protesta contro il Governo.
Espressione della dea della bellezza e dell’amore, la Venere nuda giace su un letto tra lenzuola di raso che enfatizzano le curve del corpo, con la schiena rivolta all'osservatore e le ginocchia piegate. La dea, bruna, e non bionda come voleva la tradizione, è raffigurata priva di quegli ornamenti mitologici generalmente inclusi nelle scene di nudo.
La figura è intenta a guardare uno specchio retto dal figlio Cupido sul cui volto leggiamo una malinconia struggente. Attraverso l’immagine riflessa la dea rivolge pertanto il proprio sguardo all'osservatore. Tuttavia il suo volto, appannato, come confuso, cela le caratteristiche facciali. Forse per Velázquez non è possibile identificare Venere, la personificazione della bellezza femminile. Così l’artista ci invita a "completarne" le sue caratteristiche solo con l’immaginazione.
Diego Velázquez, Venere Rokeby, Olio su tela, 1648 circa, 175 x 122.5 cm, Londra, National Gallery
• Francisco Goya, Maja Desnuda
Quando, intorno al 1790, Goya realizzò la sua Maja Desnuda - il ritratto sconcertante di una donna senza veli adagiata fra lenzuola stropicciate ad esibire con sguardo ammiccante e disinibito la propria sessualità allo spettatore - in Spagna le immagini di nudo erano proibite dalla Chiesa e punite dall'Inquisizione. Solo un potente come Manuel Godoy, il suo nobile committente, poteva sfidare impavido le disposizioni del Sant' Uffizio e tenersi nel suo gabinetto privato un quadro così conturbante.
Ma quando nel 1807 Godoy cadde in disgrazia il nuovo re Ferdinando VII si appropriò della sua collezione di dipinti. Il 16 marzo 1815 la Camera Segreta dell'Inquisizione ordinò: "... che si chiami a comparire davanti a questo tribunale il detto Goya perché le riconosca e dica se sono opera sua, con che motivo le fece, per incarico di chi e che fine si proponesse". In quell’occasione il pittore riuscì ad evitare la condanna grazie all'intercessione del cardinale Luigi Maria di Borbone-Spagna, ma la sua Desnuda, fu sequestrata in quanto ritenuta "oscena".
Il dipinto sparì dalla circolazione fino all'inizio del XX per trovare collocazione, assieme alla più “casta” e contemporanea Maja vestida, alla Real Academia de San Fernando. L’opera continuò a suscitare scandalo anche negli anni Trenta, quando le Poste spagnole le dedicarono un francobollo. I direttori degli uffici postali americani si rifiutarono addirittura di accettare la corrispondenza affrancata da un riferimento ritenuto così offensivo e ostile alla pubblica decenza.
Dal 1910, assieme alla Maja vestida, l’opera è esposta al Museo del Prado di Madrid.
Francisco Goya, Maja desnuda, 1797-1800, Olio su tela, 190 x 97 cm, Madrid, Museo del Prado
• Egon Schiele, Donna seduta in calze viola
Una modella dai capelli fulvi, raccolti, il rossetto sulle labbra, le gote leggermente arrossate, è intenta a masturbarsi davanti allo spettatore.
Anche questa donna, completamente nuda, con indosso solo un paio di calze viola, incarna, alla maniera dei nudi di Schiele, un erotismo privo di moralismi, senza gioia, scolpito dall’artista anche sugli sguardi di fanciulle dal volto infantile e dall'atteggiamento volutamente impudico, dominate da una sessualità disinibita e sprigionata dal silenzio delle loro anime.
Rappresentate quasi sempre in pose esplicite come in Donna seduta in calze viola, le modelle descritte dall’esponente assoluto del primo espressionismo viennese furono oggetto di scandalo. Eppure, attraverso tele, acquerelli, disegni, l'artista ha voluto introdurre una tensione erotica esistenziale e psicologica per diffondere un messaggio di critica sociale contro le ipocrisie borghesi.
Ecco perché i lavori del pittore austriaco - noto per l'intensità espressiva dei suoi soggetti, ma anche l'introspezione psicologica capace di comunicare il disagio interiore di uomini, donne, bambine che faceva posare nude o semivestite - risultarono particolarmente scioccanti per i suoi contemporanei. Quando Schiele venne rinchiuso in prigione per un breve periodo, con l'accusa di avere traviato una minorenne e di averla rapita, alla fine del processo fu ritenuto responsabile soltanto di aver esibito le sue opere, considerate dall'autorità mera pornografia.
Gustave Courbet, L'origine del mondo, 1866, Olio su tela, 55 x 46 cm, Parigi, Museo d'Orsay
• Gustave Courbet, L’origine del mondo
La vena libertina di Courbet nel rivisitare il nudo femminile prende forma in questa celeberrima tela esposta oggi al Museo d’Orsay, nella quale il fondatore del movimento realista carica l’opera di un forte potere seduttivo attraverso un'audacia e un realismo assoluti.
Senza far ricorso ad artifici letterari o all’espediente della mitologia, Courbet descrive con un’immediatezza quasi fotografica una vulva femminile, servendosi dell’ampia gamma di tonalità ambrate.
Il corpo della donna, abbandonato su un letto - ma del quale non vediamo il viso, volutamente omesso dal pittore - è visibile solo parzialmente, dalle cosce al seno. L'artista non trascura il legame con la tradizione di una pittura carnale e lirica racchiusa nelle pennellate ampie e sensuali che ci riportano alla pittura veneziana, accentuando piuttosto l’inno alla vita, alla sessualità, alla joie de vivre delle quali l’opera si fa interprete.
Il diplomatico turco-egiziano Khalil-Bey, con ogni probabilità il committente della tela, fu anche il primo proprietario de L’origine del mondo. L’opera avrebbe dovuto arricchire la sua collezione dedicata alla celebrazione del corpo femminile. Il quadro entrò a far parte della collezione del Museo d’Orsay nel 1995.
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• I dieci quadri più misteriosi del mondo
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Balthus,Thérèse Dreaming 1938, New York, MET
Solo tre anni fa i manifesti della mostra dedicata all’artista Egon Schiele, affissi nella metropolitana di Londra in occasione del centenario dalla morte, erano stati censurati, ritenuti troppo osé. Così, sempre nel 2017, negli Stati Uniti una petizione aveva chiesto al MET di rimuovere la tela di Balthus, Thérèse Dreaming - un ritratto di fanciulla sognante - accusato di “romanticizzare il voyeurismo e la sessualizzazione di una bambina”.
Ma la risposta, l’artista l’aveva già data in vita: “Io non dipingo il sogno, dipingo la sognatrice”.
Vi proponiamo cinque quadri, ma potrebbero essere molti di più, che hanno scandalizzato l’universo dell’arte e non solo.
Caravaggio, La Madonna dei Palafrenieri , 1605-1606, Roma, Galleria Borghese
• Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri
Una Vergine ritratta con i connotati di una popolana, con un’ampia scollatura che lascia intravedere il petto, mentre si china a sorreggere un bambino completamente nudo, è intenta a schiacciare il Serpente del Peccato, aiutata dal piede del Figlio.
Il volto della Madonna dei Palafrenieri ricordava quello di Maddalena Antognetti, detta Lena, modella e amica di Caravaggio. Accanto a loro, una Sant'Anna, simile ad un’ "enorme figura bronzea”, quasi estranea alla scena, segue l’azione solo con lo sguardo.
Certamente il seno di Lena offerto alla vista degli spettatori non dovette piacere all’Arciconfraternita dei Palafrenieri che aveva commissionato il dipinto per il proprio altare, dedicato a Sant’Anna, nella nuova Basilica di San Pietro. L’opera, pertanto, rimase nella sede originaria solo pochi giorni, prima di essere trasferita nella Chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri e infine acquistata dal cardinale Borghese.
Lo stesso scandalo dovette suscitare un altro capolavoro di Caravaggio, La morte della Vergine, nella quale il corpo morto di una Madonna priva di qualsiasi connotazione mistica, con il viso sconvolto, il ventre gonfio, un braccio abbandonato, ricordava addirittura quello di una prostituta trovata morta nel Tevere e di cui il Merisi aveva avuto notizia.
Caravaggio, Morte della Vergine, 1604-1606, Olio su tela, 245 x 369 cm, Parigi, Louvre
• Velázquez, Venere Rokeby
L'unica donna nuda tra quelle dipinte da Velázquez è conservata oggi alla National Gallery di Londra. Si tratta di Venere e Cupido, datata 1648, soprannominata la Venere Rokeby perché proviente da Rokeby Park, una casa di campagna nella Contea di Durham, dove il dipinto figura appeso per buona parte del XIX secolo.
Il 10 marzo 1914 la suffragetta Mary Richardson, armata di un coltello da macellaio, inferse numerosi squarci sulla tela nel tentativo di distruggere la Venere di Velázquez, come forma di protesta contro il Governo.
Espressione della dea della bellezza e dell’amore, la Venere nuda giace su un letto tra lenzuola di raso che enfatizzano le curve del corpo, con la schiena rivolta all'osservatore e le ginocchia piegate. La dea, bruna, e non bionda come voleva la tradizione, è raffigurata priva di quegli ornamenti mitologici generalmente inclusi nelle scene di nudo.
La figura è intenta a guardare uno specchio retto dal figlio Cupido sul cui volto leggiamo una malinconia struggente. Attraverso l’immagine riflessa la dea rivolge pertanto il proprio sguardo all'osservatore. Tuttavia il suo volto, appannato, come confuso, cela le caratteristiche facciali. Forse per Velázquez non è possibile identificare Venere, la personificazione della bellezza femminile. Così l’artista ci invita a "completarne" le sue caratteristiche solo con l’immaginazione.
Diego Velázquez, Venere Rokeby, Olio su tela, 1648 circa, 175 x 122.5 cm, Londra, National Gallery
• Francisco Goya, Maja Desnuda
Quando, intorno al 1790, Goya realizzò la sua Maja Desnuda - il ritratto sconcertante di una donna senza veli adagiata fra lenzuola stropicciate ad esibire con sguardo ammiccante e disinibito la propria sessualità allo spettatore - in Spagna le immagini di nudo erano proibite dalla Chiesa e punite dall'Inquisizione. Solo un potente come Manuel Godoy, il suo nobile committente, poteva sfidare impavido le disposizioni del Sant' Uffizio e tenersi nel suo gabinetto privato un quadro così conturbante.
Ma quando nel 1807 Godoy cadde in disgrazia il nuovo re Ferdinando VII si appropriò della sua collezione di dipinti. Il 16 marzo 1815 la Camera Segreta dell'Inquisizione ordinò: "... che si chiami a comparire davanti a questo tribunale il detto Goya perché le riconosca e dica se sono opera sua, con che motivo le fece, per incarico di chi e che fine si proponesse". In quell’occasione il pittore riuscì ad evitare la condanna grazie all'intercessione del cardinale Luigi Maria di Borbone-Spagna, ma la sua Desnuda, fu sequestrata in quanto ritenuta "oscena".
Il dipinto sparì dalla circolazione fino all'inizio del XX per trovare collocazione, assieme alla più “casta” e contemporanea Maja vestida, alla Real Academia de San Fernando. L’opera continuò a suscitare scandalo anche negli anni Trenta, quando le Poste spagnole le dedicarono un francobollo. I direttori degli uffici postali americani si rifiutarono addirittura di accettare la corrispondenza affrancata da un riferimento ritenuto così offensivo e ostile alla pubblica decenza.
Dal 1910, assieme alla Maja vestida, l’opera è esposta al Museo del Prado di Madrid.
Francisco Goya, Maja desnuda, 1797-1800, Olio su tela, 190 x 97 cm, Madrid, Museo del Prado
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Una modella dai capelli fulvi, raccolti, il rossetto sulle labbra, le gote leggermente arrossate, è intenta a masturbarsi davanti allo spettatore.
Anche questa donna, completamente nuda, con indosso solo un paio di calze viola, incarna, alla maniera dei nudi di Schiele, un erotismo privo di moralismi, senza gioia, scolpito dall’artista anche sugli sguardi di fanciulle dal volto infantile e dall'atteggiamento volutamente impudico, dominate da una sessualità disinibita e sprigionata dal silenzio delle loro anime.
Rappresentate quasi sempre in pose esplicite come in Donna seduta in calze viola, le modelle descritte dall’esponente assoluto del primo espressionismo viennese furono oggetto di scandalo. Eppure, attraverso tele, acquerelli, disegni, l'artista ha voluto introdurre una tensione erotica esistenziale e psicologica per diffondere un messaggio di critica sociale contro le ipocrisie borghesi.
Ecco perché i lavori del pittore austriaco - noto per l'intensità espressiva dei suoi soggetti, ma anche l'introspezione psicologica capace di comunicare il disagio interiore di uomini, donne, bambine che faceva posare nude o semivestite - risultarono particolarmente scioccanti per i suoi contemporanei. Quando Schiele venne rinchiuso in prigione per un breve periodo, con l'accusa di avere traviato una minorenne e di averla rapita, alla fine del processo fu ritenuto responsabile soltanto di aver esibito le sue opere, considerate dall'autorità mera pornografia.
Gustave Courbet, L'origine del mondo, 1866, Olio su tela, 55 x 46 cm, Parigi, Museo d'Orsay
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La vena libertina di Courbet nel rivisitare il nudo femminile prende forma in questa celeberrima tela esposta oggi al Museo d’Orsay, nella quale il fondatore del movimento realista carica l’opera di un forte potere seduttivo attraverso un'audacia e un realismo assoluti.
Senza far ricorso ad artifici letterari o all’espediente della mitologia, Courbet descrive con un’immediatezza quasi fotografica una vulva femminile, servendosi dell’ampia gamma di tonalità ambrate.
Il corpo della donna, abbandonato su un letto - ma del quale non vediamo il viso, volutamente omesso dal pittore - è visibile solo parzialmente, dalle cosce al seno. L'artista non trascura il legame con la tradizione di una pittura carnale e lirica racchiusa nelle pennellate ampie e sensuali che ci riportano alla pittura veneziana, accentuando piuttosto l’inno alla vita, alla sessualità, alla joie de vivre delle quali l’opera si fa interprete.
Il diplomatico turco-egiziano Khalil-Bey, con ogni probabilità il committente della tela, fu anche il primo proprietario de L’origine del mondo. L’opera avrebbe dovuto arricchire la sua collezione dedicata alla celebrazione del corpo femminile. Il quadro entrò a far parte della collezione del Museo d’Orsay nel 1995.
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