Noè Bordignon. Dal realismo al simbolismo
Dal 18 Settembre 2021 al 16 Gennaio 2022
Castelfranco Veneto | Treviso
Luogo: Museo Casa Giorgione, Castelfranco Veneto / Villa Marini Rubelli, San Zenone
Indirizzo: Sedi varie
Curatori: Fernando Mazzocca ed Elena Catra
Noè Bordignon (1841- 1920), frescante e pittore, partecipe narratore delle povere genti e del mondo della campagna veneta nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, nonostante i numerosi riconoscimenti internazionali in vita, attendeva ancora una piena riscoperta in epoca moderna al pari di quella che ha interessato altri suoi contemporanei.
Un doveroso riconoscimento che con orgoglio giunge ora per il centenario della morte con la prima mostra monografica a lui dedicata – dal 18 settembre 2021 al 16 gennaio 2022 - dai due Comuni che segnano l’inizio e la fine della sua vita e della sua carriera: Castelfranco Veneto, dove Bordignon nacque (nella frazione di Salvarosa) e San Zenone degli Ezzelini luogo prediletto, ove l’artista si ritirò definitivamente negli ultimi anni di vita e che custodisce le sue spoglie.
Un evento con il sapore di un riscatto, punto di partenza nella valorizzazione di un protagonista di primo piano della cultura figurativa del Veneto tra il XIX e il XX secolo, che vede il coinvolgimento, accanto ai promotori, di tantissime Istituzioni e partner: realizzato con il Patrocinio della Regione del Veneto e della Provincia di Treviso, con la collaborazione dei Comuni di Altivole, Asolo, Bassano del Grappa, Cassola, Cartigliano, Castello di Godego, Loria, Maser, Monfumo, Riese Pio X e Rosà, con il sostegno come main sponsor di Banca delle Terre Venete Credito Cooperativo-Società Cooperativa e Infoteam S.r.l e il contributo di Imballi S.p.A., Aertesi S.r.l., Mazzon Costruzioni Generali S.r.l., Farmacia Laboratorio La Carinatese e CNA di Asolo – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa.
Le celebrazioni - necessariamente rinviate fino ad oggi a causa dell’emergenza sanitaria – intendono dunque porsi innanzitutto come un caposaldo nello studio e nella conoscenza del percorso di un artista, cui si devono comunque opere divenute iconiche per la pittura dell’Ottocento veneto anche tra il vasto pubblico come “La mosca cieca”, “La pappa al fogo” o “Per l’America ( i Migranti )”.
Ad accompagnare il percorso espositivo curato da due dei massimi esperti in materia, Fernando Mazzocca ed Elena Catra, e sviluppato cronologicamente e per temi nelle due sedi espositive del Museo Casa Giorgione a Castelfranco Veneto e di Villa Marini Rubelli a San Zenone - con oltre 60 tele dell’artista e alcuni puntuali confronti con i contemporanei Ciardi, Zandomeneghi, Milesi ecc. - ci saranno dunque un importante catalogo-studio, che prevede anche il regesto completo dell’opera pittorica e ad affresco di Bordignon e gli itinerari sul territorio pedemontano e veneto – 11 comuni coinvolti con 21 siti e altri 9 comuni segnalati - vera occasione di scoperta e conoscenza del suo eccellente pennello come frescante e di autentici capolavori diffusi.
Perché l’unicità di Bordignon nel contesto dell’epoca e in un mondo che si andava rapidamente laicizzando, ciò che probabilmente determinò un disinteresse postumo per la sua figura e la mancata valorizzazione in seno alla Biennale di Venezia, che ripetutamente rifiutò sue opere poi premiate in importanti esposizioni in Italia o all’estero, fu proprio il perseguire, accanto a una pittura di genere sensibile alle sperimentazioni più attuali, anche una intensa produzione ad affresco che rivelava il suo profondo radicamento al territorio e alla tradizione “senza tempo” dell’arte sacra.
Il legame con le sue origini - lui figlio di un sarto di campagna che poté studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia solo grazie al sostegno del Comune di Castelfranco e di alcuni privati concittadini – ma anche l’influenza dei suoi principali maestri, Michelangelo Grigoletti e Carl Blaas, e un profondo sentimento cristiano spinsero Bordignon a perpetuare lungo tutta la sua vita e ai massimi livelli la tradizione iconografica del racconto evangelico, realizzando i tanti cicli di affreschi che si conservano nelle chiese del territorio: composizioni di ampio respiro, ricche di figure e di movimento.
Un percorso che poteva sembrare parallelo e distante ma che in realtà era del tutto affine a quello del Bordignon “pittore di scene di vita contemporanea” capace di conciliare l’innovazione formale e il confronto con la “macchia“ toscana e la rivoluzione naturalistica degli anni sessanta e settanta – cruciale la mostra a Venezia della Società Promotrice del 1865 - con l’impegno civile e i valori di solidarietà cristiana.
I suggestivi interni delle chiese, le commoventi scene di vita rurale volte al riscatto degli umili e degli “ultimi” sono un riflesso della stessa, profonda religiosità dimostrata come pittore sacro, in perfetta sintonia con la dottrina sociale della Chiesa avviata in quei decenni e ufficializzata nella famosa enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, nel 1891.
“Il Bordignon che catechizza i contadini veneti, celebrando i fasti della Cristianità nelle volte delle chiese di campagna e il Bordignon che è partecipe dei loro drammi familiari, che sta al fianco di quelli che emigrano, come nel commovente Per l’America del 1887, – scrive Fernando Mazzocca nel catalogo della mostra – sono la stessa persona”.
Agli affreschi realizzati nella Chiesa parrocchiale di San Zenone degli Ezzelini con il monumentale Giudizio Universale del 1879, si affiancano dunque capolavori di grande qualità sperimentale come La Mosca cieca (o La gatta cieca) la cui datazione solo di recente è stata restituita al 1873, anticipata di sei anni rispetto alla tradizione.
Allo stesso modo questa vicinanza spirituale al mondo povero e disagiato delle campagne, visto come depositario di profonda spiritualità e idealizzato per i suoi valori morali, così come il rifiuto di aderire alla Massoneria con le sue posizioni anticlericali, potrebbero essere, secondo i curatori, i veri motivi della resistenza della Biennale nei confronti della sua opera.
La pappa al fogo, che Bordignon considerava il suo capolavoro, venne “barbaramente respinto” – come egli annotò - dal Comitato ordinatore della prima Biennale di Venezia del 1895, quella stessa che “celebrava i fasti della pittura mondana” ponendo al centro dell’attenzione un quadro “scandaloso” come quello di Giacomo Grosso che ritraeva cinque donne nude all’interno di una Chiesa di fronte alla bara di un libertino (“Il Supremo Convegno”), esposto nonostante l’anticipata condanna del Patriarca futuro Papa Pio X.
“La rivalutazione di Bordignon era attesa da molto tempo, dai suoi concittadini e dal mondo accademico” spiegano i sindaci del Comune di Castelfranco Veneto Stefano Marcon e di San Zenone degli Ezzelini Fabio Marin. “Abbiamo voluto realizzare un evento di alto valore scientifico, ma anche fortemente radicato nel territorio, dando vita ad una positiva collaborazione tra due amministrazioni e soprattutto riuscendo a coinvolgere e a mettere in rete i principali comuni che nella pedemontana conservano memoria e testimonianza dell’opera di Bordignon: un patrimonio che siamo convinti vada assolutamente valorizzato, così come i paesaggi di queste nostre terre, riproposti e immortalati nelle opere di un artista che, ci auguriamo, anche i giovani potranno ora adeguatamente conoscere e apprezzare”.
La mostra celebrativa prende dunque le mosse a Castelfranco, con un’evocativa introduzione dedicata all’universo femminile del pittore e con le prime due sezioni tematiche “La formazione artistica e il pensionamento romano” e “La pittura del vero”, che propongono alcuni dei suoi più noti capolavori. Qui anche una notevole selezione di suoi disegni e studi e – curiosità - il taccuino di appunti visivi del suo viaggio del 1878 a Parigi per l’Esposizione Universale, ove Bordignon vinse una medaglia per l’opera Ragazze che cantano nella valle.
Quindi l’esposizione prosegue a San Zenone, completando la fase pittorica del realismo legato al mondo campestre e soffermandosi su “Il ritratto” e “La svolta simbolista”.
Ci saranno opere esposte per la prima volta in quest’occasione, i dipinti dei familiari gelosamente conservati nella sua abitazione e quei quadri - Inverno, Lieto Ritorno ma anche il bellissimo bozzetto di Matelda - con cui Noè Bordignon, pur legatissimo alla tradizione, si mostra capace di stare al passo con i tempi, di saper rileggere e interpretare le nuove istanze senza venir meno alla sua visione dell’arte: paesaggi dell’anima, atmosfere diluite, veloci tocchi e frantumazione del colore, con attenzione alla resa luministica, per narrare in modo nuovo l’avventura del quotidiano, la fatica delle povere genti.
Infine una sezione collaterale alla mostra sarà dedicata allo stretto rapporto professionale e di amicizia tra Noè Bordignon, i Padri Armeni Mechitaristi e la Congregazione di San Lazzaro degli Armeni, nella cui Abbazia si conservano ancora importanti opere del pittore.
A San Zenone degli Ezzelini un possedimento della Congregazione dal 1896, Villa Albrizzi, facilitò la vicinanza e la relazione umana con l’artista anche negli ultimi anni della sua vita.
IL PERCORSO Dopo gli anni di formazione a Venezia svolti con eccellenti risultati - di cui la mostra dà una sintetica testimonianza nel confronto con opere del maestro Carl Blaas, del compagno di studi Luigi da Rios e dei contemporanei Michele Cammarano e Federico Zandomeneghi - Bordignon ottiene la borsa di studio per l’alunnato a Roma, dove si accosta non solo alla grande tradizione artistica ma anche alle nuove correnti pittoriche.
Si immerge negli studi dal vero e nella pittura en plain air, spostandosi in aperta campagna, e si dedica all’esecuzione di opere da poter esporre alla Società degli Armatori e delle Belle Arti in Roma, quasi dimenticando gli impegni assunti con l’Accademia di Venezia.
Nonostante ciò la Commissione accademica con voto unanime considererà un adeguato saggio finale, in sostituzione all’opera di soggetto storico prescritta, proprio la Mosca Cieca – prestata per l’occasione dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia - giudicata convincente per l’intensità delle tinte e lo studio delle figure, ma anche decisamente aggiornata con le tendenze più avanzate dell’epoca, come quelle sviluppate da Filippo Palizzi, presente in mostra con “Fanciulla sulla roccia a Sorrento” (1871).
Le opere realizzate a Roma negli anni immediatamente successivi, come Interno di Santa Maria del Popolo a Roma, Mamma col bambino all’interno della Basilica di Santa Maria del Popolo e Ragazze che cantano nella valle esposta a Parigi nel 1878, danno conto del ruolo fondamentale che ebbe l’esperienza nella Capitale per l’evoluzione della personalità artistica di Bordignon.
E’ il momento in cui, sulla scorta di un sempre più stringente confronto con l’immagine fotografica, l’attenzione degli artisti si rivolge al vero, al reale, per trovare nuova ispirazione. In ambito locale, seguendo il fortunato esempio di Giacomo Favretto, questa tendenza si declina in chiave bozzettistica, prediligendo paesaggi pittoreschi e sentimenti vividi “che oscillano, sempre in maniera moderata, dalla pietà all’ironia, dalla curiosità alla tristezza”.
Ecco dunque in mostra scene popolari veneziane, quadri dal lessico familiare, umili interni. Negli anni Ottanta dell’Ottocento Bordignon trova a Venezia, non lontano dalla chiesa dei Carmini, un posto tranquillo per lavorare.
Un piccolo campo chiuso accessibile da Fondamenta dei Cereri, Corte San Marco, con il caratteristico pozzo esagonale in pietra d’Istria ben riconoscibile nei dipinti Le pettegole e Il mese di Maria; lo stesso campo, girando lo sguardo verso l’ingresso, è l’ambientazione anche di Cortile veneziano. C’è poi la chiesa dei Frari, altro luogo amato e rappresentato dagli artisti, anche per il significato civico assunto con i monumenti dedicati a Canova e Tiziano.
La tela Compatrioti di Canova ci racconta una buffa scenetta dove due abitanti di Possagno, con il vestito della festa ma con modi un po’ goffi e grevi, davanti al cenotafio canoviano paiono più interessati alle fanciulle accanto a loro che al monumento del celebre concittadino. “Grande in questa composizione - come segnala Vittorio Pajusco in catalogo - è il realismo fotografico, evidente nella figura seduta in primo piano che guarda rapita verso il pittore dimenticandosi il bimbo visto di scorcio, che dorme sul freddo pavimento della chiesa”.
Giovani donne e bambini sono per altro una costante dei dipinti di Bordignon e dei suoi contemporanei, in un alternarsi di giovinezza e spensieratezza - come nel “La pappa scotta” di Luigi Serena o nel quadro di Bordignon Troppo piccoli - ma anche di malinconia, connessa alla fugacità della gioia e alle malattie che colpiscono queste giovani vite come nel caso de l’Ammalata.
Le amate campagne di San Zenone, nelle quali il pittore si ritira sempre più spesso, offrono a Bordignon un’altra ricorrente ambientazione, sia per gli interni di povere cucine come La Pappa calda (1888), La Buona madre (1890) o La pappa al fogo (1895) - che richiamano i quadri del lombardo Induno o dei veneziani Luigi Nono e Alessandro Milesi di cui è in mostra “Il racconto della nonna” del 1897 - sia nei momenti di partecipazione affettiva ai drammi della gente come nell’opera monumentale Per l’America (Emigranti) del 1887 con cui prosegue il percorso a San Zenone degli Ezzelini - o nei paesaggi animati da fanciulle, sorta di ninfe campestri. Scorrono davanti agli occhi dei visitatori, tra gli altri: il Moscone, bellissima tela di proprietà della Fondazione Musei Civci di Venezia del 1884, ma anche Pastorella, Ragazza in lettura, Sola tra i campi tutte del 1900.
Ricchissima è la sezione dedicata alla ritrattistica. Nella barchessa di Villa Marini Rubelli vediamo circa 20 ritratti che mostrano l’abilità di Bordignon alla luce degli insegnamenti ricevuti in Accademia e dell’attenzione al vero, ma anche dei continui aggiornamenti di tecnica e repertorio che trae dai viaggi e dalle partecipazioni ad esposizioni nazionali e internazionali (Parigi, Bruxelles, Monaco, Vienna, Berlino, Praga, ecc.)
Tante sono le sorprese. Bordignon innanzitutto è ritrattista della sua gente: giovani veneziane, ragazze di campagna e umili lavoratori di San Zenone colti in atteggiamenti quotidiani. Poi tra i soggetti preferiti ci sono i suoi familiari, che in più occasioni si erano prestati per dare le fattezze a personaggi delle sue opere: dal figlio Mariano Edoardo, raffigurato nel giovane mangiatore nella Pappa al fogo, alla figlia Maria ritratta in numerosissimi affreschi. In mostra potremo vedere l’intera famiglia dell’artista, compresa la moglie Maria Zanchi e il primogenito Lazzaro detto Rino: ritratti che Noè custodiva gelosamente nella sua casa a San Zenone quali affetti più cari.
Tra i personaggi di spicco, da segnalare alcuni dipinti esposti per la prima volta in questa occasione, come il ritratto del poeta Vittorio Salmini e quello di Papa Pio X, colto non in veste ufficiale di capo della Chiesa ma in mozzetta e talare bianco, in piedi, in fraterno dialogo con l’osservatore.
Così come intimo è il Ritratto di padre Ghevont Leonzio Alishan, l’esito più alto raggiunto da Bordignon nella ritrattistica. Bordignon ebbe un prolungato soggiorno sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia e un forte rapporto di stima ed amicizia con la Congregazione, per la quale realizzò diverse opere, che ancora si conservano nell’Abbazia, tra ritratti, cicli di affreschi e la pala d’altare raffigurante San Gregorio benedice il popolo armeno.
Così Padre Alishan, tra i personaggi più famosi della congregazione mechitarista - teologo, storico e geografo che contribuì in maniera determinante alla rinascita culturale dell’Armenia - è ritratto in quest’opera, tutt’ora conservata nel monastero, mentre è al lavoro, concentrato, nel suo studio.
Gli ultimi due decenni del Novecento sono tuttavia anche quelli dell’apertura al simbolismo. Con la Triennale di Brera del 1981 anche in Italia si dà voce e ci si confronta sulle istanze nate al di fuori delle accademie e sulle nuove tendenze a livello internazionale, con l’allontanamento dal “vero” e il paesaggio che diviene riflesso degli stati dell’animo, in un processo di ricerca interiore. Bordignon segue il rinnovamento e presenta al pubblico milanese un dipinto, qui proposto nella versione a bozzetto, che, all’interno della sua più tradizionalista produzione pittorica, si distingue per l’assoluta modernità della proposta.
Matelda, figura letteraria, guida di Dante nel XXVIII canto del Purgatorio, è riletta dal pittore veneto in chiave simbolista con chiari rimandi alla pittura inglese contemporanea dei preraffaelliti: la donna, dai lunghi capelli, circondata da rami e fiori simbolo di rinascita, avvolta da una bianca veste svolazzante, domina la tela.
Dante e Virgilio appaiono infatti solo accennati sullo sfondo dell’opera finita, per scomparire del tutto nella versione che vediamo in mostra.
Una Matelda quella di Bordignon che ben si inserisce dunque in quella fortunata serie di dipinti aventi per soggetto donne dalle sembianze angeliche dai dichiarati accenti simbolisti, tra cui spicca la tela di Domenico Morelli esposta per l’occasione “L’amore degli angeli” (1892).
Il confronto con il bellissimo dipinto di Beppe Ciardi “Terra in fiore” (1897), proveniente dal Museo Civico Casa Cavazzini di Udine, evidenzia quelle sperimentazioni stilistiche che anche Bordignon affronterà: dalla scelta della gamma cromatica e della resa della pennellata all’adesione a nuovi modelli iconografici. Atmosfere più diluite, una resa della natura con contorni più sfumati e veloci tocchi di colore, un accenno alle tendenze divisioniste li ammiriamo in Lieto ritorno che andrà all’Esposizioni Riunite di Milano nel 1894 e tre anni dopo alla Terza Triennale, ma anche in Inverno, singolare per l’idea mistica e il senso di non finito provocati dalla neve in cui è immersa la fanciulla.
Un timido e pacato confronto con il nuovo che non porterà tuttavia Noè Bordignon a rinnegare i suoi valori o ad abbandonare i temi più cari. La difesa degli umili, l’amore per la terra, la fede cristiana, la vita rurale e San Zenone saranno sempre al centro della sua attenzione d’artista e di uomo. L'organizzazione generale è di Villaggio Globale International.
Un doveroso riconoscimento che con orgoglio giunge ora per il centenario della morte con la prima mostra monografica a lui dedicata – dal 18 settembre 2021 al 16 gennaio 2022 - dai due Comuni che segnano l’inizio e la fine della sua vita e della sua carriera: Castelfranco Veneto, dove Bordignon nacque (nella frazione di Salvarosa) e San Zenone degli Ezzelini luogo prediletto, ove l’artista si ritirò definitivamente negli ultimi anni di vita e che custodisce le sue spoglie.
Un evento con il sapore di un riscatto, punto di partenza nella valorizzazione di un protagonista di primo piano della cultura figurativa del Veneto tra il XIX e il XX secolo, che vede il coinvolgimento, accanto ai promotori, di tantissime Istituzioni e partner: realizzato con il Patrocinio della Regione del Veneto e della Provincia di Treviso, con la collaborazione dei Comuni di Altivole, Asolo, Bassano del Grappa, Cassola, Cartigliano, Castello di Godego, Loria, Maser, Monfumo, Riese Pio X e Rosà, con il sostegno come main sponsor di Banca delle Terre Venete Credito Cooperativo-Società Cooperativa e Infoteam S.r.l e il contributo di Imballi S.p.A., Aertesi S.r.l., Mazzon Costruzioni Generali S.r.l., Farmacia Laboratorio La Carinatese e CNA di Asolo – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa.
Le celebrazioni - necessariamente rinviate fino ad oggi a causa dell’emergenza sanitaria – intendono dunque porsi innanzitutto come un caposaldo nello studio e nella conoscenza del percorso di un artista, cui si devono comunque opere divenute iconiche per la pittura dell’Ottocento veneto anche tra il vasto pubblico come “La mosca cieca”, “La pappa al fogo” o “Per l’America ( i Migranti )”.
Ad accompagnare il percorso espositivo curato da due dei massimi esperti in materia, Fernando Mazzocca ed Elena Catra, e sviluppato cronologicamente e per temi nelle due sedi espositive del Museo Casa Giorgione a Castelfranco Veneto e di Villa Marini Rubelli a San Zenone - con oltre 60 tele dell’artista e alcuni puntuali confronti con i contemporanei Ciardi, Zandomeneghi, Milesi ecc. - ci saranno dunque un importante catalogo-studio, che prevede anche il regesto completo dell’opera pittorica e ad affresco di Bordignon e gli itinerari sul territorio pedemontano e veneto – 11 comuni coinvolti con 21 siti e altri 9 comuni segnalati - vera occasione di scoperta e conoscenza del suo eccellente pennello come frescante e di autentici capolavori diffusi.
Perché l’unicità di Bordignon nel contesto dell’epoca e in un mondo che si andava rapidamente laicizzando, ciò che probabilmente determinò un disinteresse postumo per la sua figura e la mancata valorizzazione in seno alla Biennale di Venezia, che ripetutamente rifiutò sue opere poi premiate in importanti esposizioni in Italia o all’estero, fu proprio il perseguire, accanto a una pittura di genere sensibile alle sperimentazioni più attuali, anche una intensa produzione ad affresco che rivelava il suo profondo radicamento al territorio e alla tradizione “senza tempo” dell’arte sacra.
Il legame con le sue origini - lui figlio di un sarto di campagna che poté studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia solo grazie al sostegno del Comune di Castelfranco e di alcuni privati concittadini – ma anche l’influenza dei suoi principali maestri, Michelangelo Grigoletti e Carl Blaas, e un profondo sentimento cristiano spinsero Bordignon a perpetuare lungo tutta la sua vita e ai massimi livelli la tradizione iconografica del racconto evangelico, realizzando i tanti cicli di affreschi che si conservano nelle chiese del territorio: composizioni di ampio respiro, ricche di figure e di movimento.
Un percorso che poteva sembrare parallelo e distante ma che in realtà era del tutto affine a quello del Bordignon “pittore di scene di vita contemporanea” capace di conciliare l’innovazione formale e il confronto con la “macchia“ toscana e la rivoluzione naturalistica degli anni sessanta e settanta – cruciale la mostra a Venezia della Società Promotrice del 1865 - con l’impegno civile e i valori di solidarietà cristiana.
I suggestivi interni delle chiese, le commoventi scene di vita rurale volte al riscatto degli umili e degli “ultimi” sono un riflesso della stessa, profonda religiosità dimostrata come pittore sacro, in perfetta sintonia con la dottrina sociale della Chiesa avviata in quei decenni e ufficializzata nella famosa enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, nel 1891.
“Il Bordignon che catechizza i contadini veneti, celebrando i fasti della Cristianità nelle volte delle chiese di campagna e il Bordignon che è partecipe dei loro drammi familiari, che sta al fianco di quelli che emigrano, come nel commovente Per l’America del 1887, – scrive Fernando Mazzocca nel catalogo della mostra – sono la stessa persona”.
Agli affreschi realizzati nella Chiesa parrocchiale di San Zenone degli Ezzelini con il monumentale Giudizio Universale del 1879, si affiancano dunque capolavori di grande qualità sperimentale come La Mosca cieca (o La gatta cieca) la cui datazione solo di recente è stata restituita al 1873, anticipata di sei anni rispetto alla tradizione.
Allo stesso modo questa vicinanza spirituale al mondo povero e disagiato delle campagne, visto come depositario di profonda spiritualità e idealizzato per i suoi valori morali, così come il rifiuto di aderire alla Massoneria con le sue posizioni anticlericali, potrebbero essere, secondo i curatori, i veri motivi della resistenza della Biennale nei confronti della sua opera.
La pappa al fogo, che Bordignon considerava il suo capolavoro, venne “barbaramente respinto” – come egli annotò - dal Comitato ordinatore della prima Biennale di Venezia del 1895, quella stessa che “celebrava i fasti della pittura mondana” ponendo al centro dell’attenzione un quadro “scandaloso” come quello di Giacomo Grosso che ritraeva cinque donne nude all’interno di una Chiesa di fronte alla bara di un libertino (“Il Supremo Convegno”), esposto nonostante l’anticipata condanna del Patriarca futuro Papa Pio X.
“La rivalutazione di Bordignon era attesa da molto tempo, dai suoi concittadini e dal mondo accademico” spiegano i sindaci del Comune di Castelfranco Veneto Stefano Marcon e di San Zenone degli Ezzelini Fabio Marin. “Abbiamo voluto realizzare un evento di alto valore scientifico, ma anche fortemente radicato nel territorio, dando vita ad una positiva collaborazione tra due amministrazioni e soprattutto riuscendo a coinvolgere e a mettere in rete i principali comuni che nella pedemontana conservano memoria e testimonianza dell’opera di Bordignon: un patrimonio che siamo convinti vada assolutamente valorizzato, così come i paesaggi di queste nostre terre, riproposti e immortalati nelle opere di un artista che, ci auguriamo, anche i giovani potranno ora adeguatamente conoscere e apprezzare”.
La mostra celebrativa prende dunque le mosse a Castelfranco, con un’evocativa introduzione dedicata all’universo femminile del pittore e con le prime due sezioni tematiche “La formazione artistica e il pensionamento romano” e “La pittura del vero”, che propongono alcuni dei suoi più noti capolavori. Qui anche una notevole selezione di suoi disegni e studi e – curiosità - il taccuino di appunti visivi del suo viaggio del 1878 a Parigi per l’Esposizione Universale, ove Bordignon vinse una medaglia per l’opera Ragazze che cantano nella valle.
Quindi l’esposizione prosegue a San Zenone, completando la fase pittorica del realismo legato al mondo campestre e soffermandosi su “Il ritratto” e “La svolta simbolista”.
Ci saranno opere esposte per la prima volta in quest’occasione, i dipinti dei familiari gelosamente conservati nella sua abitazione e quei quadri - Inverno, Lieto Ritorno ma anche il bellissimo bozzetto di Matelda - con cui Noè Bordignon, pur legatissimo alla tradizione, si mostra capace di stare al passo con i tempi, di saper rileggere e interpretare le nuove istanze senza venir meno alla sua visione dell’arte: paesaggi dell’anima, atmosfere diluite, veloci tocchi e frantumazione del colore, con attenzione alla resa luministica, per narrare in modo nuovo l’avventura del quotidiano, la fatica delle povere genti.
Infine una sezione collaterale alla mostra sarà dedicata allo stretto rapporto professionale e di amicizia tra Noè Bordignon, i Padri Armeni Mechitaristi e la Congregazione di San Lazzaro degli Armeni, nella cui Abbazia si conservano ancora importanti opere del pittore.
A San Zenone degli Ezzelini un possedimento della Congregazione dal 1896, Villa Albrizzi, facilitò la vicinanza e la relazione umana con l’artista anche negli ultimi anni della sua vita.
IL PERCORSO Dopo gli anni di formazione a Venezia svolti con eccellenti risultati - di cui la mostra dà una sintetica testimonianza nel confronto con opere del maestro Carl Blaas, del compagno di studi Luigi da Rios e dei contemporanei Michele Cammarano e Federico Zandomeneghi - Bordignon ottiene la borsa di studio per l’alunnato a Roma, dove si accosta non solo alla grande tradizione artistica ma anche alle nuove correnti pittoriche.
Si immerge negli studi dal vero e nella pittura en plain air, spostandosi in aperta campagna, e si dedica all’esecuzione di opere da poter esporre alla Società degli Armatori e delle Belle Arti in Roma, quasi dimenticando gli impegni assunti con l’Accademia di Venezia.
Nonostante ciò la Commissione accademica con voto unanime considererà un adeguato saggio finale, in sostituzione all’opera di soggetto storico prescritta, proprio la Mosca Cieca – prestata per l’occasione dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia - giudicata convincente per l’intensità delle tinte e lo studio delle figure, ma anche decisamente aggiornata con le tendenze più avanzate dell’epoca, come quelle sviluppate da Filippo Palizzi, presente in mostra con “Fanciulla sulla roccia a Sorrento” (1871).
Le opere realizzate a Roma negli anni immediatamente successivi, come Interno di Santa Maria del Popolo a Roma, Mamma col bambino all’interno della Basilica di Santa Maria del Popolo e Ragazze che cantano nella valle esposta a Parigi nel 1878, danno conto del ruolo fondamentale che ebbe l’esperienza nella Capitale per l’evoluzione della personalità artistica di Bordignon.
E’ il momento in cui, sulla scorta di un sempre più stringente confronto con l’immagine fotografica, l’attenzione degli artisti si rivolge al vero, al reale, per trovare nuova ispirazione. In ambito locale, seguendo il fortunato esempio di Giacomo Favretto, questa tendenza si declina in chiave bozzettistica, prediligendo paesaggi pittoreschi e sentimenti vividi “che oscillano, sempre in maniera moderata, dalla pietà all’ironia, dalla curiosità alla tristezza”.
Ecco dunque in mostra scene popolari veneziane, quadri dal lessico familiare, umili interni. Negli anni Ottanta dell’Ottocento Bordignon trova a Venezia, non lontano dalla chiesa dei Carmini, un posto tranquillo per lavorare.
Un piccolo campo chiuso accessibile da Fondamenta dei Cereri, Corte San Marco, con il caratteristico pozzo esagonale in pietra d’Istria ben riconoscibile nei dipinti Le pettegole e Il mese di Maria; lo stesso campo, girando lo sguardo verso l’ingresso, è l’ambientazione anche di Cortile veneziano. C’è poi la chiesa dei Frari, altro luogo amato e rappresentato dagli artisti, anche per il significato civico assunto con i monumenti dedicati a Canova e Tiziano.
La tela Compatrioti di Canova ci racconta una buffa scenetta dove due abitanti di Possagno, con il vestito della festa ma con modi un po’ goffi e grevi, davanti al cenotafio canoviano paiono più interessati alle fanciulle accanto a loro che al monumento del celebre concittadino. “Grande in questa composizione - come segnala Vittorio Pajusco in catalogo - è il realismo fotografico, evidente nella figura seduta in primo piano che guarda rapita verso il pittore dimenticandosi il bimbo visto di scorcio, che dorme sul freddo pavimento della chiesa”.
Giovani donne e bambini sono per altro una costante dei dipinti di Bordignon e dei suoi contemporanei, in un alternarsi di giovinezza e spensieratezza - come nel “La pappa scotta” di Luigi Serena o nel quadro di Bordignon Troppo piccoli - ma anche di malinconia, connessa alla fugacità della gioia e alle malattie che colpiscono queste giovani vite come nel caso de l’Ammalata.
Le amate campagne di San Zenone, nelle quali il pittore si ritira sempre più spesso, offrono a Bordignon un’altra ricorrente ambientazione, sia per gli interni di povere cucine come La Pappa calda (1888), La Buona madre (1890) o La pappa al fogo (1895) - che richiamano i quadri del lombardo Induno o dei veneziani Luigi Nono e Alessandro Milesi di cui è in mostra “Il racconto della nonna” del 1897 - sia nei momenti di partecipazione affettiva ai drammi della gente come nell’opera monumentale Per l’America (Emigranti) del 1887 con cui prosegue il percorso a San Zenone degli Ezzelini - o nei paesaggi animati da fanciulle, sorta di ninfe campestri. Scorrono davanti agli occhi dei visitatori, tra gli altri: il Moscone, bellissima tela di proprietà della Fondazione Musei Civci di Venezia del 1884, ma anche Pastorella, Ragazza in lettura, Sola tra i campi tutte del 1900.
Ricchissima è la sezione dedicata alla ritrattistica. Nella barchessa di Villa Marini Rubelli vediamo circa 20 ritratti che mostrano l’abilità di Bordignon alla luce degli insegnamenti ricevuti in Accademia e dell’attenzione al vero, ma anche dei continui aggiornamenti di tecnica e repertorio che trae dai viaggi e dalle partecipazioni ad esposizioni nazionali e internazionali (Parigi, Bruxelles, Monaco, Vienna, Berlino, Praga, ecc.)
Tante sono le sorprese. Bordignon innanzitutto è ritrattista della sua gente: giovani veneziane, ragazze di campagna e umili lavoratori di San Zenone colti in atteggiamenti quotidiani. Poi tra i soggetti preferiti ci sono i suoi familiari, che in più occasioni si erano prestati per dare le fattezze a personaggi delle sue opere: dal figlio Mariano Edoardo, raffigurato nel giovane mangiatore nella Pappa al fogo, alla figlia Maria ritratta in numerosissimi affreschi. In mostra potremo vedere l’intera famiglia dell’artista, compresa la moglie Maria Zanchi e il primogenito Lazzaro detto Rino: ritratti che Noè custodiva gelosamente nella sua casa a San Zenone quali affetti più cari.
Tra i personaggi di spicco, da segnalare alcuni dipinti esposti per la prima volta in questa occasione, come il ritratto del poeta Vittorio Salmini e quello di Papa Pio X, colto non in veste ufficiale di capo della Chiesa ma in mozzetta e talare bianco, in piedi, in fraterno dialogo con l’osservatore.
Così come intimo è il Ritratto di padre Ghevont Leonzio Alishan, l’esito più alto raggiunto da Bordignon nella ritrattistica. Bordignon ebbe un prolungato soggiorno sull’Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia e un forte rapporto di stima ed amicizia con la Congregazione, per la quale realizzò diverse opere, che ancora si conservano nell’Abbazia, tra ritratti, cicli di affreschi e la pala d’altare raffigurante San Gregorio benedice il popolo armeno.
Così Padre Alishan, tra i personaggi più famosi della congregazione mechitarista - teologo, storico e geografo che contribuì in maniera determinante alla rinascita culturale dell’Armenia - è ritratto in quest’opera, tutt’ora conservata nel monastero, mentre è al lavoro, concentrato, nel suo studio.
Gli ultimi due decenni del Novecento sono tuttavia anche quelli dell’apertura al simbolismo. Con la Triennale di Brera del 1981 anche in Italia si dà voce e ci si confronta sulle istanze nate al di fuori delle accademie e sulle nuove tendenze a livello internazionale, con l’allontanamento dal “vero” e il paesaggio che diviene riflesso degli stati dell’animo, in un processo di ricerca interiore. Bordignon segue il rinnovamento e presenta al pubblico milanese un dipinto, qui proposto nella versione a bozzetto, che, all’interno della sua più tradizionalista produzione pittorica, si distingue per l’assoluta modernità della proposta.
Matelda, figura letteraria, guida di Dante nel XXVIII canto del Purgatorio, è riletta dal pittore veneto in chiave simbolista con chiari rimandi alla pittura inglese contemporanea dei preraffaelliti: la donna, dai lunghi capelli, circondata da rami e fiori simbolo di rinascita, avvolta da una bianca veste svolazzante, domina la tela.
Dante e Virgilio appaiono infatti solo accennati sullo sfondo dell’opera finita, per scomparire del tutto nella versione che vediamo in mostra.
Una Matelda quella di Bordignon che ben si inserisce dunque in quella fortunata serie di dipinti aventi per soggetto donne dalle sembianze angeliche dai dichiarati accenti simbolisti, tra cui spicca la tela di Domenico Morelli esposta per l’occasione “L’amore degli angeli” (1892).
Il confronto con il bellissimo dipinto di Beppe Ciardi “Terra in fiore” (1897), proveniente dal Museo Civico Casa Cavazzini di Udine, evidenzia quelle sperimentazioni stilistiche che anche Bordignon affronterà: dalla scelta della gamma cromatica e della resa della pennellata all’adesione a nuovi modelli iconografici. Atmosfere più diluite, una resa della natura con contorni più sfumati e veloci tocchi di colore, un accenno alle tendenze divisioniste li ammiriamo in Lieto ritorno che andrà all’Esposizioni Riunite di Milano nel 1894 e tre anni dopo alla Terza Triennale, ma anche in Inverno, singolare per l’idea mistica e il senso di non finito provocati dalla neve in cui è immersa la fanciulla.
Un timido e pacato confronto con il nuovo che non porterà tuttavia Noè Bordignon a rinnegare i suoi valori o ad abbandonare i temi più cari. La difesa degli umili, l’amore per la terra, la fede cristiana, la vita rurale e San Zenone saranno sempre al centro della sua attenzione d’artista e di uomo. L'organizzazione generale è di Villaggio Globale International.
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