Alla scoperta del capolavoro del Louvre
Amore e Psiche: la favola dell’anima secondo Canova
Antonio Canova, Amore e Psiche, 1788-1793, Marmo bianco, 155 cm, Parigi, Musée du Louvre | Foto: giadarossi via Pixabay
Francesca Grego
17/04/2020
"Non ho guardato nulla del resto della galleria. Ci sono tornato più volte e, l’ultima, ho baciato sotto l’ascella la donna in deliquio che tende verso Amore lunghe braccia di marmo. E il piede! E la testa! Il profilo! Mi si perdoni, dopo molto tempo è stato il mio unico bacio sensuale, ed era qualcosa di più: baciavo la bellezza stessa, ed era al genio che sacrificavo il mio ardente entusiasmo”. Questo il commento di Gustave Flaubert dopo una travolgente visita al Louvre.
Il genio di cui si parla è quello di Antonio Canova, che dalla favola di Amore e Psiche trasse la sua opera più romantica e sensuale, appunto Amore e Psiche. Non è necessario essere degli eruditi per restare incantati davanti all’incontro dell’Anima (questo il significato del nome Psiche presso gli antichi greci) con gli ardori di Eros, dove la perfezione della forma si accende di infuocata tenerezza e un varco si apre tra l’umano e il divino. Ma questo stupore è destinato a crescere quando prendiamo coscienza della perizia quasi miracolosa con cui il Maestro neoclassico trasformò il mito narrato da Apuleio in un’immagine forse ancor più emozionante. Sotto lo scalpello di Canova, il marmo candido fonde in un’unica vibrazione la carne degli amanti e un ideale di pura bellezza.
Antonio Canova, Amore e Psiche, Dettaglio, 1788-1793, Marmo bianco, 155 cm, Parigi, Musée du Louvre | Foto: Michela Simoncini via Pixabay
La più bella leggenda d’amore
All’origine dell’opera c’è un mito greco, che lo scrittore latino Lucio Apuleio rese popolare tra i romani con il libro Le Metamorfosi o L’Asino d’Oro. Psiche è una fanciulla talmente bella da suscitare l’invidia di Afrodite, che ordina al figlio Eros di farla innamorare dell’essere più vile e disgustoso. Ma nemmeno il dio alato resiste al fascino di Psiche. Invece di darla in sposa a un terribile drago, Eros la attira verso uno splendido palazzo dove i due si incontrano al buio, in un incanto che si rinnova ogni sera. A una condizione: lei non dovrà mai indagare sull’identità del marito. La curiosità, tuttavia, prende il sopravvento. Una notte la fanciulla accende una lucerna e scopre tremante che Amore dorme al suo fianco. Una goccia d’olio bollente finisce sulla spalla di lui, che fugge adirato. La furia di Afrodite si scatena, ma la ragazza ha dalla sua il favore degli dei. Sottoposta alle prove più ardue, Psiche le supera tutte fino a tradirsi in un gesto avventato: apre il vaso della bellezza che, nell’oscurità degli Inferi, Persefone le ha dato da consegnare ad Afrodite, e cade in un sonno profondo. Sarà Eros a risvegliarla e la coppia vivrà per sempre sull’Olimpo, insieme alla figlioletta Edoné, la Voluptas dei latini.
Storia di un capolavoro
Il gruppo di Amore e Psiche fu commissionato a Canova dal barone John Campbell, suo amico e primo mecenate britannico. Oltre alla favola di Apuleio, per ispirarsi lo scultore prese in esame numerose fonti iconografiche: dipinti, incisioni, porcellane e soprattutto una famosa pittura murale di Ercolano raffigurante un Fauno con Baccante. Ma, come racconta lo storico dell’arte e amico di Canova, Leopoldo Cicognara, a determinare il carattere appassionato dell’opera fu un’osservazione di un vecchio cliente, il conte di Bristol Fredrick Augustus Harvey, che esortò l’artista a “scaldare” l’atmosfera delle sue sculture.
Ci vollero cinque anni perché il capolavoro del Louvre fosse pronto: un processo oggi testimoniato da disegni, modelli e bozzetti conservati tra il Museo Correr di Venezia, la Gypsotheca Antonio Canova di Possano e i Musei Civici di Bassano del Grappa. Per motivi ancora non chiariti, Campbell non poté completare i pagamenti e l’opera fu venduta a Gioacchino Murat, il cognato di Napoleone. L’imperatore ebbe modo di apprezzare il gruppo che, quando Murat divenne re di Napoli, fu trasferito al Louvre.
Francesco Hayez, Ritratto della famiglia Cicognara, con il busto colossale di Antonio Canova, 1816-1817, Olio su tela (Particolare), Venezia, Casa privata | Courtesy of Gallerie dell'Accademia di Venezia
Per saperne di più leggi anche:
Canova, Hayez, Cicognara: la triade della rinascita
La fortuna di Amore e Psiche
La fama del marmo di Canova si diffuse velocemente. Già durante la gestazione dell’opera, una folla di artisti, eruditi e viaggiatori si riversò nell’atelier romano dell’artista, che per lavorare in pace fu costretto a rifugiarsi in un altro studio. Furono moltissimi gli ammiratori del gruppo di Amore e Psiche: dal poeta John Keats, autore di un’ode in suo onore, ad Auguste Rodin, che ne rielaborò l’ispirazione in chiave contemporanea.
Folgorato dal capolavoro di Canova, il principe Nikolaj Jusupov pregò lo scultore di trasferirsi alla corte di Caterina II di Russia. Canova rifiutò, ma accettò di realizzare una nuova versione del soggetto: Amore e Psiche stanti, che raffigura gli amanti in piedi con in mano una piccola farfalla. La scultura oggi conservata all’Ermitage di San Pietroburgo fu la prima di una lunga serie di repliche: Canova aveva donato il modello di gesso all’allievo prediletto Adamo Tadolini, autorizzandolo a trarne tutte le copie desiderate.
Una favola scolpita nel marmo
Da Giulio Romano a Bertel Thorvaldsen ed Eugéne Delacroix, la leggenda di Apuleio ha stregato un gran numero di artisti. Ma non c’è storia: quando parliamo di Amore e Psiche, pensiamo immediatamente alla scultura di Canova. Come in un’istantanea, il Maestro di Possagno ritaglia il momento più dolce del racconto: quello in cui Eros risveglia Psiche dal sonno infernale, non con la puntura delle sue frecce, bensì con un languido bacio. Oltre al titolo del Louvre - Psyché ranimée par le baiser de l’Amour - con cui lo scultore si riferisce all’opera in una lettera a Quatremère de Quincy, ce lo indica il vasetto di Persefone abbandonato alle spalle di lei. Per la prima volta gli amanti possono guardarsi negli occhi: un attimo lungo e appassionato che emoziona più del bacio che verrà. Molto si è detto della capacità di Canova di trasferire nel marmo il “senso della carne”, la leggerezza di veli drappeggiati, i ricci morbidi delle capigliature. Qui le magiche mani del Maestro ci consegnano la pelle sensibile e levigata di due amanti adolescenti, fondendo l’osservazione della natura con il bello ideale del Neoclassicismo. Il marmo è immortale come la giovinezza di Amore e Psiche, come il loro amore e come il mito narrato da Apuleio.
Bellezza a 360 gradi
Nel gruppo di Amore e Psiche dettagli mirabili compongono insieme un concerto di suprema armonia. Ogni gesto, sguardo, postura collabora a disegnare un incanto in cui Canova profuse tutta la sua fantasiosa inventiva. Se osserviamo la scultura frontalmente, noteremo che i corpi di Psiche ed Eros si incrociano in una X sinuosa che quasi si libra nello spazio, mentre le quattro braccia danno vita a due cerchi intrecciati e un tondo incornicia i volti degli amanti, attirando l’attenzione sui pochi centimetri che separano le labbra al culmine del desiderio. Equilibrio ed espressività convivono in un sapiente gioco di linee, che tuttavia non si limita alla visione frontale: girando attorno all’opera scopriamo dettagli utili a comprendere la storia - la faretra di Eros e il vaso di Persefone, per esempio - ma soprattutto infiniti punti di vista su un incontro denso di poesia.
Misura solo 155 x 168 centimetri il gruppo del Louvre, eppure guardarlo produce un’impressione potente: merito del Maestro che seppe infondere al candore del marmo il soffio della vita e alla perfezione neoclassica il dinamismo multiforme del teatro.
Il genio di cui si parla è quello di Antonio Canova, che dalla favola di Amore e Psiche trasse la sua opera più romantica e sensuale, appunto Amore e Psiche. Non è necessario essere degli eruditi per restare incantati davanti all’incontro dell’Anima (questo il significato del nome Psiche presso gli antichi greci) con gli ardori di Eros, dove la perfezione della forma si accende di infuocata tenerezza e un varco si apre tra l’umano e il divino. Ma questo stupore è destinato a crescere quando prendiamo coscienza della perizia quasi miracolosa con cui il Maestro neoclassico trasformò il mito narrato da Apuleio in un’immagine forse ancor più emozionante. Sotto lo scalpello di Canova, il marmo candido fonde in un’unica vibrazione la carne degli amanti e un ideale di pura bellezza.
Antonio Canova, Amore e Psiche, Dettaglio, 1788-1793, Marmo bianco, 155 cm, Parigi, Musée du Louvre | Foto: Michela Simoncini via Pixabay
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Storia di un capolavoro
Il gruppo di Amore e Psiche fu commissionato a Canova dal barone John Campbell, suo amico e primo mecenate britannico. Oltre alla favola di Apuleio, per ispirarsi lo scultore prese in esame numerose fonti iconografiche: dipinti, incisioni, porcellane e soprattutto una famosa pittura murale di Ercolano raffigurante un Fauno con Baccante. Ma, come racconta lo storico dell’arte e amico di Canova, Leopoldo Cicognara, a determinare il carattere appassionato dell’opera fu un’osservazione di un vecchio cliente, il conte di Bristol Fredrick Augustus Harvey, che esortò l’artista a “scaldare” l’atmosfera delle sue sculture.
Ci vollero cinque anni perché il capolavoro del Louvre fosse pronto: un processo oggi testimoniato da disegni, modelli e bozzetti conservati tra il Museo Correr di Venezia, la Gypsotheca Antonio Canova di Possano e i Musei Civici di Bassano del Grappa. Per motivi ancora non chiariti, Campbell non poté completare i pagamenti e l’opera fu venduta a Gioacchino Murat, il cognato di Napoleone. L’imperatore ebbe modo di apprezzare il gruppo che, quando Murat divenne re di Napoli, fu trasferito al Louvre.
Francesco Hayez, Ritratto della famiglia Cicognara, con il busto colossale di Antonio Canova, 1816-1817, Olio su tela (Particolare), Venezia, Casa privata | Courtesy of Gallerie dell'Accademia di Venezia
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Folgorato dal capolavoro di Canova, il principe Nikolaj Jusupov pregò lo scultore di trasferirsi alla corte di Caterina II di Russia. Canova rifiutò, ma accettò di realizzare una nuova versione del soggetto: Amore e Psiche stanti, che raffigura gli amanti in piedi con in mano una piccola farfalla. La scultura oggi conservata all’Ermitage di San Pietroburgo fu la prima di una lunga serie di repliche: Canova aveva donato il modello di gesso all’allievo prediletto Adamo Tadolini, autorizzandolo a trarne tutte le copie desiderate.
Una favola scolpita nel marmo
Da Giulio Romano a Bertel Thorvaldsen ed Eugéne Delacroix, la leggenda di Apuleio ha stregato un gran numero di artisti. Ma non c’è storia: quando parliamo di Amore e Psiche, pensiamo immediatamente alla scultura di Canova. Come in un’istantanea, il Maestro di Possagno ritaglia il momento più dolce del racconto: quello in cui Eros risveglia Psiche dal sonno infernale, non con la puntura delle sue frecce, bensì con un languido bacio. Oltre al titolo del Louvre - Psyché ranimée par le baiser de l’Amour - con cui lo scultore si riferisce all’opera in una lettera a Quatremère de Quincy, ce lo indica il vasetto di Persefone abbandonato alle spalle di lei. Per la prima volta gli amanti possono guardarsi negli occhi: un attimo lungo e appassionato che emoziona più del bacio che verrà. Molto si è detto della capacità di Canova di trasferire nel marmo il “senso della carne”, la leggerezza di veli drappeggiati, i ricci morbidi delle capigliature. Qui le magiche mani del Maestro ci consegnano la pelle sensibile e levigata di due amanti adolescenti, fondendo l’osservazione della natura con il bello ideale del Neoclassicismo. Il marmo è immortale come la giovinezza di Amore e Psiche, come il loro amore e come il mito narrato da Apuleio.
Bellezza a 360 gradi
Nel gruppo di Amore e Psiche dettagli mirabili compongono insieme un concerto di suprema armonia. Ogni gesto, sguardo, postura collabora a disegnare un incanto in cui Canova profuse tutta la sua fantasiosa inventiva. Se osserviamo la scultura frontalmente, noteremo che i corpi di Psiche ed Eros si incrociano in una X sinuosa che quasi si libra nello spazio, mentre le quattro braccia danno vita a due cerchi intrecciati e un tondo incornicia i volti degli amanti, attirando l’attenzione sui pochi centimetri che separano le labbra al culmine del desiderio. Equilibrio ed espressività convivono in un sapiente gioco di linee, che tuttavia non si limita alla visione frontale: girando attorno all’opera scopriamo dettagli utili a comprendere la storia - la faretra di Eros e il vaso di Persefone, per esempio - ma soprattutto infiniti punti di vista su un incontro denso di poesia.
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