Diego Petruzzi. Uomo | Donna
Dal 21 Aprile 2023 al 27 Aprile 2023
Roma
Luogo: Medina Art Gallery
Indirizzo: Via Merulana 220
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 06 960 30 764
E-Mail info: info@medinaroma.com
Sito ufficiale: http://www.medinaroma.com
Dal 21 al 27 Aprile 2023 Medina Art Gallery presenta “Uomo | Donna”, mostra personale di Diego Petruzzi a cura di Elisabetta Maio.
Le opere di Diego Petruzzi offrono una riflessione su quello che è e può essere il rapporto Uomo | Donna. Un rapporto in cui non esiste differenza tra il carnale e il platonico ma i due aspetti convivono imprescindibilmente l’uno dall’altro e si necessitano per definirsi. Questa convivenza appare chiaramente nelle sue opere, dove i protagonisti non si toccano mai e, in alcuni casi, protendono uno verso l’altro. Negli spazi monocromatici le figure occupano porzioni diverse e distinte ed è proprio il loro non – rapporto, la loro irraggiungibile unione, che scatena e fa percepire seduzione e magnetismo pur non essendo raffigurati e raffigurabili. Compito dell’artista è quello di andare oltre un certo limite, il limite della visibilità, e mettere in scena l’ultra – visibile. Ed ecco che nelle stampe di Petruzzi percepiamo atmosfere di desiderio, tensione, contatto e attrazione.
Ponendo una barra tra le parole “uomo” e “donna” si tenta di racchiudere in un simbolo il tentativo di Diego Petruzzi di superare l’idea romantica dell’amore platonico, che fa dell’amore lo sforzo di diventare uno, a favore di un amore che non sia l’unione ma l’incontro tra due unità.
Complice nel suscitare percezioni, impressioni contrastanti e di volta in volta differenti è la tecnica stilistica di Diego Petruzzi. Le sue opere nascono da matrici realizzate a mano libera per poi essere colorate digitalmente. È proprio la fusione manuale – digitale che consente di riprodurre in serie le immagini variandone unicamente i colori. Un’arte seriale, che si rifà alla serialità di Andy Warhol, dove il colore ha una sua sostanza e diventa “atmosfera”. Così la variazione del colore suggerisce di volta in volta sensazioni diverse quali rabbia, pace, mistero, paura, innocenza… I protagonisti delle opere sono inseriti in un ambiente che non esiste ma che, al contempo, può essere dovunque.
Un passato nel campo teatrale, la parte di “finto manichino” del teatro di strada in Via dei Giubbonari a Roma e le frequentazioni nei laboratori di restauro e di lavorazione del legno hanno indubbiamente orientato un secondo aspetto della produzione artistica di Diego Petruzzi: l’arte ludica e installativa delle Marionette. Queste pittosculture compaiono per la prima volta in una mostra personale del 1995 dal titolo “La realtà e il suo doppio”, dove, appese a dei fili mobili, si muovevano accompagnate da un sottofondo musicale composto dall’artista stesso che riproduceva versi di animali e della natura. Oggi vediamo le Marionette installate su dei piedistalli ma si può comunque interagire, giocare con esse rendendo animato ciò che per sua natura animato non è.
Mostra personale di Diego Petruzzi – Testo di Stefano Valente Questa serie di opere realizzate da Diego Petruzzi hanno una freschezza di composizione e un senso per la superficie che si ritrova solo in alcune stampe giapponesi e ricordano Matisse che nelle sue opere articola insieme fino ad una sintesi a nostro modo di vedere molto efficace e convincente espressionismo e decorativismo. Il soggetto di questa serie è l’amore prima di tutto se(n)suale tra un uomo ed una donna ma tra l’uomo e la donna qui messi in scena non si dà relazione – l’artista nel titolo tra uomo e donna pone una barra quasi a sottolineare più il loro non-rapporto che una loro possibile unione. In queste opere le figure di lui e lei occupano porzioni diverse e ben distinte del campo rappresentativo senza congiungersi mai per cui si ha l’impressione che esse si mantengano nel loro non-rapporto ed è proprio questa loro impossibile unione a far scoccare la scintilla del desiderio e quel magnetismo che si percepisce senza essere rappresentato tra i due corpi.
Si potrebbe dire che Diego Petruzzi sia animato dal tentativo di mettere in opera una radicale dualità (un Due) che sospenda da una parte l’Uno e dall’altra parte il Tre. Mi spiego. Per schematizzare potremmo dire che l’amore neoplatonico sia caratterizzato da un due che tende spasmodicamente a diventare uno. Invece è l’amore cristianamente inteso ad oltrepassare il due nel tre ovvero ad oltrepassarlo nella fecondità-procreazione-generazione (famiglia). In queste opere di Petruzzi le due figure dischiudono un intervallo che non può essere colmato se non dal desiderio e sono figure che dal loro stesso interno (grazie alla loro pregevole fattura) resistono (di una resistenza etico-estetica si tratta) al loro essere oltrepassare nelle due diverse sintesi dell’Uno (innamoramento) o del Tre (famiglia). A tal proposito vorrei fare alcune considerazioni di carattere generale volte a caratterizzare questo essere-due (senza mediazione e senza sintesi) per differenziarlo da quello che ho chiamato amore platonico o innamoramento.
Potremmo dire – nel tentativo di cogliere la loro differenza – che se nell’innamoramento si vive la gioia di essere due che desiderano essere uno; nell’amore se(n)suale, che corre sulla superficie delle opere di Petruzzi mettendole in tensione (ecco l’aspetto erotico della sua operazione), si vive la gioia di essere (in) due, punto! Questo vuol dire che a morire in questa serie di opere non è tanto l’amore, ma l’idea romantica e neo-platonica dell’amore che fa dell’amore un desiderio più o meno misticheggiante di diventare uno. Di ben altro si tratta. Qui ci viene in aiuto la purtroppo sempre più dimenticata saggezza della Bibbia. Nel libro del Qoélet, infatti, si afferma: “Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto” (Qoélet 4,9-12).
L’amore se(n)suale che mette in tensione queste due figure non è nient’altro che la gioia di essere due. Ma allora perché la corda di cui parla il testo sacro ha non due bensì tre capi? Vorremmo dire che questo Tre che presuppone un Due non toglibile né dalla rappresentazione né dal concetto non è altro che l’opera d’arte che sospendendo la relazione tra i due amanti ne mette in opera l’interna tensione, una tensione che caratterizza la forza erotica che attraversa la superficie senza essere raffigurata o raffigurabile ed attraverso questa superficie senza spessore ci raggiunge accendendo anche in noi la scintilla del desiderio.
Opening Venerdì 21 Aprile alle ore 18
Le opere di Diego Petruzzi offrono una riflessione su quello che è e può essere il rapporto Uomo | Donna. Un rapporto in cui non esiste differenza tra il carnale e il platonico ma i due aspetti convivono imprescindibilmente l’uno dall’altro e si necessitano per definirsi. Questa convivenza appare chiaramente nelle sue opere, dove i protagonisti non si toccano mai e, in alcuni casi, protendono uno verso l’altro. Negli spazi monocromatici le figure occupano porzioni diverse e distinte ed è proprio il loro non – rapporto, la loro irraggiungibile unione, che scatena e fa percepire seduzione e magnetismo pur non essendo raffigurati e raffigurabili. Compito dell’artista è quello di andare oltre un certo limite, il limite della visibilità, e mettere in scena l’ultra – visibile. Ed ecco che nelle stampe di Petruzzi percepiamo atmosfere di desiderio, tensione, contatto e attrazione.
Ponendo una barra tra le parole “uomo” e “donna” si tenta di racchiudere in un simbolo il tentativo di Diego Petruzzi di superare l’idea romantica dell’amore platonico, che fa dell’amore lo sforzo di diventare uno, a favore di un amore che non sia l’unione ma l’incontro tra due unità.
Complice nel suscitare percezioni, impressioni contrastanti e di volta in volta differenti è la tecnica stilistica di Diego Petruzzi. Le sue opere nascono da matrici realizzate a mano libera per poi essere colorate digitalmente. È proprio la fusione manuale – digitale che consente di riprodurre in serie le immagini variandone unicamente i colori. Un’arte seriale, che si rifà alla serialità di Andy Warhol, dove il colore ha una sua sostanza e diventa “atmosfera”. Così la variazione del colore suggerisce di volta in volta sensazioni diverse quali rabbia, pace, mistero, paura, innocenza… I protagonisti delle opere sono inseriti in un ambiente che non esiste ma che, al contempo, può essere dovunque.
Un passato nel campo teatrale, la parte di “finto manichino” del teatro di strada in Via dei Giubbonari a Roma e le frequentazioni nei laboratori di restauro e di lavorazione del legno hanno indubbiamente orientato un secondo aspetto della produzione artistica di Diego Petruzzi: l’arte ludica e installativa delle Marionette. Queste pittosculture compaiono per la prima volta in una mostra personale del 1995 dal titolo “La realtà e il suo doppio”, dove, appese a dei fili mobili, si muovevano accompagnate da un sottofondo musicale composto dall’artista stesso che riproduceva versi di animali e della natura. Oggi vediamo le Marionette installate su dei piedistalli ma si può comunque interagire, giocare con esse rendendo animato ciò che per sua natura animato non è.
Mostra personale di Diego Petruzzi – Testo di Stefano Valente Questa serie di opere realizzate da Diego Petruzzi hanno una freschezza di composizione e un senso per la superficie che si ritrova solo in alcune stampe giapponesi e ricordano Matisse che nelle sue opere articola insieme fino ad una sintesi a nostro modo di vedere molto efficace e convincente espressionismo e decorativismo. Il soggetto di questa serie è l’amore prima di tutto se(n)suale tra un uomo ed una donna ma tra l’uomo e la donna qui messi in scena non si dà relazione – l’artista nel titolo tra uomo e donna pone una barra quasi a sottolineare più il loro non-rapporto che una loro possibile unione. In queste opere le figure di lui e lei occupano porzioni diverse e ben distinte del campo rappresentativo senza congiungersi mai per cui si ha l’impressione che esse si mantengano nel loro non-rapporto ed è proprio questa loro impossibile unione a far scoccare la scintilla del desiderio e quel magnetismo che si percepisce senza essere rappresentato tra i due corpi.
Si potrebbe dire che Diego Petruzzi sia animato dal tentativo di mettere in opera una radicale dualità (un Due) che sospenda da una parte l’Uno e dall’altra parte il Tre. Mi spiego. Per schematizzare potremmo dire che l’amore neoplatonico sia caratterizzato da un due che tende spasmodicamente a diventare uno. Invece è l’amore cristianamente inteso ad oltrepassare il due nel tre ovvero ad oltrepassarlo nella fecondità-procreazione-generazione (famiglia). In queste opere di Petruzzi le due figure dischiudono un intervallo che non può essere colmato se non dal desiderio e sono figure che dal loro stesso interno (grazie alla loro pregevole fattura) resistono (di una resistenza etico-estetica si tratta) al loro essere oltrepassare nelle due diverse sintesi dell’Uno (innamoramento) o del Tre (famiglia). A tal proposito vorrei fare alcune considerazioni di carattere generale volte a caratterizzare questo essere-due (senza mediazione e senza sintesi) per differenziarlo da quello che ho chiamato amore platonico o innamoramento.
Potremmo dire – nel tentativo di cogliere la loro differenza – che se nell’innamoramento si vive la gioia di essere due che desiderano essere uno; nell’amore se(n)suale, che corre sulla superficie delle opere di Petruzzi mettendole in tensione (ecco l’aspetto erotico della sua operazione), si vive la gioia di essere (in) due, punto! Questo vuol dire che a morire in questa serie di opere non è tanto l’amore, ma l’idea romantica e neo-platonica dell’amore che fa dell’amore un desiderio più o meno misticheggiante di diventare uno. Di ben altro si tratta. Qui ci viene in aiuto la purtroppo sempre più dimenticata saggezza della Bibbia. Nel libro del Qoélet, infatti, si afferma: “Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto” (Qoélet 4,9-12).
L’amore se(n)suale che mette in tensione queste due figure non è nient’altro che la gioia di essere due. Ma allora perché la corda di cui parla il testo sacro ha non due bensì tre capi? Vorremmo dire che questo Tre che presuppone un Due non toglibile né dalla rappresentazione né dal concetto non è altro che l’opera d’arte che sospendendo la relazione tra i due amanti ne mette in opera l’interna tensione, una tensione che caratterizza la forza erotica che attraversa la superficie senza essere raffigurata o raffigurabile ed attraverso questa superficie senza spessore ci raggiunge accendendo anche in noi la scintilla del desiderio.
Opening Venerdì 21 Aprile alle ore 18
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