DIVINA COMMEDIA. Le visioni di Doré, Scaramuzza, Nattini
Amos Nattini, Inferno canto XVII, Gerione
Dal 01 Aprile 2012 al 01 Luglio 2012
Traversetolo | Parma
Luogo: Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo
Indirizzo: via Fondazione Magnani Rocca 4
Orari: dal martedì al venerdì 10-18; sabato, domenica e festivi 10-19
Curatori: Stefano Roffi
Costo del biglietto: intero € 9; scuole € 5
Telefono per informazioni: +39 0521 848327
E-Mail info: info@magnanirocca.it
Sito ufficiale: http://www.magnanirocca.it
Incubi, angosce, estasi di grandi illustratori della Divina Commedia in un percorso di notevole suggestione che conduce il visitatore dalle tenebre infernali alla luce paradisiaca nelle sale espositive della Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, presso Parma.
Dal 31 marzo al 1° luglio 2012 è infatti Dante - attraverso le opere d’arte di Gustave Doré, Francesco Scaramuzza e Amos Nattini dedicate alla Commedia - il protagonista della nuova mostra proposta dalla Fondazione presieduta da Giancarlo Forestieri.
Dopo il passaggio in quell’Empireo terreno costituito dalle opere sublimi di alcuni dei più grandi artisti di ogni tempo esposte nella celebre Villa dei Capolavori, sede della Fondazione, l’inizio della mostra, con la discesa alla Sala dell’Inferno, rappresenta un forte contrasto sottolineato dalla Sinfonia dantesca di Franz Liszt, grande musicista contemporaneo di Doré e di Scaramuzza, che accompagna il visitatore con le drammatiche note dedicate alla prima Cantica, passando poi per la Sala del Purgatorio fino al culmine mistico del Magnificat nella Sala del Paradiso.
L’eclettismo culturale del Fondatore Luigi Magnani trova così un nuovo omaggio nell’accostamento di poesia, arti figurative, musica e teatro, in una mostra, curata da Stefano Roffi, che offre al pubblico un forte coinvolgimento visivo quanto emotivo e spirituale.
Il ricco catalogo presenta un saggio di Emanuele Bardazzi e Francesco Parisi sul tema “L’illustrazione della Divina Commedia attraverso i secoli” e testi di Mauro Carrera, Anna Mavilla, Cinzia Cassinari, Stefano Roffi dedicati ai protagonisti della mostra.
Fondazione Cariparma e Cariparma Crédit Agricole sono i mecenati dell’iniziativa, che si avvale anche del sostegno di Campus S.p.A.
Francesco Scaramuzza (Sissa presso Parma 1803 - Parma 1886) affresca la Sala di Dante della Biblioteca Palatina di Parma (Sala eccezionalmente aperta al pubblico nel periodo della mostra, con un’esposizione di antichi codici danteschi della Palatina stessa), oltre al Tempietto petrarchesco di Selvapiana e a una sala del Museo d’antichità di Parma, con intonazioni romantiche e riflessi del Correggio. La sua opera più importante è l’illustrazione della Divina Commedia, una delle più aderenti al testo dantesco per la naturalezza delle immagini e l’abilità eccezionale dell’artista. Dei 243 grandi disegni a penna (73 per l’Inferno, 120 per il Purgatorio, 50 per il Paradiso), egli ne dedica ben 18 al solo canto XXXII dell’ultima cantica, tanto era attratto dallo scenario dell’Empireo ideato dal Poeta. Gli atteggiamenti e gli attributi iconografici dei personaggi, nonché le ambientazioni, sono tesi a sviluppare la pietas del lettore-osservatore e quindi a valorizzare il messaggio dantesco.
Il corredo illustrativo della Divina Commedia, disegnato dal francese Gustave Doré (Strasburgo 1832-1883) attorno al 1861-68, è certamente il più popolare in assoluto, ancora oggi: la fama è dovuta anche alla prevalente attività d’illustratore d’opere letterarie (Milton, Rabelais, Balzac, La Fontaine, Cervantes, Bibbia, Ariosto) espletata come pittore e incisore che, con tratti robusti, marcati e decisi, coglie con virtuosismo romantico gli aspetti più realistici dell’opera dantesca, nonostante il predominio dei toni cupi anche al di fuori dell’Inferno.
Nel 1876, quindici anni dopo la prima pubblicazione di Doré, Scaramuzza termina le proprie tavole sulla Commedia. Da allora numerosi critici hanno tentato un confronto tra i due artisti, con l'obiettivo di decretare quale fosse il migliore, con esiti non sempre a favore del grande Doré.
Luciano Scarabelli (1806-1878), letterato, storico e uomo politico, tiene nel 1869/70 all'Accademia di Belle Arti di Bologna un corso di lezioni che ha come oggetto proprio il confronto fra le tavole scaramuzziane e quelle dell'avversario francese. L'intento di Scarabelli è dimostrare che il parmense, maggior conoscitore di Dante, sia riuscito a rendere meglio ambientazioni, personaggi e pathos della Divina Commedia. Secondo Scarabelli due sono gli elementi che portano Scaramuzza a "vincere" la tenzone: la sua profonda conoscenza della Divina Commedia e la "maledizione del far presto" che caratterizzava il francese (che riuscì a compiere 30.000 disegni in 18 anni e presentò per primo al pubblico, nel 1861, le proprie opere). Grazie anche alla sua grande ammirazione per Dante, Scaramuzza riesce a rendere al meglio anche i minimi particolari che caratterizzano i versi del Poeta; sintetizza Scarabelli: "Io vi invito ad esaminare meco quanto giustamente si rumoreggi in Italia la fama del francese Doré quale illustratore di Dante, e quanto ingiustamente si lasci da parte Francesco Scaramuzza, italiano da Parma".
Uno dei più significativi illustratori danteschi del Novecento è Amos Nattini (Genova 1892 - Parma 1985); a partire dal 1919, incoraggiato da Gabriele D’Annunzio, egli realizza una grandiosa serie di cento tavole che costituiscono l’illustrazione d’una speciale edizione della Divina Commedia e vengono esposte a Parigi, Nizza e L’Aja, riscuotendo ovunque un notevole successo.
Nattini usa le tecniche più innovative e un linguaggio figurativo originale lontano da qualsiasi imitazione, rinunciando al bianco e nero a favore del colore (acquerello e olio) per immergere il proprio segno grafico e potente in una dimensione quasi fantasy di sospensione e di incanto, dove il dramma è più accennato che realmente descritto. La sua pittura è minuta e delicata, con una pennellata lineare da miniatore, ma a più strati, un velo sull’altro, richiamando così il Divisionismo, filtrato dal rigore mentale dell’artista, dalle atmosfere irreali create sapientemente, dove egli mette a fuoco allucinazioni dello spirito grazie alla precisione del segno e all’evocatività del colore.
L’interesse di Nattini per Dante si estende per una ventina d’anni e si estrinseca al meglio quando egli si ritira nell’ex eremo benedettino di Oppiano di Gaiano (Parma), dove fissa la sua casa-studio. Le sue figure dantesche, d’intonazione liberty ed “eroica”, risentono del clima dannunziano dell’epoca e i suoi personaggi tendono ad apparire quasi superuomini, attitudine ben espressa proprio da D’Annunzio nella dedica sul frontespizio delle Laudi: “Ad Amos Nattini, che sa come l’Arte moderna domandi un’anima eroica, offro queste grida verso gli eroi” (Parigi, maggio 1914). La sua arte, che rivela grande cultura, affonda le radici nel Rinascimento, in un senso di perenne primavera e di giovanile spensieratezza tratto da Botticelli e mediato da Michelangelo, anche se i modelli di umanesimo classico sono da lui rivissuti non senza fascinazione per il Decadentismo. Il suo Inferno ha un’impostazione cupa e “scottante”, ma il suo viaggio artistico, diversamente da Doré, sa ben differenziarsi nell’approdare agli esiti luminosi e spirituali del Paradiso.
Dal 31 marzo al 1° luglio 2012 è infatti Dante - attraverso le opere d’arte di Gustave Doré, Francesco Scaramuzza e Amos Nattini dedicate alla Commedia - il protagonista della nuova mostra proposta dalla Fondazione presieduta da Giancarlo Forestieri.
Dopo il passaggio in quell’Empireo terreno costituito dalle opere sublimi di alcuni dei più grandi artisti di ogni tempo esposte nella celebre Villa dei Capolavori, sede della Fondazione, l’inizio della mostra, con la discesa alla Sala dell’Inferno, rappresenta un forte contrasto sottolineato dalla Sinfonia dantesca di Franz Liszt, grande musicista contemporaneo di Doré e di Scaramuzza, che accompagna il visitatore con le drammatiche note dedicate alla prima Cantica, passando poi per la Sala del Purgatorio fino al culmine mistico del Magnificat nella Sala del Paradiso.
L’eclettismo culturale del Fondatore Luigi Magnani trova così un nuovo omaggio nell’accostamento di poesia, arti figurative, musica e teatro, in una mostra, curata da Stefano Roffi, che offre al pubblico un forte coinvolgimento visivo quanto emotivo e spirituale.
Il ricco catalogo presenta un saggio di Emanuele Bardazzi e Francesco Parisi sul tema “L’illustrazione della Divina Commedia attraverso i secoli” e testi di Mauro Carrera, Anna Mavilla, Cinzia Cassinari, Stefano Roffi dedicati ai protagonisti della mostra.
Fondazione Cariparma e Cariparma Crédit Agricole sono i mecenati dell’iniziativa, che si avvale anche del sostegno di Campus S.p.A.
Francesco Scaramuzza (Sissa presso Parma 1803 - Parma 1886) affresca la Sala di Dante della Biblioteca Palatina di Parma (Sala eccezionalmente aperta al pubblico nel periodo della mostra, con un’esposizione di antichi codici danteschi della Palatina stessa), oltre al Tempietto petrarchesco di Selvapiana e a una sala del Museo d’antichità di Parma, con intonazioni romantiche e riflessi del Correggio. La sua opera più importante è l’illustrazione della Divina Commedia, una delle più aderenti al testo dantesco per la naturalezza delle immagini e l’abilità eccezionale dell’artista. Dei 243 grandi disegni a penna (73 per l’Inferno, 120 per il Purgatorio, 50 per il Paradiso), egli ne dedica ben 18 al solo canto XXXII dell’ultima cantica, tanto era attratto dallo scenario dell’Empireo ideato dal Poeta. Gli atteggiamenti e gli attributi iconografici dei personaggi, nonché le ambientazioni, sono tesi a sviluppare la pietas del lettore-osservatore e quindi a valorizzare il messaggio dantesco.
Il corredo illustrativo della Divina Commedia, disegnato dal francese Gustave Doré (Strasburgo 1832-1883) attorno al 1861-68, è certamente il più popolare in assoluto, ancora oggi: la fama è dovuta anche alla prevalente attività d’illustratore d’opere letterarie (Milton, Rabelais, Balzac, La Fontaine, Cervantes, Bibbia, Ariosto) espletata come pittore e incisore che, con tratti robusti, marcati e decisi, coglie con virtuosismo romantico gli aspetti più realistici dell’opera dantesca, nonostante il predominio dei toni cupi anche al di fuori dell’Inferno.
Nel 1876, quindici anni dopo la prima pubblicazione di Doré, Scaramuzza termina le proprie tavole sulla Commedia. Da allora numerosi critici hanno tentato un confronto tra i due artisti, con l'obiettivo di decretare quale fosse il migliore, con esiti non sempre a favore del grande Doré.
Luciano Scarabelli (1806-1878), letterato, storico e uomo politico, tiene nel 1869/70 all'Accademia di Belle Arti di Bologna un corso di lezioni che ha come oggetto proprio il confronto fra le tavole scaramuzziane e quelle dell'avversario francese. L'intento di Scarabelli è dimostrare che il parmense, maggior conoscitore di Dante, sia riuscito a rendere meglio ambientazioni, personaggi e pathos della Divina Commedia. Secondo Scarabelli due sono gli elementi che portano Scaramuzza a "vincere" la tenzone: la sua profonda conoscenza della Divina Commedia e la "maledizione del far presto" che caratterizzava il francese (che riuscì a compiere 30.000 disegni in 18 anni e presentò per primo al pubblico, nel 1861, le proprie opere). Grazie anche alla sua grande ammirazione per Dante, Scaramuzza riesce a rendere al meglio anche i minimi particolari che caratterizzano i versi del Poeta; sintetizza Scarabelli: "Io vi invito ad esaminare meco quanto giustamente si rumoreggi in Italia la fama del francese Doré quale illustratore di Dante, e quanto ingiustamente si lasci da parte Francesco Scaramuzza, italiano da Parma".
Uno dei più significativi illustratori danteschi del Novecento è Amos Nattini (Genova 1892 - Parma 1985); a partire dal 1919, incoraggiato da Gabriele D’Annunzio, egli realizza una grandiosa serie di cento tavole che costituiscono l’illustrazione d’una speciale edizione della Divina Commedia e vengono esposte a Parigi, Nizza e L’Aja, riscuotendo ovunque un notevole successo.
Nattini usa le tecniche più innovative e un linguaggio figurativo originale lontano da qualsiasi imitazione, rinunciando al bianco e nero a favore del colore (acquerello e olio) per immergere il proprio segno grafico e potente in una dimensione quasi fantasy di sospensione e di incanto, dove il dramma è più accennato che realmente descritto. La sua pittura è minuta e delicata, con una pennellata lineare da miniatore, ma a più strati, un velo sull’altro, richiamando così il Divisionismo, filtrato dal rigore mentale dell’artista, dalle atmosfere irreali create sapientemente, dove egli mette a fuoco allucinazioni dello spirito grazie alla precisione del segno e all’evocatività del colore.
L’interesse di Nattini per Dante si estende per una ventina d’anni e si estrinseca al meglio quando egli si ritira nell’ex eremo benedettino di Oppiano di Gaiano (Parma), dove fissa la sua casa-studio. Le sue figure dantesche, d’intonazione liberty ed “eroica”, risentono del clima dannunziano dell’epoca e i suoi personaggi tendono ad apparire quasi superuomini, attitudine ben espressa proprio da D’Annunzio nella dedica sul frontespizio delle Laudi: “Ad Amos Nattini, che sa come l’Arte moderna domandi un’anima eroica, offro queste grida verso gli eroi” (Parigi, maggio 1914). La sua arte, che rivela grande cultura, affonda le radici nel Rinascimento, in un senso di perenne primavera e di giovanile spensieratezza tratto da Botticelli e mediato da Michelangelo, anche se i modelli di umanesimo classico sono da lui rivissuti non senza fascinazione per il Decadentismo. Il suo Inferno ha un’impostazione cupa e “scottante”, ma il suo viaggio artistico, diversamente da Doré, sa ben differenziarsi nell’approdare agli esiti luminosi e spirituali del Paradiso.
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